Giurisprudenza

Cass., civile sez. III, sent. 20 maggio 2020 n. 9238 (Pres. Armano, rel. Olivieri)

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                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

                        SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO   Uliana                             –  Presidente   –

Dott. OLIVIERI Stefano                       –  rel. Consigliere  –

Dott. VINCENTI Enzo                               –  Consigliere  –

Dott. POSITANO Gabriele                           –  Consigliere  –

Dott. VALLE    Cristiano                          –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

                     SENTENZA

sul ricorso nn/aaaa proposto da:

A., in persona dell’Amministratore e legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA , presso lo studio dell’avvocato G.F.,

rappresentata e difesa dall’avvocato G.D.;

– ricorrente –

contro

Z.P.;

– intimata –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di NOLA, depositata il 27/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

FATTI DI CAUSA

Con sentenza pubblicata in data 19.11.2016 il Giudice di Pace di Sant’Anastasia condannava A. a risarcire il danno cagionato a Z.P., che liquidava in Euro 3.185,14 oltre interessi.

La sentenza di primo grado veniva notificata in data 2.12.2016 presso la Cancelleria del Giudice di Pace, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, in quanto il procuratore della società iscritto ad albo “extra districtum”, aveva indicato nella comparsa di risposta un indirizzo di posta elettronica ordinaria (xxxxxx.tin.it), peraltro dichiarando che tale indirizzo veniva “specificato ai soli fini della comunicazioni di Cancelleria”, senza ottemperare al disposto dell’art. 125 c.p.c., comma 1, secondo periodo, nel testo, introdotto dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, comma 1, lett. a), vigente “ratione temporis” (essendo il giudizio pendente al 2012) per cui, nell’atto difensivo, “il difensore deve, altresì, indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine ed il proprio numero di fax”.

  1. proponeva impugnazione notificando l’atto di citazione in appello, per via telematica, in data 17.5.2017, oltre il termine breve di decadenza di giorni trenta previsto dall’art. 325 c.p.c., ed il Tribunale Ordinario di Nola, in grado di appello, dichiarava inammissibile la impugnazione con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., depositata in data 27.3.2018 – e comunicata il 28.3.2018 – a scioglimento della riserva assunta alla udienza 13.3.2018.

Propone ricorso per cassazione A., avverso tanto la ordinanza dichiarativa della inammissibilità dell’atto di appello, censurata con due motivi, quanto contro la sentenza di prime cure, con atto notificato il 25.5.2018, in via telematica, all’indirizzo PEC (xxxxxx.pec.it) del difensore della Z., estratto dall’Indice nazionale degli indirizzi pec delle imprese e dei professionisti-INI PEC.

La intimata non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Occorre preliminarmente rilevare che la ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., può essere pronunciata dal Giudice di appello in relazione alla verifica prognostica della infondatezza nel merito dei motivi di gravame, nel caso in cui il Giudice di merito ritenga che “la impugnazione…..non ha una ragionevole probabilità di essere accolta” (art. 348 bis c.p.c., comma 1).

La predetta pronuncia di inammissibilità nella forma dell’ordinanza, rimane pertanto circoscritta esclusivamente all’indicato presupposto legale, in relazione al quale soltanto trova applicazione la disciplina normativa speciale del ricorso per cassazione “per saltum” avverso la sentenza di primo grado, di cui dell’art. 348 ter c.p.c., commi 3 e 4, come emerge in modo inequivoco dall’incipit dell’art. 348 bis c.p.c., comma 1. “Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello”.

Consegue che se pure resa nella forma dell’ordinanza, alla dichiarazione di inammissibilità dell’atto di appello, per decadenza dal termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c., va riconosciuta natura di sentenza, come tale impugnabile con ordinario ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., trattandosi di pronuncia su questione in rito da decidere con sentenza, vertendo su condizione di ammissibilità dell’atto di appello e non sulla manifesta infondatezza del gravame (cfr. Corte Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 3980 del 12/02/2019).

Deve dunque ribadirsi il principio di diritto secondo cui la decisione che pronunci l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, ancorchè adottata con ordinanza richiamante l’art. 348 ter c.p.c., ed eventualmente nel rispetto della relativa procedura, è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo, così, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti (Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016).

Tanto premesso, risulta che A. ha proposto ricorso per cassazione – senza ulteriori specificazioni – nei confronti, tanto della ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., quanto nei confronti della sentenza di prime cure ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3.

Orbene se la impugnazione della ordinanza del Giudice di appello dichiarativa dell’inammissibilità del gravame per manifesta infondatezza nel merito non è impugnabile con ricorso per cassazione, neanche ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, a meno che il provvedimento non sia censurato, per “error in procedendo”, nei casi in cui il relativo modello procedimentale sia stato utilizzato al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2 e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016; id. Sez. 1 -, Ordinanza n. 23151 del 26/09/2018), nella specie la natura sostanziale di sentenza da riconoscere al predetto provvedimento reso in forma di ordinanza, preclude la verifica dei predetti limiti di accesso al sindacato di legittimità, atteso che la ricorrente veicola la impugnazione censurando la pronuncia di inammissibilità specificamente in punto di violazione ed errata applicazione delle norme di diritto concernenti la disciplina delle notifiche telematiche degli atti giudiziari (R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82; D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, inserito dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114), introducendo quindi motivi attinenti a vizi di legittimità pertinenti non alla forma ed ai presupposti legali ma al contenuto del provvedimento in quanto relativo all’accertamento della inammissibilità dell’appello per decorso del termine di decadenza ed alla definizione in rito del giudizio di appello.

