Giurisprudenza

Cass., sez. lav., ord. 1 aprile 2019 n. 9029 (Pres. Nobile, rel. Blasutto)

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Procedimento civile – Termini per l’impugnazione – Decorrenza – Modalità di redazione e trasmissione della sentenza – Formato cartaceo e formato elettronico – Differenze

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIO NOBILE – Presidente –

Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE – Consigliere –

Dott. ROSA ARIENZO – Consigliere –

Dott. DANIELA BLASUTTO – Rel. Consigliere  –

Dott. CARLA PONTERIO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso NN-AAAA proposto da:

M.M. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, ***, presso lo studio dell’avvocato F.P., che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato R.R.;

– ricorrente –

contro

O.S. C.D.L.P., A.A.C.C., E.P.D.O., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, ***, presso lo studio dell’avvocato M.T., che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. NN/AAAA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 11/07/2016 R.G.N. NN/AAAA.

RILEVATO CHE

1. La Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con sentenza n. NN/2016, ha dichiarato antisindacale la condotta tenuta da M.M. s.p.a. in occasione dello sciopero proclamato il 20 gennaio 2011 dall’O.S. C.D.L.P.; ha ordinato alla società di cessare immediatamente la condotta illecita e di astenersi per il futuro dall’utilizzare il potere disciplinare per limitare il diritto di sciopero; per l’effetto, ha annullato le sanzioni disciplinari irrogate ai lavoratori indicati nel ricorso ex art. 28 Stat. lav..

2. Per la cassazione di tale sentenza M.M. s.p.a. ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso C.D.L.P..

3. Preliminarmente, l’O.S. resistente ha eccepito la tardività del ricorso ex art. 327 cod. proc. civ. perché avviato alla notifica il 13 gennaio 2017, oltre il termine di sei mesi previsto dalla predetta norma e decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza, avvenuta I’11 luglio 2016 mediante deposito in cancelleria.

4. Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ., per contrastare la suddetta eccezione. Ha dedotto che la sentenza era stata comunicata dalla cancelleria via pec in data 14 luglio 2016, ai sensi dell’art. 133 cod. proc. civ. e che, quindi, ai fini della decorrenza del termine per impugnare, occorreva avere riguardo a tale adempimento, da cui la tempestività e l’ammissibilità del ricorso per cassazione. Deduce che una diversa soluzione interpretativa imporrebbe alle parti interessate l’onere di recarsi quotidianamente in cancelleria, a partire dal giorno successivo alla discussione, per verificare l’avvenuto deposito del provvedimento completo di motivazione, al fine di evitare di incorrere nella decadenza.

CONSIDERATO CHE

1. Preliminarmente, va rilevata la tardività del ricorso per cassazione ex art. 327 cod. proc. civ., in quanto avviato alla notifica in data 14 gennaio 2017, oltre il compimento del termine di decadenza di sei mesi (applicabile ratione temporis), termine scaduto l’11 gennaio 2017 (coincidente con un mercoledì) e decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza, avvenuta con il suo deposito nella cancelleria del giudice a quo.

2. Occorre premettere che la sentenza impugnata non è stata redatta in formato elettronico, ma in formato cartaceo e risulta depositata in cancelleria in data 11 luglio 2016, come da attestazione del funzionario apposta in calce al provvedimento. Ai fini della decorrenza del suddetto termine, è rilevante soltanto l’attestazione dell’avvenuto deposito e non la diversa data (14 luglio 2016) della successiva comunicazione di cancelleria avvenuta via PEC alle parti.

3. Non trova applicazione la disciplina dettata per le sentenze redatte in formato elettronico, in cui è dal momento della trasmissione del provvedimento per via telematica mediante PEC che il procedimento decisionale è completato e si esterna, divenendo il provvedimento, dalla relativa data, irretrattabile dal giudice che l’ha pronunciato e legalmente noto a tutti, con decorrenza del termine lungo di decadenza per le impugnazioni ex art. 327 cod. proc. civ. (Cass. n. 17278 del 2016). Questa Corte ha precisato che, nel caso di redazione della sentenza in formato elettronico, la relativa data di pubblicazione, ai fini del decorso del termine cd. “lungo” di impugnazione, coincide non già con quella della sua trasmissione alla cancelleria da parte del giudice, bensì con quella dell’attestazione del cancelliere, giacché è solo da tale momento che la sentenza diviene ostensibile agli interessati (Cass. n. 24891 del 2018).

4. È sempre con riguardo all’ipotesi che alla redazione integrale della sentenza provveda direttamente il giudice estensore in formato elettronico che questa Corte, a Sezioni Unite, si è pronunciata precisando che: “dal momento in cui il documento, conforme al modello normativo (art. 132 cod. proc. civ., e art. 118 disp. att. cod. proc. civ.), è consegnato ufficialmente in cancelleria – ovvero è trasmesso in formato elettronico per via telematica mediante PEC (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 48) – il procedimento della decisione si completa e si esterna e dalla relativa data la sentenza diviene irretrattabile dal giudice che l’ha pronunziata; è legalmente nota a tutti; inizia a decorrere il termine lungo di decadenza per le impugnazioni di cui all’art. 327 cod. proc. civ., comma 1; produce tutti i suoi effetti giuridici” (cfr. Cass., Sez. Un., 10 agosto 2012, n. 13794).

