Giugno 2016

Trib. Torino, ord. 22 marzo 2016 (est. Carbonaro)

 

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TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO

Settima Sezione Civile

Il Giudice Istruttore,

vista l’istanza di rimessione in termini di parte ricorrente ***;

vista la memoria di replica del convenuto ***;

considerato che la ricorrente riferisce di aver depositato memoria ex art. 183.6 n. 2 c.p.c. il giorno della scadenza del termine (10.03.2016) indicando un numero di R.G. errato (307* anziché 3207*) e di aver ricevuto il giorno stesso (alle ore 16.06) un messaggio che la informava dell’esito infruttuoso del deposito a causa del numero di ruolo non valido, messaggio che tuttavia ella leggeva soltanto il giorno dopo, allorquando si adoperava a rieffettuare il deposito con l’indicazione del numero di ruolo corretto, a termine ormai scaduto;

ritenuto che l’indicazione di un numero di ruolo errato da parte del depositante non rientri tra le cause di decadenza non imputabili alla parte ex art. 153, comma 2, c.p.c., in quanto trattasi di errore o svista ascrivibile al depositante e rimediabile con l’impiego dell’ordinaria diligenza e non costituisce certamente causa estranea alla sua volontà (cfr. Cass. 21794/2015);

considerato, inoltre, che, ai sensi dell’art. 14, comma 7, delle “Specifiche tecniche previste dall’articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44, recante regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2 del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24”, da ultimo modificate con provvedimento ministeriale del 28 dicembre 2015, coordinato con l’elenco degli errori di cui al comma 8 del citato art. 14 e riportato nella sezione 8.3 delle Specifiche di interfaccia tra punto di accesso e gestore centrale predisposte dal Ministero della Giustizia (http://www.processotelematico.giustizia.it/pdapublic/resources/download/PCT%20-%20Specifiche%20di%20interfaccia%20PDA-GC%20v2.pdf), l’indicazione di un numero di ruolo errato debba configurarsi come errore “ERROR” e quindi come “anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell’ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l’accettazione o rifiutando il deposito”;

considerato, inoltre, che l’art. 7 della Circolare del Ministero della Giustizia del 23 ottobre 2015 “Adempimenti di cancelleria relativi al Processo Civile Telematico” prevede che, in caso di errore ERROR, la cancelleria dovrà “ove possibile accettare il deposito avendo tuttavia cura di segnalare al giudice ogni informazione utile in ordine all’anomalia riscontrata”, a differenza di quanto previsto dalla precedente Circolare del 28 ottobre 2014 secondo cui le cancellerie in detti casi dovevano “sempre” accettare il deposito;

ritenuto, pertanto, che l’indicazione di un numero di ruolo errato sia proprio uno dei casi in cui tale accettazione non sia possibile, non conoscendo la cancelleria il fascicolo corretto in cui inserire l’atto, e che in tale ipotesi, pertanto, la cancelleria non è tenuta a forzare l’accettazione del deposito, potendo limitarsi a rifiutare il deposito e a comunicarne l’esito negativo;

ritenuto, peraltro, che nel caso di specie la cancelleria ha comunicato alla ricorrente l’esito negativo del deposito il giorno stesso, allorquando era ancora pendente il termine per il deposito e che la ricorrente avrebbe pertanto potuto provvedere al tempestivo deposito, a nulla rilevando la circostanza della lettura del messaggio il giorno successivo, essendo onere della parte depositante verificare l’esito dei depositi effettuati e mantenere il controllo delle comunicazioni con la cancelleria;

ritenuto, pertanto, che la ricorrente non sia incorsa nella decadenza dal termine ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. per causa a sé non imputabile, con la conseguenza che l’istanza di rimessione in termini deve essere rigettata;

P.Q.M.

rigetta l’istanza di rimessione in termini della ricorrente.

Si comunichi.

 

Il Giudice Istruttore              

            dott. Marco Carbonaro              

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Trib. Vasto, ord. 15 aprile 2016 (Pres. Giangiacomo, est. Pasquale)

 

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IL TRIBUNALE DI VASTO

in composizione collegiale, nelle persone dei signori Magistrati:

– dott. Bruno Giangiacomo                      Presidente

– dott.ssa Stefania Izzi                              Giudice

– dott. Fabrizio Pasquale                          Giudice relatore

a scioglimento della riserva assunta nel procedimento di cui in epigrafe all’udienza del 19.02.2016;

letto il reclamo proposto da M.A. nei confronti di B.C. ed avverso l’ordinanza, depositata in data 09.10.2015, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso possessorio ex art. 1168 c.c., richiesto dall’odierno reclamante;

esaminati gli atti e la documentazione prodotta;

OSSERVA

1. Con ricorso depositato cartaceamente in cancelleria in data 23.10.2015, M.A. ha proposto reclamo avverso il provvedimento con il quale il giudice di prime cure ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per reintegrazione nel possesso da lui precedentemente avanzato, sull’assunto dell’intervenuto decorso del termine annuale di decadenza previsto dall’art. 1168 c.c., invocando – in riforma dell’ordinanza reclamata – l’accoglimento della tutela possessoria richiesta.