La impugnazione della “ordinanza-sentenza” è dunque ammissibile in quanto, assolvendo ai requisiti prescritti per la proposizione del ricorso ordinario per cassazione ex artt. 360 e 366 c.p.c., risulta tempestivamente proposta nel termine di gg. 60 dalla data 27.3.2018 di deposito del provvedimento dichiarativo di inammissibilità e ritualmente notificata in via telematica, in data 25.5.2018, all’intimata Z.P. presso l’indirizzo PEC del difensore avv. F. R., come da ricevuta di avvenuta consegna depositata in atti.

Tanto premesso i motivi di ricorso con i quali si deduce la violazione del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, inserito dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, sono fondati.

Il Tribunale di Nola in grado d’appello ha errato nel ritenere rituale la notifica della sentenza di prime cure eseguita in data 2.12.2016 dal difensore della Z. presso la Cancelleria del Giudice di Pace di Sant’Anastasia – e quindi tardivo ai sensi dell’art. 325 c.p.c., l’atto di appello notificato in forma telematica dal difensore di A. in data 17.5.2017 – per non avere quest’ultimo eletto domicilio nel luogo dove ha sede l’Ufficio giudiziario procedente, nè indicato, ai sensi dell’art. 125 c.p.c., nell’atto di costituzione in primo grado, l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio Ordine.

Occorre premettere che, come correttamente trascritto nel ricorso, la comparsa di costituzione in giudizio in primo grado riportava la seguente dicitura A. rapp.ta dall’avv. M. B. del Foro di S. Maria C.V., elett. te dom.ta presso il suo studio sito in (OMISSIS)…. che dichiara di voler ricevere eventuali comunicazioni….all’indirizzo pec: xxxxxx.tin.it”

Ammette la stessa ricorrente che la indicazione dell’indirizzo PEC era corretta quanto all'”username” ((OMISSIS)) ma errata quanto alla estensione “tin.it” anzichè “pec”, mentre del tutto differente era l’indirizzo di posta elettronica ordinaria (milbag.in.it).

Tanto premesso il Tribunale ha richiamato il precedente di questa Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 10143 del 20/06/2012 che ha enunciato il seguente principio di diritto, così massimato dal CED di questa Corte: “il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita – trova applicazione in ogni caso di esercizio dell’attività forense fuori del circondario di assegnazione dell’avvocato, come derivante dall’iscrizione al relativo ordine professionale…. Tuttavia, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 c.p.c., apportate dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione “ex lege” presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c., per gli atti di parte e dall’art. 366 c.p.c., specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine”.

Orbene, indipendentemente dalla “ratio” portante della decisione delle Sezioni Unite del 2012 intesa a delimitare l’ambito di applicazione della notifica in Cancelleria, e che non ha modificato il principio generale per cui grava comunque – sulla parte notificante l’onere di previa individuazione del domicilio del destinatario della notifica, tanto più se l’errore, come nel caso di specie, sia agevolmente individuabile attraverso la interrogazione di organi affidatari di funzioni di natura pubblica, quali i Consigli dell’Ordine professionale, deputati a ricevere e registrare gli indirizzi PEC comunicati dai propri iscritti, osserva il, Collegio che occorre evidenziare come, alla data della decisione del Giudice di appello, fosse già entrato in vigore il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, conv. con modificazioni nella L. 11 agosto 2014, n. 114, che, all’art. 45 bis, comma 1, ha modificato la disposizione dell’art. 125 c.p.c., comma 1, sostituendo il secondo periodo (“Il difensore deve, altresì, indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine ed il proprio numero di fax”) con le parole “il difensore deve, altresì, indicare il proprio numero di fax”, ed al tempo stesso – con l’art. 52, comma 1, lett. b) – ha introdotto al D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con mod. in L. 17 dicembre 2012, n. 221, art. 16 sexies (rubricato: “Domicilio digitale”) che dispone “1. Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal ministero della giustizia”.

Ne segue che se al tempo della costituzione nel giudizio di primo grado (2012), vigente l’art. 125 c.p.c., nel precedente testo, il difensore della società aveva comunque assolto alla prescrizione di indicare l’indirizzo PEC nella comparsa di risposta – seppure in modo errato, quanto alla “estensione”-, al tempo della notifica della sentenza di prime cure era, invece, pienamente vigente l’art. 16 sexies del D.L. del 2012 come modificato dalla Legge del 2014, sicchè il notificante – individuato agevolmente l’errore commesso dal difensore della società – era tenuto a ricercare presso i registri pubblici quale fosse il corretto indirizzo PEC, disponendo di tutti gli altri dati identificativi del legale avversario, rimanendo escluso, peraltro, che l’errore commesso dal difensore della società – proprio perchè facilmente accertabile ed emendabile da parte del notificante – potesse integrare quella “impossibilità tecnica” di individuazione dell’indirizzo elettronico cui la legge condiziona in via eccezionale la notifica alla parte mediante deposito dell’atto in Cancelleria (analogamente, con riferimento all’onere di comunicazione della sentenza, nei casi in cui tale adempimento è disposto ex lege a carico della Cancelleria, l’atto di partecipazione è valido ed efficace, ai fini del decorso del termine di decadenza di impugnazione, soltanto se eseguito all’indirizzo PEC del difensore risultante da pubblici elenchi o da registri accessibili alla pubblica amministrazione, restando irrilevante l’eventuale indicazione nell’atto del difensore di un diverso indirizzo PEC: Corte cass. Sez. L -, Sentenza n. 83 del 04/01/2019).

Pertanto deve ribadirsi il principio per cui in materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del “domicilio digitale”, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. dalla L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv. con modif. dalla L. n. 114 del 2014, è valida la notificazione al difensore soltanto se eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al D.M. n. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia (cfr. Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 23620 del 28/09/2018).