5. Al di fuori di tale ambito, trova applicazione la regola secondo cui il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione (Cass. S.U. n. 18569 del 2016).

6. Non risulta neppure prospettato da parte ricorrente che nel caso in esame l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico si fosse perfezionato in data successiva a quella del deposito, sicché non è applicabile il principio sancito da Sezioni Unite n. 18569 del 2016 secondo cui, in caso di apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice deve accertare – attraverso istruttoria documentale ovvero ricorrendo a presunzioni semplici, o, infine, alla regola di cui all’art. 2697 cod. civ. – il momento in cui la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo.

7. In presenza di un’unica attestazione di deposito, trova applicazione il consolidato principio secondo cui, l’attestazione con la quale il cancelliere, ai sensi del secondo comma dell’art. 133 cod. proc. civ., dà atto del deposito della sentenza, costituisce atto pubblico la cui efficacia probatoria, ex art. 2700 cod. civ..

8. La pubblicazione della decisione si ha con l’attestazione del cancelliere, attestazione, che, appunto, ha la funzione di pubblicare la stessa. Da tale momento la sentenza diviene ostensibile agli interessati, con la logica ricaduta che da questo momento il temine lungo per impugnare inizia a decorrere. L’impugnabilità nel termine attualmente fissato in sei mesi, nel caso in cui la sentenza non risulti essere stata notificata, poggia sul presupposto che essa sia appunto conoscibile alla parte, pur attraverso la necessaria intercessione del difensore.

9. Né la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, atteso che il termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria medesima, degli obblighi di comunicazione alle parti, e che, inoltre, rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa (cfr. Cass. n. 5946 del 2017). Ed infatti, l’art. 327 cod. proc. civ. opera un non irragionevole bilanciamento tra l’indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa, poiché l’ampiezza del termine consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda e la decorrenza, fissata avuto riguardo alla pubblicazione, costituisce corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio (Cass. n. 26402 del 2014).

10. Giova osservare, altresì, che con l’art. 16, comma 3, d.l. n. 179 del 2012, conv. in I. n. 221 del 2012, il legislatore ha modificato il secondo comma dell’art.45 disp.att.c.p.c., disponendo che il biglietto di cancelleria deve contenere “il testo integrale del provvedimento comunicato”. Al quarto comma del medesimo art. 16 ha previsto che “Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”. Il legislatore è poi intervenuto sull’art.133, secondo comma, cod. proc. civ., con l’art. 45, primo comma lett.b), d.l. n. 90 del 2014, precisando che: “Il Cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto di cancelleria contenente il testo integrale della sentenza, ne dà notizia alle parti che si sono costituite”. Il legislatore è intervenuto in sede di conversione del d.l. n. 90 del 2014, aggiungendo al comma 2 dell’art. 133 cod. proc.civ. che “La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’articolo 325”. Pertanto, in via generale, la comunicazione del provvedimento da parte della cancelleria, non è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione.

11. Peraltro, come chiarito dalla giurisprudenza della Corte, la modifica normativa non ha inciso sulle norme processuali, derogatorie e speciali, che collegano la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione del provvedimento da parte della cancelleria, come è stato chiarito da una serie di successive pronunce intese a definire l’ambito di applicazione della novella. E’ stato infatti affermato che la modifica dell’art. 133 cod. proc. civ., secondo cui “la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325”, attiene al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria, sicché non può investire, neppure indirettamente, le previsioni speciali che appunto in via derogatoria, comportino la decorrenza di termini – anche perentori – dalla semplice comunicazione del provvedimento. Nell’ambito delle controversie di lavoro, è il caso previsto dall’art. 1, commi 58 e 62, legge n. 92 del 2012.

12. Dunque, al di fuori di tali ipotesi, la regola generale per i provvedimenti depositati in forma cartacea è che la comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria non incide sulla decorrenza dei termini per l’impugnazione, per cui trova applicazione il termine “lungo” di cui all’art. 327 cod. proc. civ., decorrente dal deposito del provvedimento, nel caso che nessun interessato abbia provveduto alla notificazione di propria iniziativa.

13. Per tali assorbenti motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

14.Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 4.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 febbraio 2019

Il Presidente

Vittorio Nobile

Cass., sez. lav., ord. 1 aprile 2019 n. 9029 (Pres. Nobile, rel. Blasutto) Leggi tutto »

Corte Cost., sent. 9 aprile 2019 n. 75 (Pres. Lattanzi, rel. Morelli)

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Notifiche a mezzo PEC – Art. 16-septies, d.l. n.179/2012 – Applicazione dell’art. 147 c.p.c. – Notifiche eseguite dopo le ore 21 – Perfezionamento alle ore 7 del giorno successivo – Questione di legittimità costituzionale – Violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. – Fondatezza
Art. 16-septies, d.l. n. 179/2012 – Notifica a mezzo PEC eseguita dopo le ore 21 ed entro le ore 24 – Perfezionamento per il notificante alle 7 del giorno successivo – Illegittimità costituzionale