2. M. A., costituitosi in giudizio, ha – in via preliminare – eccepito l’inammissibilità del reclamo per essere stato il ricorso depositato con modalità cartacea anziché telematica, in violazione dell’art. 16 bis del D.L. n. 179/12; nel merito, ha rilevato l’infondatezza dei motivi di reclamo ed ha, pertanto, insistito nel rigetto dello stesso, con conferma del provvedimento impugnato.

3. Deve preliminarmente esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso, perché depositato in modalità cartacea anziché telematica, per il valore dirimente che la soluzione della questione ha rispetto alla decisione nel merito della controversia.

In proposito, è appena il caso di ricordare che l’art. 16 bis, comma 1, del D.L. n. 179/12, convertito in legge n. 221/2012, prevede che, dal 30 giugno 2014, “nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al Tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

Da detta disposizione normativa si ricava che nei procedimenti di nuova instaurazione (come il presente) – fatta eccezione per gli atti processuali con i quali le parti si costituiscono in giudizio (vale a dire, i cd. atti introduttivi) – il legislatore ha imposto l’obbligatorietà del deposito telematico di tutti gli atti processuali e dei documenti prodotti successivamente alla costituzione, in tal modo superando il regime transitorio (previsto per i procedimenti iniziati prima del 30 giugno 2014 e valevole fino al 31 dicembre 2014) che riconosceva la facoltà di effettuare il deposito, alternativamente, con modalità telematiche o su supporto cartaceo. Ne consegue che la cancelleria è tenuta a non ricevere (ed, anzi, a rifiutare) il deposito in forma cartacea degli atti processuali delle parti già costituite, salve le eccezioni di cui ai commi 8 e 9 dell’art. 16 bis d.l. 179/12 cit. (v. Circolare del Ministero della Giustizia del 27.6.2014).

a) Fatta questa premessa, si tratta di stabilire se il ricorso ex art. 669 terdecies c.p.c. rientri o meno tra i provvedimenti da depositare esclusivamente per via telematica, ai sensi dell’art. 16 bis, comma 1, del D.L. n. 179/12 ovvero tra quelli che, veicolando la costituzione della parte in giudizio e configurandosi – dunque – come atti introduttivi, sono assoggettati al diverso regime della facoltatività (e non della obbligatorietà) del deposito telematico, sancito dall’art. 19 D.L. 27 giugno 2015 n. 83. Peraltro, la questione affrontata in questa sede con riferimento al reclamo cautelare può ripresentarsi in tutti i procedimenti di natura bifasica o in quei giudizi (di carattere sommario) caratterizzati dalla presenza di eventuali “appendici” o subprocedimenti volti, lato sensu, al riesame del provvedimento concesso dal giudice della prima fase: si pensi, ad esempio, al deposito dell’atto per l’«inizio del giudizio di merito» ex art. 669 octies c.p.c.; al deposito dell’atto di «prosecuzione» del giudizio di merito possessorio ex art. 703, comma 4, c.p.c.; al deposito degli atti della fase istruttoria dei giudizi di separazione o divorzio; a quello degli atti introduttivi e di costituzione nel giudizio di opposizione alla fase sommaria del c.d. “Rito Fornero” ex art. 1, comma 51°, l. n. 92/2012.

In relazione a ciascuna di tali ipotesi, prima di postulare la sussistenza dell’obbligo di deposito telematico dei relativi atti, occorre stabilire se la fase procedimentale successiva alla prima possa considerarsi meramente prosecutoria dell’unico giudizio instaurato con il ricorso originario e se, di conseguenza, la costituzione originariamente effettuata dalle parti nella prima fase possa continuare a spiegare effetti.

Orbene, è opinione di questo Tribunale che il ricorso per reclamo non introduce un nuovo e diverso giudizio, ma rappresenta la prosecuzione del medesimo procedimento cautelare, iniziato con il deposito del ricorso nella precedente fase e di cui costituisce – a sua volta – una fase meramente eventuale (tanto che va proposto innanzi al giudice di pari grado rispetto a quello che ha emesso il provvedimento contestato), finalizzata al riesame della domanda cautelare e destinata a concludersi con un provvedimento che, in caso di riforma, si sostituisce a quello reso dal giudice di prime cure e produce effetti sino all’esito del giudizio di cognizione, salva la revoca o la modifica per motivi sopravvenuti.

Ad avvalorare tale conclusione contribuisce anche il principio, sovente affermato dalla giurisprudenza di merito (cfr., ex plurimis, Trib. Ravenna, 09/06/1997), secondo cui, nell’ambito del procedimento cautelare, il mandato rilasciato al difensore “per il presente procedimento” conferisce lo ius postulandi anche per la fase di reclamo innanzi al collegio, anche nell’ipotesi in cui questa non sia stata espressamente menzionata nel testo della procura, principio che mal si concilia con l’autonomia del giudizio della fase di reclamo.