In conseguenza occorre statuire che, la errata indicazione negli atti giudiziari di parte dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore, non esonera in ogni caso la parte notificante dall’onere di diligenza di accertarsi preventivamente, mediante accesso ai registri pubblici, del corretto domicilio digitale del legale destinatario cui dirigere la notifica telematica, diversamente dovendo essere dichiarata invalida la notifica eseguita ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, comma 1, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (cfr. Corte Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 17048 del 11/07/2017; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 30139 del 14/12/2017; Vedi: Corte Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 13224 del 25/05/2018, in motivazione).

Fondata è anche la censura ricolta dalla società ricorrente alla ordinanza-sentenza impugnata nella parte in cui sembra attribuire rilievo alla circostanza che l’indirizzo di posta elettronica fosse stato indicato nella comparsa di risposta “ai soli fini” delle comunicazioni di Cancelleria.

Dalla trascrizione dell’atto di difesa in primo grado si evince, infatti, che dalla generica espressione che correla l’indirizzo di posta elettronica alle “eventuali comunicazioni”, non emerge alcuna inequivoca ed evidente volontà del difensore diretta a distinguere tra elezione di domicilio, ai fini delle notifiche, ed indirizzo PEC da utilizzare “soltanto” od “esclusivamente” per le comunicazioni di Cancelleria (cfr. Corte Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 25215 del 27/11/2014; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 23412 del 17/11/2016), non trovando, pertanto, giustificazione, neppure in relazione a tale profilo, la notifica della sentenza di prime cure presso la Cancelleria anzichè in via telematica all’indirizzo di posta elettronica del difensore della società.

La notifica della sentenza di primo grado, eseguita ai sensi dell’art. 285 c.p.c. e del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, presso la Cancelleria del Giudice di Pace, doveva, in conseguenza, essere dichiarata nulla ed improduttiva del decorso del termine breve di impugnazione: trovando, quindi, applicazione il termine di impugnazione cd. lungo ex art. 327 c.p.c. (semestrale), la notifica in data 17.5.2017 dell’atto di appello deve ritenersi tempestiva.

La ordinanza-sentenza di inammissibilità va, dunque, cassata e la causa rimessa al Giudice di appello per l’esame dei motivi di gravame (ritualmente riprodotti alle pag. 9 ss. del ricorso per cassazione), nonchè per la liquidazione anche delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia al Tribunale di Nola in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

 

Cass., civile sez. III, sent. 20 maggio 2020 n. 9238 (Pres. Armano, rel. Olivieri) Leggi tutto »

Tribunale Ordinario di Mantova, 19 maggio 2020 (est. Bertola)

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Udienza in video conferenza – Skype for Business – Teams – DL n. 11 /2020 – COVID-19 – Aula virtuale – incostituzionalità – Corte Costituzionale – DL 18/2020 – DL 28/2020 – presenza giudice nell’ufficio giudiziario – rimessione alla Corte Costituzionale

 

Tribunale Ordinario di Mantova
Seconda Sezione Civile
ORDINANZA
– art. 23 L. 1 marzo 1953 n. 87 –

Nella causa civile iscritta al n. R.G. 2585/2019 il Giudice Istruttore dott. Giorgio Bertola, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 19/05/2020, letto il ricorso depositato da

in data 25/07/2019;

rilevato che il Giudice è chiamato a trattare il procedimento 2585/2019 R.G. chiamato all’udienza del 19 maggio 2020 con le modalità di trattazione di cui all’art. 83 c. 7 lett. F del D.L. 18/2020 convertito con modificazioni nella L. 27/2020 così come successivamente modificato dall’art. 3 comma 1 lett. C del D.L. 28/2020 come da autorizzazione concessa dal Presidente del Tribunale con provvedimenti del 27 marzo e 5 maggio 2020;
rilevato che alla odierna udienza i procuratori delle parti si sono collegati alla stanza virtuale del Giudice messa a disposizione al sottoscritto magistrato dalla Direzione Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia per mezzo dell’applicativo Microsoft Teams;
rilevato che i procuratori delle parti hanno potuto collegarsi alla stanza virtuale dai rispettivi studi professionali/private abitazioni senza doversi recare in ufficio così evitando di entrare nei locali del Tribunale che ha visto al suo interno anche soggetti positivi al COVID-19;

rilevato che, al contrario, il sottoscritto magistrato, in forza del disposto dell’art. 83 c. 7 lett. F attualmente vigente, si è dovuto recare in ufficio presso il Tribunale di Mantova,

che è ricompreso nel Distretto di Corte d’Appello di Brescia, al fine di potersi collegare alla stanza virtuale e fare uso di Microsoft Teams;
rilevato che il Giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell’art. 83 c. 7 lett. F del D.L. 18/2020 convertito nella L. 27/2020 così come modificato dall’art. 3 comma 1 lett. C del D.L. 28/2020 per il palese contrasto con gli artt. 3, 32, 77 e 97 Cost. ritenendo la questione rilevante e non manifestamente infondata per i seguenti motivi:

1 – Rilevanza

In ordine alla rilevanza della sollevanda questione di legittimità costituzionale si osserva: la norma che disciplina le modalità di celebrazione della odierna udienza con collegamento da remoto non prevedeva, nella formulazione vigente al momento della entrata in vigore del D.L. 18/2020 poi convertito nella L. 27/2020, alcuna particolare disposizione quanto al luogo nel quale si doveva trovare il Giudice per poter utilizzare il software Microsoft Teams e la stanza virtuale fornita dalla DGSIA.
Solo con la modifica introdotta dall’art. 3 comma 1 lett. C del D.L. 28/2020 è stata aggiunta la specificazione che “dopo le parole «deve in ogni caso avvenire» sono aggiunte le seguenti: «con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario e»” così obbligando il Giudice a recarsi presso l’ufficio giudiziario per potersi collegare alla propria stanza virtuale che invece tecnicamente potrebbe essere utilizzata a prescindere dal luogo fisico dal quale si trova collegato il Giudice purché abbia a disposizione una connessione internet, una webcam ed un microfono (questi ultimi peraltro incorporati nel personal computer Hp Elitebook in dotazione al Giudice e fornito proprio dal Ministero della Giustizia per il lavoro anche da fuori ufficio).