SENTENZA N. 75

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45-bis, comma 2, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, promosso dalla Corte di appello di Milano, nel procedimento vertente tra la S.a.“I.C.” e il B.B. spa, con ordinanza del 16 ottobre 2017, iscritta al n. 15 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione del B.B. spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 marzo 2019 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

udito l’avvocato C.B. per il B.B. spa e l’avvocato dello Stato G.D.B. per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Nel corso di un giudizio civile di secondo grado – nel quale la società appellata aveva preliminarmente eccepito l’inammissibilità del gravame in quanto notificato a mezzo posta elettronica certificata (PEC), l’ultimo giorno utile, con messaggio inviatole alle ore 21:04 (con ricevute di accettazione e di consegna generate, rispettivamente, alle ore 21:05:29 e alle ore 21:05:32), in fascia oraria quindi (successiva alle ore 21) implicante il perfezionamento della notificazione «alle ore 7 del giorno successivo» (data in cui l’impugnazione risultava, appunto, tardiva) – l’adita Corte di appello di Milano, sezione prima civile, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45-bis, comma 2, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, a norma del quale «[l]a disposizione dell’articolo 147 del codice di procedura civile si applic[hi] anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo».

Secondo la rimettente, la disposizione denunciata – della quale non sarebbe, a suo avviso, possibile (senza implicarne la sostanziale abrogazione) una interpretazione costituzionalmente adeguata – violerebbe, appunto, l’art. 3 Cost., sotto il profilo, sia del principio di eguaglianza, sia di quello della ragionevolezza, poiché la prevista equiparazione del “domicilio fisico” al “domicilio digitale” comporterebbe l’ingiustificato eguale trattamento di situazioni differenti – le notifiche “cartacee” e quelle “telematiche” – considerato anche che, per queste ultime, in linea di principio, non verrebbe in rilievo (come per le prime) l’esigenza di evitare «“utilizzi lesivi” del diritto costituzionalmente garantito all’inviolabilità del domicilio» o dell’«interesse al riposo e alla tranquillità».

La disposizione stessa si porrebbe, altresì, in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., in quanto, nel caso di notifica effettuata a mezzo PEC, la previsione di un limite irragionevole alle notifiche, l’ultimo giorno utile per proporre appello, comporterebbe una grave limitazione del diritto di difesa del notificante giacché, «trovandosi a notificare l’ultimo giorno utile (ex art. 325 cod. proc. civ.) è costretto a farlo entro i limiti di cui all’art. 147 c.p.c., senza poter sfruttare appieno il termine giornaliero (lo stesso art. 135 [recte: 155] c.p.c. fa riferimento a “giorni”) che dovrebbe essergli riconosciuto per intero».

2.– In questo giudizio si è costituita, ed ha poi anche depositato memoria integrativa, la società che resiste all’appello nel giudizio a quo.

Detta società ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della questione, sia per «genericità ed indeterminatezza del petitum» (non essendone specificato il verso caducatorio o manipolativo), sia per erroneità del presupposto interpretativo (avrebbe errato la Corte rimettente «nel ritenere rilevante il principio di scissione soggettiva degli effetti della notifica via p.e.c., venendo invece in rilievo, per l’applicazione dell’art. 16-septies, il diverso principio del perfezionamento del procedimento notificatorio»).

In subordine, ha contestato, nel merito, la fondatezza della questione, sostenendo, tra l’altro, che l’interesse tutelato dalla norma sia quello del destinatario e non quello del mittente, per cui, ove si ritenesse perfezionata una notifica «eseguita» dopo le ore 21, l’interesse di quest’ultimo non sarebbe «meritevole di tutela», giacché è il mittente «in prima persona responsabile della violazione dell’orario franco», avendo «creato il presupposto tale per cui la notifica slitti necessariamente al giorno seguente».

3.– È pure intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, per la non fondatezza della sollevata questione.

Secondo l’Avvocatura, la norma denunciata potrebbe essere, infatti diversamente interpretata, senza che se ne ponga un problema di «sostanziale abrogazione», non essendovi neppure ostacolo nella sua formulazione letterale. Essa, infatti, non indicherebbe il soggetto rispetto al quale la notificazione «si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo», così consentendo una lettura coerente con il principio della scissione del momento perfezionativo, che anche per le notifiche telematiche è stato previsto dall’art. 3-bis, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali), essendo quindi possibile ritenere che «gli effetti del differimento al giorno dopo operino per il destinatario, ma non per il notificante». E da ciò, dunque, l’inammissibilità della questione «per non essere stata tentata una interpretazione della normativa costituzionalmente orientata», ovvero la sua non fondatezza alla luce di una tale esegesi costituzionalmente adeguata.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza di cui si è detto nel Ritenuto in fatto, la Corte di appello di Milano, sezione prima civile – al fine del decidere sulla eccezione di tardività di un gravame innanzi a sé proposto con atto notificato per via telematica dopo le ore 21 ed entro le ore 24 dell’ultimo giorno utile (con ricevute di accettazione e di consegna generate, rispettivamente, alle ore 21:05:29 e alle ore 21:05:32) – ha ritenuto, di conseguenza, rilevante ed ha perciò sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45-bis, comma 2, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, il quale prevede che «[l]a disposizione dell’articolo 147 del codice di procedura civile [secondo cui «Le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21»] si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo».

Secondo la rimettente, la disposizione denunciata irragionevolmente considererebbe «uguali e, quindi, meritevoli di essere disciplinate allo stesso modo» due situazioni diverse, quali il domicilio “fisico” e il domicilio “digitale”.

E ciò nonostante che, «per le sue intrinseche caratteristiche, l’indirizzo email cui l’avvocato della parte appellata riceve la posta elettronica certificata non sia suscettibile degli stessi “utilizzi lesivi” del diritto costituzionalmente garantito all’inviolabilità del domicilio o all’interesse al riposo e alla tranquillità, [di] cui è invece suscettibile il domicilio “fisico” della parte».

Per di più senza considerare che «quand’anche si ammettesse che colui che riceve una posta elettronica venga leso nel suo diritto al riposo, la semplice estensione del limite d’orario previsto dall’art. 147 c.p.c. alle notifiche a mezzo PEC non bloccherebbe l’inevitabile ricezione dell’email da parte del destinatario con il disturbo che ne consegue», poiché «[l]a PEC, una volta giunta al server dell’appellato, non può essere rifiutata e, quindi, la ricezione dell’email può effettivamente avvenire in ogni momento, ad ogni ora del giorno e della notte, con il sostanziale raggiungimento del domicilio digitale del destinatario anche oltre il formale limite codicistico», non sussistendo un esplicito divieto normativo di notifica a mezzo PEC dopo le ore 21 e prima delle ore 7.

Dal che, appunto, la violazione del principio di uguaglianza e del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.

Del pari violati, dalla disposizione in esame, sarebbero gli artt. 24 e 111 Cost., per il vulnus, che ne deriverebbe, al diritto di difesa del notificante. Il quale, «infatti, trovandosi a notificare l’ultimo giorno utile (ex art. 325 c.p.c.) è costretto a farlo entro i limiti di cui all’art. 147 c.p.c., senza poter sfruttare appieno il termine giornaliero (lo stesso art. 135 [recte: 155] c.p.c. fa riferimento a “giorni”) che dovrebbe essergli riconosciuto per intero».

2.– È preliminare l’esame delle eccezioni di inammissibilità della questione – a) per «genericità e indeterminatezza del petitum»; b) per suo «erroneo presupposto interpretativo»; c) «per non essere stata tentata una interpretazione della normativa costituzionalmente orientata» − formulate, rispettivamente, le prime due, dalla parte costituita e, la terza, dall’Avvocatura generale dello Stato.

2.1.– Nessuna di tali eccezioni è suscettibile di accoglimento.

Ed invero:

a) letta nella sua interezza, e secondo l’argomentata prospettazione del Collegio a quo, l’ordinanza di rimessione auspica – in modo chiaro ed univoco – una decisione, a rima obbligata, che riconosca al mittente che proceda alla notifica con modalità telematiche l’ultimo giorno utile, «per intero il termine a sua disposizione, fino alla mezzanotte del giorno stesso»;

b) l’asserita erroneità del presupposto interpretativo attiene propriamente al merito e resta quindi estraneo al profilo della ammissibilità della questione;

c) la Corte milanese non ha omesso di verificare la possibilità di una interpretazione adeguatrice (nel senso della scissione soggettiva degli effetti della notificazione), ma l’ha poi ritenuta impraticabile per l’ostacolo, a suo avviso non superabile, ravvisato nella lettera della legge. E ciò anche alla luce della interpretazione del citato art. 16-septies accolta dal giudice della nomofilachia, e consolidatasi in termini di diritto vivente, nel senso che la notifica con modalità telematiche richiesta con il rilascio della ricevuta di accettazione dopo le ore 21 si perfeziona alle ore 7 del giorno successivo, «secondo la chiara disposizione normativa, intesa a tutelare il diritto di difesa del destinatario della notifica senza condizionare irragionevolmente quello del mittente» (così Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 31 luglio 2018, n. 20198; nello stesso senso, ex multis, sezione sesta civile – sottosezione L, ordinanza 9 gennaio 2019, n. 393; sezione lavoro, sentenza 30 agosto 2018, n. 21445; sezione terza civile, sentenza 21 settembre 2017, n. 21915; sezione lavoro, sentenza 4 maggio 2016, n. 8886). E, secondo quanto più volte affermato da questa Corte, in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice a quo – se pure è libero di non uniformarvisi e di proporre una diversa esegesi del dato normativo, essendo la “vivenza” di una norma una vicenda per definizione aperta, ancor più quando si tratti di adeguarne il significato a precetti costituzionali – ha alternativamente, comunque, la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di “diritto vivente” e di richiederne, su tale presupposto, il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali (sentenze n. 39 del 2018, n. 259 e n. 122 del 2017, n. 200 del 2016 e n. 11 del 2015).

3.– Nel merito la questione è fondata.

Il divieto di notifica per via telematica oltre le ore 21 risulta, infatti, introdotto (attraverso il richiamo dell’art. 147 cod. proc. civ.), nella prima parte del censurato art. 16-septies del d.l. n. 179 del 2012, allo scopo di tutelare il destinatario, per salvaguardarne, cioè, il diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) in cui egli sarebbe stato, altrimenti, costretto a continuare a controllare la propria casella di posta elettronica.