Quanto alla rilevanza della questione sottoposta alla Corte Costituzionale, è pienamente consapevole il Giudice remittente che, avendo la norma richiamata vigenza fino al 31 luglio 2020 data fino alla quale è attualmente possibile utilizzare tale forma di trattazione dei procedimenti civili, la questione si sarebbe potuta superare semplicemente rinviando la trattazione del procedimento ad una data posteriore al 31 luglio 2020.

Si osserva tuttavia che il procedimento di cui si tratta, un ricorso 702 bis c.p.c., pende dal luglio 2019 ed ha già visto una serie di rinvii dovuti sia alla necessità di integrare il contraddittorio con le parti terze chiamate, sia alla necessità di superare il periodo di sospensione disposto dal D.L. 18/2020 intercorrente tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 così che non era possibile differirne ulteriormente la trattazione soprattutto in considerazione del fatto che sono state messe a disposizione le licenze per fare utilizzo dello strumento software Teams proprio al fine di celebrare udienza in sicurezza ed evitando il contatto fisico tra le parti processuali ed il Giudice.
Tale condizione rende attuale la rilevanza della questione così come richiesto anche dalla sentenza 91/2013 (red. Cartabia) dovendo necessariamente fare applicazione della norma oggetto della questione così come prospettata.
Ancora, sotto il profilo della rilevanza, appare necessario valutare se, ipotizzando che la decisione della Corte Costituzionale possa intervenire in un periodo successivo al 31 luglio 2020, la questione rivestirà il carattere di attualità per come definito con costanza dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (per un esame della tematica si rimanda ai quaderni dell’Ufficio Studi della Corte Costituzionale dell’ottobre 2016 ed alla raccolta di decisioni ivi contenute).
Sul punto, in disparte il fatto che nulla impedirebbe alla Corte Costituzionale ritenutane l’urgenza di trattare la questione in data anteriore al 31 luglio 2020 poiché gli artt. 25 e 26 della L. 87 del 11 marzo 1953 consentirebbero di adottare una decisione in poco più di quaranta giorni, si deve osservare che se è pur vero che lo strumento previsto dalla lettera F del comma 7 dell’art. 83 D.L. 18/2020 è attualmente previsto solo fino al 31 luglio 2020, non è possibile escludere che alla data del 31 luglio la situazione epidemiologica, che ha giustificato la sua introduzione, possa protrarsi soprattutto nei territori sui quali insiste l’Ufficio giudiziario del Giudice a quo che è collocato nel Distretto di Corte d’Appello di Brescia al cui interno è ricompreso anche il territorio delle province di Bergamo e Brescia la cui situazione epidemiologica può certamente dirsi avere i caratteri del notorio quanto alla diffusività della pandemia da COVID-19

così che la rimozione della norma sospettata di illegittimità costituzionale appare necessaria alla luce della attuale situazione di fatto presente nel territorio lombardo e del suo possibile prolungamento.
Per una migliore comprensione della diffusività del virus nel territorio lombardo appare utile riportare i dati aggiornati alla data dell’8 maggio reperibili sul sito istituzionale dell’Istituto Superiore di Sanità: Sintesi dei dati principali – Lombardia
• 79.369 infezioni diagnosticate dai laboratori di riferimento regionale
• Età mediana 66 anni (0aa-100aa)
• 14.611 decessi

Come ricorda la Corte Costituzionale la questione deve essere attuale nel senso che il Giudice remittente non deve aver esaurito il potere di decidere sulla questione la quale richiede l’applicazione della norma sospettata di illegittimità costituzionale (sentenza 200/2014) come è nel caso di specie considerato che il procedimento ex art. 702 bis c.p.c. non è stato deciso neppure quanto alla valutazione se operare o meno la sua conversione da rito sommario a rito ordinario.

2 – Non manifesta infondatezza
In ordine alla non manifesta infondatezza della questione sollevata, va osservato che l’obbligo di essere presenti in ufficio per il magistrato per poter utilizzare la connessione da remoto con Microsoft Teams, previsto dalla lettera F del comma 7 dell’art. 83 D.L. 18/2020 così come modificato dall’art. 3 comma 1 lett. C del D.L. 28/2020, è un obbligo attualmente sancito esclusivamente per le udienze che deve celebrare il Giudice civile non ritrovandosi analoga esplicita imposizione per qualsivoglia altro magistrato della giurisdizione (sia esso penale, amministrativo, contabile, tributario) così generando una evidente disparità di trattamento di situazioni simili.
Neppure il Giudice Costituzionale ha ritenuto di imporsi la presenza fisica in ufficio per fare ricorso allo strumento telematico per trattare i procedimenti sottoposti al suo esame come si evince dal provvedimento del 20 aprile 2020 della Presidente della Corte Costituzionale Prof.ssa Cartabia nel quale si legge che:

 

 

 

 

 

 

 