Ciò appunto giustifica la fictio iuris, contenuta nella seconda parte della norma in esame, per cui il perfezionamento della notifica – effettuabile dal mittente fino alle ore 24 (senza che il sistema telematico possa rifiutarne l’accettazione e la consegna) – è differito, per il destinatario, alle ore 7 del giorno successivo. Ma non anche giustifica la corrispondente limitazione nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente, al quale – senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta – viene invece impedito di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa: termine che l’art. 155 cod. proc. civ. computa «a giorni» e che, nel caso di impugnazione, scade, appunto, allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno (in questa prospettiva, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 31 agosto 2015, n. 17313; sezione lavoro, ordinanza 30 agosto 2017, n. 20590).

La norma denunciata è, per di più, intrinsecamente irrazionale, là dove viene ad inibire il presupposto che ne conforma indefettibilmente l’applicazione, ossia il sistema tecnologico telematico, che si caratterizza per la sua diversità dal sistema tradizionale di notificazione, posto che quest’ultimo si basa su un meccanismo comunque legato “all’apertura degli uffici”, da cui prescinde del tutto invece la notificazione con modalità telematica.

Una differenza, questa, che del resto lo stesso legislatore ha chiaramente colto in modo significativo nel confinante ambito della disciplina del deposito telematico degli atti processuali di parte, là dove, proprio in riferimento alla tempestività del termine di deposito telematico, il comma 7 dell’art. 16-bis del d.l. n. 179 del 2012, inserito dall’art. 51 del d.l. n. 90 del 2014, ha previsto che il «deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile».

Anche in tale prospettiva trova dunque conferma l’irragionevole vulnus che l’art. 16-septies, nella portata ad esso ascritta dal “diritto vivente”, reca al pieno esercizio del diritto di difesa – segnatamente, nella fruizione completa dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio, anche nella sua essenziale declinazione di diritto ad impugnare, che è contenuto indefettibile di una tutela giurisdizionale effettiva –, venendo a recidere quell’affidamento che il notificante ripone nelle potenzialità tutte del sistema tecnologico (che lo stesso legislatore ha ingenerato immettendo tale sistema nel circuito del processo), il dispiegamento delle quali, secondo l’intrinseco modus operandi del sistema medesimo, avrebbe invece consentito di tutelare, senza pregiudizio del destinatario della notificazione.

3.1.– L’applicazione della regola generale di scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione (sentenze n. 106 del 2011, n. 3 del 2010, n. 318 e n. 225 del 2009, n. 107 e n. 24 del 2004, n. 477 del 2002; ordinanze n. 154 del 2005, n. 132 e n. 97 del 2004) anche alla notifica effettuata con modalità telematiche – regola, del resto, recepita espressamente dall’art. 3-bis, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali) − consente la reductio ad legitimitatem della norma censurata.

L’art. 16-septies del d.l. n. 179 del 2012 va pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45-bis, comma 2, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2019.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

Corte Cost., sent. 9 aprile 2019 n. 75 (Pres. Lattanzi, rel. Morelli) Leggi tutto »

Cass., sez. 2, ord. 19 marzo 2019 n. 7685 (Pres. San Giorgio, rel. Dongiacomo)

ATTENZIONE

L’attività redazionale di anonimizzazione e di pubblicazione in un formato accessibile dei testi dei provvedimenti richiede un impegno notevole. I provvedimenti sono pubblici e possono essere liberamente riprodotti: qualora vengano estrapolati dal presente sito, si prega di citare quale fonte www.processociviletelematico.it

Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Redazione come documento informatico – Notifica a mezzo PEC – Deposito di copia analogica e dell’attestazione di conformità – Mancanza – Inammissibilità

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO – Presidente –
Dott. MARIO BERTUZZI – Consigliere –
Dott. ANTONINO SCALISI – Consigliere –
Dott. ANNAMARIA CASADONTE – Consigliere –
Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso NN/AA proposto da:

B. M. R., elettivamente domiciliato a Roma, ***, presso lo studio dell’Avvocato M. A. che la rappresenta e difende per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C. P., C. A., B. F., B. L., B. W., B. T., D. I.;

– intimati –

avverso la sentenza n. NN/AA della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 16/1/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 9/1/2019 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO;

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello di Milano, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello proposto da M. R. B. nei confronti della sentenza pronunciata dal tribunale di Voghera in data 11/10/2011.

M. R. B., con ricorso spedito per la notifica a T. B. e I. D. in data il 4/7/2015 e trasmesso a mezzo PEC in data 3/7/2015 a P. C., A. C., F. B., L. B. e W. B., ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza pronunciata dalla corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 183 c.p.c. nonché degli artt. 217 c.p.c. e 101 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..

2.Con il secondo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c..

3.Con il terzo motivo, la ricorrente ha lamentato la falsa applicazione dell’art. 96, comma 1°, c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..

4.Il ricorso è inammissibile.