La manifesta irragionevolezza e disparità di trattamento che la norma, così come modificata dall’art. 3 comma 1 lett. C del D.L. 28/2020, riserva alle modalità di partecipazione all’udienza civile da parte del Giudice è resa ancora più evidente dal fatto che, nell’attuale situazione epidemiologica dei territori lombardi, essa costringe il Giudice, per vero solo quello civile, a recarsi presso l’ufficio giudiziario esponendosi lungo tutto il viaggio e durante la permanenza nei locali del Tribunale, ad essere contagiato od a contagiare soggetti terzi, laddove dovesse risultare un positivo asintomatico, il tutto al solo fine di poter utilizzare lo strumento informatico Microsoft Teams che, al contrario, potrebbe egualmente essere utilizzato con il collegamento da un luogo diverso e più sicuro rispetto all’ufficio giudiziario.
La norma in esame appare irragionevole anche perché omette di considerare se le dotazioni informatiche degli uffici giudiziari siano adeguate per sopportare il flusso di dati che verrebbe generato se tutti i magistrati dell’ufficio utilizzassero contemporaneamente la banda internet per svolgere udienza in videocollegamento da remoto come emerge dalle prime segnalazioni pervenute da svariati uffici giudiziari che segnalano difficoltà di collegamento nelle ore della giornata di maggior traffico.
In tal senso conforta le valutazioni del Giudice a quo anche il parere reso dal Consiglio Superiore della Magistratura n. 18/PP/2020 sul Decreto Legge del 30 aprile 2020 n. 28 che così osserva: “Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19.” – SETTORE CIVILE (relatore Consigliere BRAGGION).
Nel parere si legge tra l’altro “In assoluta controtendenza rispetto a quanto precedentemente previsto dal D.L. n. 18, come convertito dalla legge 27 del 2020, è la innovazione disposta dall’art. 1, comma 1, lett. c), D.L. n. 28/20, per la quale “lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario”, oltre che, come già previsto, “con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti”. È difficile individuare la ratio di tale scelta del legislatore, in mancanza di una sua illustrazione nella Relazione di accompagnamento, non risultando necessaria la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario per la celebrazione dell’udienza da remoto. Infatti, poiché in ogni caso nessuna delle parti viene in contatto fisico con il giudice, la presenza fisica di quest’ultimo nell’ufficio giudiziario non aggiunge nulla quanto alla modalità di espletamento del contraddittorio simultaneo e quanto alla sua qualità intrinseca. Né tale presenza semplifica la gestione dell’udienza da parte del giudice o l’attività degli avvocati, i quali sono tenuti al rispetto delle medesime regole tecniche, senza che il primo possa richiedere un ausilio qualificato per risolvere eventuali inconvenienti tecnici. Dal momento che nella stragrande maggioranza dei casi l’udienza civile è notoriamente celebrata senza la presenza fisica del cancelliere (né il D.L. 28 prevede l’obbligo della sua presenza in caso di processo da remoto), l’unica ipotetica giustificazione di tale presenza in ufficio sarebbe quella di garantire la funzionalità dell’udienza da remoto. Si tratta, tuttavia, di una ipotesi che non può trovare riscontro nella realtà, posto che è evidente che tale assistenza, in quanto garantita mediante procedure di help desk da remoto, risulta fruibile anche dal domicilio del magistrato, mentre gli uffici informatici dei Tribunali, in considerazione della loro ridotta dotazione, non sarebbero in grado di garantire interventi tecnici in tempo reale per tutti i giudici. Tutta da verificare, poi, è la capacità della rete informatica dei diversi uffici giudiziari di reggere il carico di lavoro conseguente allo svolgimento contestuale di numerose udienze da remoto. L’obbligo di presenza del giudice non trova spiegazione neanche nella necessità che l’udienza sia preceduta da un rituale invito a partecipare rivolto agli avvocati. La formula utilizzata dalla disposizione contenuta nella lettera f) implica che la comunicazione avvenga tramite PEC a cura della Cancelleria (“Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti ed al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento”), il che presuppone, naturalmente, che l’avviso sia disposto con congruo anticipo, per consentire la partecipazione effettiva, e non di certo il giorno dell’udienza. Ancora, la norma non può trovare giustificazione nella possibilità che gli avvocati, le parti o gli ausiliari conservino comunque la possibilità di recarsi fisicamente presso la sede fisica ove si trova il giudice, in quanto è evidente che ciò contrasterebbe non solo, ovviamente, con il principio del distanziamento sociale, ma anche con la linearità dello strumento, che mal si presta alla celebrazione di una udienza “ibrida”, in parte in presenza e in parte da remoto. La necessaria presenza fisica in ufficio, peraltro, potrebbe inutilmente determinare l’impossibilità di svolgere le udienze da remoto sia nel caso in cui vi sia una temporanea impraticabilità dell’ufficio per la necessità di sanificazione conseguente alla scoperta di casi positivi, sia nel caso in cui i giudici siano positivi asintomatici oppure, anche se negativi, debbano permanere in isolamento domiciliare a causa del precedente contatto con persone risultate positive. Va altresì rilevato che la norma in esame, prevedendo la necessità della presenza fisica del giudice nell’ufficio giudiziario, deve intendersi riferita sia all’organo giudicante monocratico sia a quello collegiale. In tale ultimo caso, però, la norma non chiarisce se i componenti del collegio debbano essere contestualmente presenti nell’aula di udienza o se gli stessi possano mettersi in collegamento tra loro da remoto, ciascuno dal proprio ufficio o comunque da locali interni all’ufficio giudiziario. Deve, infine, evidenziarsi che l’art. 4, comma 1, intervenendo sull’art. 84, relativo al processo amministrativo – con disposizione analoga a quella dettata dall’art. 85, come modificato dall’art. 5 del D.L. n. 28 del 2020, sul processo contabile -, stabilisce che “il luogo da cui si collegano i magistrati, gli avvocati e il personale addetto è considerato udienza a tutti gli effetti di legge”, e quindi esclude l’obbligo di presenza del collegio presso l’ufficio giudiziario, con una soluzione opposta a quella relativa al processo civile. Peraltro, anche per il processo penale, ove consentito da remoto, non viene disposto alcun obbligo per il giudice di presenza fisica presso l’ufficio giudiziario (art. 83, comma 12 bis)”.
Come ben evidenziato nel parere proposto dalla sesta commissione al Plenum del CSM, la norma appare irragionevole e contraddittoria anche con sé stessa nella parte in cui, al comma 12 quinquies del medesimo art. 83, è previsto che: “12-quinquies. Dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020, nei procedimenti civili e penali non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati e’ considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge”.

Tale previsione comporta quindi l’effetto irragionevole che il Giudice civile, monocratico o collegiale, dovrebbe recarsi in ufficio per utilizzare la stanza virtuale di Teams per collegarsi con i procuratori delle parti, le parti medesime od il CTU (tutti in collegamento da luoghi diversi dall’ufficio giudiziario) per poi invece, al termine dell’udienza, spostarsi in un luogo diverso e meno soggetto all’afflusso del pubblico indifferenziato, per collegarsi nuovamente alla medesima stanza virtuale con Teams e con i membri del Collegio per deliberare la decisione conseguente alla celebrazione dell’udienza svoltasi in ufficio, ma da remoto.
La irragionevolezza della norma traspare altresì dal percorso legislativo prescelto per la sua introduzione. Non appare superfluo ricordare che lo strumento prescelto, il decreto legge, dovrebbe essere adottato “in casi straordinari di necessità e d’urgenza” (art. 77 Cost.).
La Relazione illustrativa al D.L. 28/2020, che interviene a modificare la legge di conversione n. 27/2020 del D.L. 18/2020, spiega in questi termini le ragioni di necessità e d’urgenza che ne hanno giustificato la sua introduzione: “Viene poi integrata la disciplina prevista dal comma 7, lettera f), dell’articolo 83 sullo svolgimento delle udienze civili da remoto, specificando che, dove questa modalità sia consentita, deve essere comunque garantita la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario (comma 1, lettera c)).”.
Non migliore illustrazione è rinvenibile dall’esame della Relazione Tecnica laddove si legge, quanto alla modifica che introduce l’art. 3 alla lettera F del comma 7 dell’art. 83, che la modifica si giustifica per garantire la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario.

Non è dato sapere quale garanzia offra al processo la presenza del Giudice in ufficio se poi egli si deve collegare ad un luogo virtuale quale è quello della stanza virtuale messa a disposizione da DGSIA e nessuna delle altre parti processuali possa accedere ai locali del Tribunale. Certo non ragioni di sicurezza considerato che il portatile ministeriale è stato fornito proprio per l’utilizzo da fuori ufficio e per questo viene dotato di una pila software validata dagli organici tecnici del Ministero che lo proteggano da virus ed indebite intrusioni. Certo non ragioni legate alla assistenza tecnica che non è somministrabile in real time considerato che l’intervento va prenotato con una telefonata ad un numero verde o con l’invio di una mail, mentre non è prevista l’assistenza in udienza di tecnici specializzati così come ormai non è .
La violazione degli artt. 77 e 97 Cost. appare manifesta se si considera che si è proceduto con decretazione di urgenza per modificare la legge di conversione di un altro decreto legge negli stessi giorni nei quali questa veniva pubblicata in Gazzetta Ufficiale al fine di introdurre l’obbligo per il Giudice di essere presente in ufficio per poter utilizzare un software per la gestione da remoto della stanza virtuale fornita da DGSIA che funziona meglio se utilizzato con connessioni internet diverse da quelle attualmente disponibili nella maggior parte degli uffici giudiziari italiani (come evidenzia anche il parere del Consiglio Superiore della Magistratura) e tutto ciò al fine di garantire la presenza del Giudice in ufficio senza che gli altri attori del processo possano accedervi per le stesse ragioni di sanità pubblica che indurrebbero ad evitare che anche il Giudice sia costretto a recarvisi.
La norma in esame si appalesa anche manifestamente irragionevole e contraria al buon andamento nella Pubblica Amministrazione (97 Cost.) poiché in contrasto con la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 1 del 2020 (“Misure incentivanti per il ricorso a modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa”), che ha, in particolare al punto 3, indicato l’importanza del ricorso al lavoro agile, alla flessibilità di svolgimento della prestazione lavorativa, nonché a strumenti per la partecipazione da remoto a riunioni e incontri di lavoro (sistemi di videoconferenza e call conference).
La predetta esigenza è posta a fondamento anche dell’art. 87, comma 1, del D.L. 18/2020 laddove si dispone che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica, il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni e che la presenza del personale negli uffici deve essere limitata per assicurare esclusivamente le attività indifferibili che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro.
Non sono tali certamente quelle del Giudice civile che a far data dal 30 giugno del 2014, grazie agli artt. 16 bis e segg. del D.L. 179/2012, opera quotidianamente con la Consolle del Magistrato per la gestione del proprio ruolo e per la celebrazione delle udienze visto che anche per i procuratori delle parti precedentemente costituite è obbligatorio il deposito di atti e documenti solo a mezzo PCT.
Inoltre l’art. 83 c. 11 del D.L. 18/2020, fino al 31 luglio 2020, impone l’obbligo del deposito telematico a mezzo PCT anche per gli atti introduttivi così che, perlomeno in questo periodo emergenziale, ha creato il fascicolo processuale civile telematico perfetto che deve essere integralmente informatico e quindi agevolmente consultabile anche tramite la Consolle del Magistrato così rendendo superfluo perfino l’accesso all’ufficio per la consultazione del fascicolo cartaceo che per legge, fino al 31 luglio 2020, non esisterà più.
Ancora, come si ricava proprio dal comma 12 quinquies dell’art. 83 del D.L. 18/2020, la presenza in ufficio non è affatto necessaria visto che “Il luogo da cui si collegano i magistrati e’ considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge” così che se il mezzo tecnologico è idoneo per celebrare la Camera di consiglio, non è oggettivamente comprensibile perché non lo possa essere per celebrare l’udienza, peraltro solo quella civile perché la limitazione vale solo per le udienze civili, considerato che lo strumento tecnico è il medesimo sia per le udienze che per le camere di consiglio.