5.La ricorrente, infatti, per ciò che riguarda la notifica del ricorso eseguita a mezzo del servizio postale, non ha depositato i relativi avvisi di ricevimento. Ed è, invece, noto dalla legge in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione ex art. 379 c.p.c., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal comma 1 della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della corte in camera di consiglio prevista dall’art. 380 bis c.p.c., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti nel rispetto dell’art. 372, comma 2, c.p.c. Tuttavia, in caso di mancata produzione dell’avviso di ricevimento ed in assenza di attività difensiva dell’intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ex art. 291 c.p.c. (Cass. n. 18361 del 2018; Cass. SU n. 627 del 2008). In tema di ricorso per cassazione, infatti, la prova dell’avvenuto perfezionamento della notifica dell’atto introduttivo, ai fini della sua ammissibilità, dev’essere data tramite la produzione dell’avviso di ricevimento, la cui assenza può essere superata non con la rinnovazione, atteso che, pur non traducendosi in un caso d’inesistenza, non determina neppure la mera nullità, ma solo con la costituzione della controparte, che dimostra l’avvenuto completamento del procedimento, ovvero con la richiesta di rimessione in termini della parte stessa in funzione del deposito dell’avviso che affermi non aver ricevuto, che presuppone, però, la prova della tempestiva richiesta all’amministrazione postale, a norma dell’art. 6, comma 1°, della I. n. 890 del 1982, di un duplicato dell’avviso stesso ovvero dell’impossibilità, nonostante la normale diligenza, di tale attività (Cass. n. 26108 del 2015): ciò che nel caso di specie non risulta accaduto. Che la produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., o della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuto compimento delle formalità di cui all’art. 140 c.p.c., è richiesta

6.Per ciò che riguarda, invece, la notifica del ricorso a mezzo PEC, la Corte prende atto che la ricorrente ha depositato in cancelleria la “relazione di notifica a mezzo P.E.C.” dalla quale si evince che l’avv. M. A., quale difensore di M. R. B., ha notificato il ricorso per cassazione (asseritamente) allegato, firmato digitalmente, a P. C., A. C., F. B., L. B. e W. B., presso gli indirizzi pec dell’avv. F. G. e dell’avv. P. C., difensori degli stessi nel giudizio d’appello: non risulta, invece, che la ricorrente abbia depositato né la copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC né l’attestazione di conformità del difensore, con sottoscrizione autografa, prevista dall’art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della I. n. 53 del 1994. Ora, com’è noto, il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della I. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio (Cass. SU n. 22438 del 2018): ciò che, nella specie, non è accaduto.

7.Nulla per le spese di lite.

8.La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 gennaio 2019.

Il Presidente
Dott. Maria Rosaria San Giorgio

Cass., sez. 2, ord. 19 marzo 2019 n. 7685 (Pres. San Giorgio, rel. Dongiacomo) Leggi tutto »

Cass., sez. VI-L, ord. 1 marzo 2019 n. 6175 (Pres. Curzio, rel. Spena)

ATTENZIONE

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Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Redazione come documento cartaceo e come documento informatico – Notifica a mezzo PEC – Attestazione di conformità ex art. 369 c.p.c. – Mancanza – Deposito in vista dell’adunanza camerale – Mancanza – Inammissibilità

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE – L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIETRO CURZIO – Presidente –
Dott. ADRIANA DORONZO – Consigliere –
Dott. PAOLA GHINOY – Consigliere –
Dott. FRANCESCA SPENA Rel. Consigliere –
Dott. LUIGI CAVALLARO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso NN-AA proposto da:
B.A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, ***, presso lo studio dell’avvocato M. B., che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato M. G.;

– ricorrente –

contro

N.G. SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. NN/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 30/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/11/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

omissis

CONSIDERATO

omissis

che ritiene il Collegio che si debba dichiarare la inammissibilità del ricorso per difetto di prova della avvenuta notifica;

che parte ricorrente ha depositato un ricorso non-digitale.

La notifica del ricorso è invece avvenuta con il canale telematico, secondo la sequenza qui ricostruita:

– il difensore ha redatto la relata di -notifica, attestando— come richiede l’articolo 3 bis della legge 53/1994, comma sei— la conformità degli atti non-digitali alle copie informatiche ottenute per scansione. Per completezza si osserva che dal rapporto della PEC risulta che il difensore ha predisposto sia un ricorso digitale (file con estensione p7m, suffisso che identifica la firma di tipo CAdES) che un secondo ricorso, alla apparenza «tradizionale» (file pdf); così pure ha duplicato il mandato nonché la relata di notifica (file in estensione p7m e file pdf). Tutti questi atti figurano tra gli allegati al messaggio PEC. La attestazione di conformità contenuta nella relata di notifica riguarda, a norma del richiamato comma sei, i documenti «tradizionali» (nella specie: ricorso, mandato e relata di notifica) che il notificante allega al messaggio pec prima di procedere al suo invio.

– il difensore ha poi predisposto il messaggio pec, ha allegato gli atti da notificare e provveduto all’invio, che ha generato le due ricevute di accettazione e di avvenuta consegna.

Non essendo stato esteso al giudizio in cassazione il processo telematico— e non essendo dunque possibile procedere in questa sede al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato— l’avvocato, al fine dì provare la avvenuta notifica, avrebbe dovuto procedere a norma dell’articolo 9, comma 1 bis e 1 ter, della legge 21 gennaio 1994 nr. 53 ovvero :

– stampare una copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna (ciò che ha fatto);

– attestare la conformità delle copie ai documenti informatici da cui sono tratte (articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82) essendo egli stesso pubblico ufficiale a ciò autorizzato (articolo 6 della legge 53/1994).