Poiché, alla luce delle suesposte ragioni, il Giudice Istruttore del Tribunale di Mantova in composizione monocratica dubita della legittimità costituzionale dell’art. 83 c. 7 lett. F del D.L. 18/2020 convertito nella L. 27/2020 così come modificato dall’art. 3 comma 1 lett. C del D.L. 28/2020 per il palese contrasto con gli artt. 3, 32, 77 e 97 Cost. limitatamente alle parole “con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario e”;
letto l’art. 23 della L. 87 del 11 marzo 1953 e 295 c.p.c.

Rimette

gli atti del presente procedimento alla Corte Costituzionale e dispone la sospensione del procedimento a quo in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulla questione così come sollevata.

Ordina

che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Camera ed alla Presidente del Senato.
Si comunichi altresì alle parti costituite.
Mantova li 19 maggio 2020

IL GIUDICE ISTRUTTORE
– Dott. Giorgio Bertola –
Firmato

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Trib. Monza, ord. 19 marzo 2020 (est. Ravera)

ATTENZIONE

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Ordine di protezione – Covid-19 – Revoca udienza – Trattazione scritta – Deposito telematico – Note scritte

TRIBUNALE ORDINARIO di MONZA

SEZIONE QUARTA CIVILE

Il Giudice,
Visti il D.L. 11/2020 e il D.L. 18/2020;
Visto il provvedimento della Presidenza del Tribunale del 18.3.2020 (Prot. n. 801/20) in materia di disposizioni attuative per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19;
Rilevato che il presente procedimento, per quanto concerne l’ordine di protezione, rientra fra quelli indicati agli artt. 2.2. lett. g) punti 1, 2, 3 del D.L. 11/2020 e 83 comma 3 lett. a) del D.L. 18/2020 come affari urgenti per il settore civile;
che, tuttavia, la trattazione dell’ordine di protezione ai sensi dell’art. 736 bis c.p.c. non postula la necessaria presenza personale delle parti in udienza;
Ritenuto, alla luce del citato provvedimento della Presidenza del Tribunale e sentito il Presidente di Sezione, di far luogo alla trattazione scritta dell’ordine di protezione (con udienza già fissata al 26.3.2020, ore 13,00) ai sensi dell’art. 83 comma 7 lett H) del D.L. 18/2020;

P.Q.M.

Dispone che il procedimento relativo all’ordine di protezione sia trattato in forma scritta ai sensi dell’art. 83 comma 7 lett H) del D.L. 18/2020 e per l’effetto:
I) assegna alle parti termine sino al 26.3.2020 per il deposito di note scritte con istanze e conclusioni in merito al solo ordine di protezione, con invito alle parti a precisare le modalità di frequentazione (anche solo in via telefonica o con collegamento informatico, stante la situazione di emergenza sanitaria in corso) fra i minori e il padre e invito a N. C. confermare che resterà presso l’abitazione del di lui padre sino alla data dell’udienza presidenziale, senza fare accesso alla casa coniugale;
II) revoca la già fissata udienza del 26.3.2020, ore 13,00;
III) riserva la decisione alla scadenza del termine del 26.3.2020.
Manda alla Cancelleria di comunicare con urgenza alle parti.
Monza, lì 19.3.2020

Il Giudice
Cristina Ravera

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Trib. Siracusa, ord. 13 marzo 2020 (est. Maida)

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Udienza in video conferenza – Skype for Business – Teams – DL n. 11/2020 – COVID-19 – Aula virtuale

TRIBUNALE DI SIRACUSA

SEZIONE PRIMA CIVILE – SETTORE PROCEDURE CONCORSUALI

IL GIUDICE DELEGATO

letta l’istanza dell’avv. M. S. curatore del fallimento in epigrafe;

visto l’art. 101 l.fall.;

visto l’art. 2, comma 2, lett. f) del D.L. 8 marzo 2020 n. 11, relativo alle misure da adottare, all’interno degli Uffici Giudiziari, per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria;

visto il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia del 10/3/2020 (m_dg.DOG07.10/03/2020.0003413.ID) il quale dispone che, nell’ipotesi prevista dall’art. 2, comma secondo, lett. f), del Decreto legge 8 marzo 2020, n. 11, le udienze civili possono svolgersi mediante collegamenti da remoto organizzati dal giudice utilizzando gli applicativi “Skype for business” o “Teams”, operanti su infrastrutture di pertinenza del Ministero della Giustizia o su data center riservati in via esclusiva al medesimo;

rilevato che l’art. 95, comma 3, l. fall., come integrato dal dl n. 59/2016, prevede che il Giudice delegato, in relazione al numero di creditori e all’entità del passivo, può stabilire che “l’udienza sia svolta in via telematica con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei creditori, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi”;

ritenuto che, avuto riguardo alla esigenza contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria, ed in considerazione del numero potenzialmente elevato di creditori che potrebbero partecipare all’udienza, risulta necessario prevederne lo svolgimento mediante videoconferenza;

FISSA

per l’esame delle domande tardive l’udienza del 21/05/2020, ore 11:45, assegnando al curatore termine fino a quindici giorni prima per il deposito in cancelleria del progetto di stato passivo, corredato dalle relative domande.

DISPONE

che il curatore trasmetta, a mezzo PEC, nel suddetto termine il progetto di stato passivo a tutti coloro che hanno presentato domande di insinuazione al passivo, dando altresì avviso dell’udienza fissata.

DISPONE

che la partecipazione all’udienza da parte del curatore, dei creditori e del fallito avvenga esclusivamente mediante videoconferenza, con l’utilizzo del software “Teams di Microsoft” tramite collegamento al seguente link:

Aula udienza virtuale Dott. Maida

L’utilizzo del software per l’accesso alla stanza virtuale è gratuito, e non richiede registrazioni, inserimento di credenziali né sottoscrizione di abbonamenti. L’utente dovrà dotarsi unicamente di un dispositivo (PC, tablet o smartphone) munito di videocamera e microfono.

Nel giorno fissato per l’udienza, con congruo anticipo rispetto all’orario concordato (almeno dieci minuti), l’utente che intenda partecipare dovrà compiere le seguenti operazioni:

1) Cliccare sul link della Aula udienza virtuale Dott. Maida per accedere alla stanza virtuale del magistrato;

2) Nel caso l’applicazione non sia installata sul pc dell’utente, verrà visualizzata un schermata nella quale sarà possibile scegliere tra le seguenti opzioni:

  1. a) Scaricare il tool di Teams tramite il pulsante “Scarica l’app di Windows” (opzione consigliata);
  2. b) Selezionare il pulsante “Partecipa sul Web” (attenzione è preferibile utilizzare uno dei seguenti browser supportati: IE, Chrome, etc)

Se si sceglie di scaricare e installare l’applicazione Teams, dopo il primo avvio potrebbe essere necessario chiudere l’applicazione e cliccare nuovamente sul superiore link;

3) Una volta fatta la scelta di cui al punto 2), l’utente potrà accedere inserendo il proprio “Nome e Cognome” nel campo Immetti il nome, che sarà visualizzato al resto dei partecipanti;

4) Cliccando su Partecipa ora l’utente viene inserito nella sala d’attesa virtuale, ove rimarrà in attesa sino a quando il magistrato lo ammetterà nell’aula d’udienza virtuale.

DISPONE

che il curatore di avviso, a mezzo PEC, a tutti i creditori della nuova data di udienza e delle modalità di collegamento, come sopra determinate.

Il Curatore avrà cura di riportare, all’interno della comunicazione, le modalità di partecipazione all’udienza, come sopra determinate ed il link esteso all’aula virtuale1.

1 Link esteso all’aula virtuale:

Si comunichi al curatore.

Siracusa, 13/03/2020

IL GIUDICE DELEGATO

Dott. Federico Maida

 

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Cass., sez. I, sent. 5 agosto 2011 n. 17035 (Pres. Plenteda, rel. Zanichelli)

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Omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La curatela del fallimento in epigrafe ricorre per cassazione avverso la sentenza non definitiva con la quale il giudice di pace ha rigettato l’eccezione di inammissibilità della domanda proposta della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18 nei confronti del fallimento M.A.S. s.a.s. di R.V.M. e della G.A. s.p.a. di condanna al risarcimento dei danni da sinistro stradale nonchè nei confronti di quella definitiva che tale risarcimento ha stabilito condannando anche la curatela.

Il ricorso si articola in quattro motivi: con il primo si deduce violazione della L. Fall., artt. 24, 52 e 93, per essere stata la domanda proposta nei confronti di soggetto fallito avanti a giudice incompetente e al di fuori dello specifico rito; con il secondo violazione degli artt. 38 e 102 c.p.c. per non essere territorialmente competente il giudice di Caserta ma di Marcianise, stante il luogo del verificarsi del danno; con il terzo violazione degli artt. 2947 e 2943 c.c. per non avere il giudice a quo dichiarato l’intervenuta prescrizione del diritto azionato; con il quarto violazione degli artt. 2054 e 2697 c.c. per avere omesso il giudice di pace di rilevare l’insussistenza della prova in ordine alle modalità con cui si sarebbe verificato il sinistro.

Le intimate non hanno proposto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo con il quale si deduce violazione di legge per avere il giudice di pace rigettato le eccezioni sollevate dalla curatela in ordine all’improponibilità della domanda di condanna è fondato. E’ principio assolutamente pacifico quello secondo cui ogni pretesa a contenuto patrimoniale svolta nei confronti di un soggetto fallito deve essere azionata attraverso lo speciale procedimento endofallimentare dell’accertamento del passivo da attivarsi avanti al tribunale fallimentare, essendo improcedibile ogni diversa azione.

Nè un’eccezione a tale principio può derivare dalla circostanza che la domanda proposta attenga ad un’azione che, come nella fattispecie, comporti il necessario intervento di più litisconsorti (L. n. 990 del 1969, art. 23), posto che, come aveva già rilevato la più attenta dottrina, in esito alla riforma della legge fallimentare che non prevede più l’opposizione allo stato passivo nelle forme dell’ordinario processo di cognizione, viene impedito il simultaneus processus nei confronti del fallito e dei litisconsorti dal momento che nell’ambito dell’attuale rito è sicuramente esclusa la presenza di parti estranee al fallimento nell’ambito di un procedimento che, comunque si voglia individuarne l’oggetto, non prevede pronunce di condanna o anche solo di accertamento destinate ad avere efficacia in ambito extra concorsuale nei confronti del litisconsorte in bonis.

Avendo l’attrice optato per l’azione volta alla condanna, oltre che dell’assicuratore, anche del responsabile fallito citando oltretutto la curatela fallimentare, l’azione nel suo complesso non può che essere dichiarata inammissibile, posto che la parte danneggiata avrebbe dovuto, in alternativa alla sola domanda nei confronti del danneggiante da proporsi con il rito fallimentare, astenersi da ogni conclusione nei suoi confronti o dichiarare l’intenzione di avvalersi di un’eventuale condanna solo in esito al ritorno in bonis.

L’accoglimento del motivo comporta l’assorbimento di quelli ulteriori.

L’impugnata sentenza deve dunque essere cassata senza rinvio in quanto il processo non poteva essere iniziato.

La novità della questione induce alla compensazione delle spese.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa senza rinvio le sentenze impugnate in relazione al motivo accolto in quanto la causa non poteva essere iniziata e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

Cass., sez. I, sent. 5 agosto 2011 n. 17035 (Pres. Plenteda, rel. Zanichelli) Leggi tutto »