Nella fattispecie dì causa manca la attestazione di conformità del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna.

L’unica attestazione di conformità è quella contenuta nella relata di notifica, che, come si è detto, precede la spedizione della notifica ed attesta al destinatario la conformità degli allegati (non prova, dunque, la avvenuta notifica, dopo il suo perfezionamento).

In mancanza della attestazione di conformità non è raggiunta la prova della notifica telematica; del resto nella notifica «tradizionale» questa Corte ha più volte stabilito che non è idonea a fornire prova del compimento del procedimento notificatorio la produzione di documenti privi delle caratteristiche formali prescritte ed in fattispecie di notifica telematica si è già pronunciata nel senso della inammissibilità del ricorso (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 16496 del 22 giugno 2018).

Deve darsi conto dei principi enunciati dalle Sezioni Unite della Corte, successivamente alla pronuncia sopra citata, con l’arresto del 24 settembre 2018 nr. 22438.

Ivi è stata esaminata la diversa questione della procedibilità del ricorso nativo digitale (come si è detto, il ricorso depositato in questa sede, invece, non è nativo digitale); tuttavia il carattere generale dei principi enunciati, quale corollario del giusto processo ex art. 111 Cost., li rende applicabili anche nella ipotesi, qui rilevante, della notifica telematica dì un ricorso «tradizionale».

Limitando l’esame a quanto rileva in causa, le Sezioni Unite hanno chiarito che ove il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso rimanga intimato, il ricorrente potrà depositare, ai sensi dell’art. 372, cod.proc.civ. (e senza necessità dì notificazione ai sensi del secondo comma della medesima disposizione), l’asseverazione di conformità all’originale (ex art. 9, I. n. 53 del 1994) della copia analogica depositata sino all’udienza di discussione (art. 379, c.p.c.) o all’adunanza in camera di consiglio (art. 380-bis, 380-bisi e 380-ter, c.p.c.).

Nella fattispecie di causa ricorrente non ha depositato neppure in vista della adunanza camerale la attestazione di conformità agli originali telematici del – messaggio di posta elettronica, della ricevuta di accettazione e della ricevuta di avvenuta consegna, pur avendo il relatore segnalato nella sua proposta necessità di verificare tale conformità;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile per mancanza di prova della avvenuta notifica;

che non vi è luogo a provvedere sule spese per la mancata costituzione dell’intimato;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità dei ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella adunanza camerale del 20 novembre 2018

Cass., sez. VI-L, ord. 1 marzo 2019 n. 6175 (Pres. Curzio, rel. Spena) Leggi tutto »

Cass., SS.UU., sent. 28 settembre 2018 n. 23620 (Pres. Rordorf, rel. Campanile)

ATTENZIONE

L’attività redazionale di anonimizzazione e di pubblicazione in un formato accessibile dei testi dei provvedimenti richiede un impegno notevole. I provvedimenti sono pubblici e possono essere liberamente riprodotti: qualora vengano estrapolati dal presente sito, si prega di citare quale fonte www.processociviletelematico.it

Notificazione della sentenza d’appello impugnata – Notifica a mezzo PEC – Indirizzo del destinatario – Pubblici elenchi – ReGIndE e INI-PEC – Albo professionale – Validità
Notifica a mezzo PEC – Omessa indicazione del codice fiscale del notificante – Omessa indicazione della dizione “Notificazione ai sensi delle legge n. 53 del 1994” – Irrilevanza – Raggiungimento dello scopo (art. 156, c. 3, c.p.c.)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Signori magistrati:

Dott. Renato RORDORF – Primo Presidente f.f.
Dott. Salvatore DI PALMA – Presidente Sezione
Dott. Giovanni AMOROSO – Presidente Sezione
Dott. Stefano BIELLI – Consigliere
Dott. Bruno BIANCHINI – Consigliere
Dott. Pietro CAMPANILE – Rel. Consigliere
Dott. Enrica D’ANTONIO – Consigliere
Dott. Domenico CHINDEMI – Consigliere
Dott. Giacinto BISOGNI – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. NN/AA R.G. proposto da:

A.S.P.D.M.
rappresentata e difesa dall’avv. A. F. V., con domicilio eletto in Roma, ***; presso lo studio dell’avv. F. C. X.

ricorrente

contro

D.O. rappresentata e difesa dall’avv. M. P., con domicilio eletto in Roma, ***, presso lo studio dell’avv. M. D.;

controricorrente

avverso la sentenza della Corte di appello di Messina n.96, depositata in data 12 febbraio 2015;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 26 settembre 2017 dal consigliere dott. Pietro Campanile;

sentito per la ricorrente l’avv. V.;

sentito per la controricorrente l’avv. P.;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale dott. Riccardo Fuzio, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Omissis

RAGIONI DELLA DECISIONE

 

1. La ricorrente, […] sostiene che, avendo la corte distrettuale operato un sindacato di legittimità in ordine al provvedimento emesso in relazione alla fissazione del budget nei confronti della D., avrebbe emesso una pronuncia viziata da un evidente difetto di giurisdizione […].

Omissis

La tardività della proposizione dell’impugnazione in esame, invero non contestata – sotto tale profilo -neppure dalla ricorrente, è del tutto palese, per essere stato il procedimento di notificazione del ricorso avviato il 14 marzo 2016, ben oltre il termine di sessanta giorni previsto dalla richiamata norma.

3. Premesso che non può dubitarsi del perfezionamento, in data 26 giugno 2015, della notificazione della sentenza della Corte di appello di Messina oggetto dell’impugnazione in esame, come si desume dalle attestazioni depositate dalla parte controricorrente, e come, del resto, non è contestato neppure dall’A.S.P., deve rilevarsi come le deduzioni della stessa, intese a dimostrare la nullità di detta notificazione, tale da impedire la decorrenza del termine “breve” previsto dall’art. 325 cod. proc. civ., non siano condivisibili.

3.1. Si sostiene, in primo luogo, che l’indicazione dell’elenco da cui era stato tratto l’indirizzo di posta elettronica certificata del procuratore della parte, vale a dire l’Albo degli Avvocati del Foro di Messina, non corrisponderebbe ai “pubblici elenchi” previsti dagli artt. 4 e 16, comma 12, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, di conversione del d. I. 18 ottobre 2012, n. 179.

L’obiezione non coglie nel segno.

Il testé richiamato d. I. n. 179 del 2012, all’art. 16 sexies, introdotto dal d.l. 24 giugno 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e rubricato “Domicilio digitale”, risulta formulato nei seguenti termini: «Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Igs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia».

Tale norma, dunque, imponendo alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Igs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, ovvero presso il ReGIndE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, certamente implica un riferimento all’indirizzo di posta elettronica risultante dagli albi professionali, atteso che, in virtù della prescrizione contenuta nel citato art. 6 bis del D.Igs. n. 82 del 2005, commi 2 bis e 5, al difensore fa capo l’obbligo di comunicare il proprio indirizzo all’ordine di appartenenza e a quest’ultimo è tenuto a inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel ReGIndE.

Non può omettersi di considerare, inoltre, che l’art. 5 della citata legge n. 53 del 1994 espressamente prevede che «.. l’atto deve essere trasmesso a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo di posta elettronica certificata che il destinatario ha comunicato al proprio ordine, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. ».

Vale bene, del resto, richiamare il principio recentemente enunciato da questa Corte (Cass., 11 luglio 2017, n. 17048), secondo cui «in materia di notificazioni al difensore, a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all’indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’ordine di appartenenza, previsto dal d.l. n. 179 del 2012, art. 16 sexies (conv., con modif., dalla I. n. 221 del 2012), come modificato dal d.l. n. 90 del 2014 (conv., con modif., dalla I. n. 114 del 2014), non è più possibile procedere – ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 – alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario».

4. Deve pertanto ritenersi che, essendo stata effettuata nella vigenza del richiamato art. 16 bis del d. I. n. 179 del 2012, la notificazione della sentenza impugnata risulta correttamente eseguita – con conseguente decorrenza del termine previsto dall’art. 325 cod. proc. civ. – all’indirizzo di posta elettronica comunicato dal difensore della D. al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Messina.

5. Sostiene ancora la ricorrente che la notifica in esame sarebbe inficiata da ulteriori violazioni, quali l’omessa indicazione del codice fiscale della D. O. e della dizione “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994”.

5.1. Tali deduzioni non sono meritevoli di positivo apprezzamento. Questa Corte ha di recente espresso un orientamento, in tema di notificazione in via telematica, inteso a privilegiare la funzione della stessa, con la conseguenza che il raggiungimento dello scopo della notifica, vale a dire la produzione del risultato della conoscenza dell’atto notificato a mezzo di posta elettronica certificata, priva di significativo rilievo la presenza di meri vizi di natura procedimentale (come, ad esempio, l’estensione.doc in luogo del formato pdf), ove l’erronea applicazione della regola processuale non abbia comportato (ovvero, come nella specie, non sia stata neppure prospettata) una lesione del diritto di difesa, oppure altro pregiudizio per la decisione (Cass., Sez. U, 18 aprile 2016, n. 7665).

6. Nell’ambito di tale indirizzo si è affermato che la mancata indicazione nell’oggetto del messaggio di p.e.c. della dizione “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” costituisce mera irregolarità, essendo comunque raggiunto lo scopo della notificazione, avendola il destinatario ricevuta ed avendo mostrato di averne ben compreso il contenuto (Cass., 4 ottobre 2016, n. 19814).

6.1. Quanto all’omessa indicazione del codice fiscale della D., valgano le superiori considerazioni, dovendosi per altro osservare che il principio desumibile dall’art. 156 cod. proc. civ., comma 3, risulta recepito nella stessa legge n. 53 del 1994, che all’art. 11 prevede che la nullità delle notificazioni telematiche incorre qualora siano violate le relative norme (contenute negli articoli precedenti) «e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica».

7. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 10.200,00, di cui euro 10.000,00 per compensi, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dell’art. 13.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2017.

Il Consigliere est.

Il Presidente

Cass., SS.UU., sent. 28 settembre 2018 n. 23620 (Pres. Rordorf, rel. Campanile) Leggi tutto »