D’altra parte, le disposizioni di carattere amministrativo, relative all’obbligo di versamento del contributo unificato al momento del deposito del reclamo ed all’iscrizione con un numero di ruolo diverso da quello del procedimento di primo grado, non hanno ripercussioni sul piano interpretativo, poichè attengono ad esigenze legate ai servizi di cancellerie o a misure di ordine tributario (cfr., in tal senso, Trib. Torino, 06.03.2015).

In disparte delle considerazioni sulla natura giuridica del reclamo, è dirimente – infine – l’osservazione che, nel caso di specie, si è in presenza di un atto processuale che è stato depositato dal difensore di una parte già costituita nella precedente fase che ha dato luogo al provvedimento da cui è scaturito il reclamo medesimo.

Per tutte queste ragioni, deve concludersi nel senso che per l’atto di reclamo non esiste altra forma di deposito se non quella da effettuarsi con modalità telematiche e nel rispetto della normativa concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, ai sensi della richiamata disposizione dell’art. 16 bis, comma 1, del D.L. n. 179/12.

b) Una volta chiarito che per il reclamo vige il principio normativo della obbligatorietà (e non della facoltatività) del deposito telematico, si impone la necessità di affrontare la ulteriore questione delle conseguenze che scaturiscono, sul piano processuale, nel caso dell’errato deposito in via cartacea del reclamo da depositarsi obbligatoriamente per via telematica, posto che un certo orientamento della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Asti, 23.03.2015; Trib. Ancona, 28.05.2015), pur ammettendo l’inderogabilità dell’obbligo di deposito telematico del reclamo, riconosce la possibilità della sanatoria della nullità per vizio di forma, in base al principio del c.d. raggiungimento dello scopo.

Sul punto, occorre fare delle osservazioni preliminari. Innanzitutto, non può essere condivisa la tesi (cfr., Trib. Foggia, 15.05.2015) che reputa non pertinente il richiamo al principio di libertà delle forme sancito dall’art. 121 c.p.c., sull’assunto che tale principio si riferisca alla forma degli atti processuali e non alle modalità di trasmissione all’ufficio degli stessi. Se, infatti, è vero che il deposito è “un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo” (cfr., Cass., S.U., 04.03.2009, n. 5160), non si può però prescindere dalla considerazione che il deposito telematico presenta delle peculiarità che si riverberano sulla forma degli atti che ne costituiscono l’oggetto. Non essendo, in altri termini, ontologicamente concepibile un deposito per via telematica di un documento cartaceo (per il quale l’unica forma di deposito astrattamente configurabile è la consegna materiale o la spedizione postale in cancelleria del supporto fisico) e posto che l’utilizzazione del mezzo telematico presuppone, di necessità, che il documento da depositare sia stato predisposto in modo informatico, la scelta legislativa di imporre una particolare modalità di trasmissione in cancelleria dell’atto si ripercuote inevitabilmente sui requisiti essenziali dell’atto medesimo, che non potrà mai essere rappresentato da un documento cartaceo, ma soltanto da un documento informatico. Non vi è dubbio, quindi, che l’obbligatorietà del deposito telematico abbia comportato, sia pure indirettamente, l’imposizione normativa di una diversa modalità di creazione degli atti processuali, che non possono essere più cartacei, ma soltanto informatici.

Cionondimeno, è opinione di questo Tribunale che l’opzione tra la natura cartacea e quella informatica del documento non sottende un problema di forma, ma una ben più radicale questione che afferisce all’essenza stessa del documento, di talchè appare inconferente il richiamo sia al principio processuale di libertà delle forme, sia a quello di tassatività delle nullità (per cui non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge), sia a quello del cd. raggiungimento dello scopo (per cui la nullità per inosservanza di specifici requisiti di forma non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato), per il dirimente rilievo che tutti i richiamati principi attengono, per l’appunto, alla forma degli atti processuali e non a profili afferenti alla loro stessa natura. Ne consegue che – rispetto agli atti processuali che, per espresso obbligo di legge, devono essere depositati telematicamente (e, quindi, redatti in modo informatico) – l’atto creato in modalità cartacea non è semplicemente nullo, ma è da considerarsi giuridicamente inesistente, in quanto, essendo stato redatto in modo assolutamente non previsto dalla normativa ed essendo totalmente privo degli estremi e dei requisiti essenziali per la sua qualificazione come atto del tipo normativamente considerato, è non soltanto inidoneo a produrre gli effetti processuali propri degli atti riconducibili al corrispondente tipo, ma è addirittura non passibile di considerazione sotto il profilo giuridico. L’atto processuale cartaceo, infatti, non è sottoscritto con firma digitale, non viene depositato nel rispetto delle regole tecniche e delle specifiche tecniche previste dalla normativa regolamentare del P.C.T. e non supera le barriere dei controlli della cancelleria (che certifica il deposito dell’atto e dei documenti allegati e mette a disposizione del giudice e delle altre parti processuali l’atto depositato telematicamente e i relativi allegati). Per questi motivi, discostandosi in modo assoluto dallo schema legale tipico previsto come esclusivo, non può essere ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo del connesso deposito telematico, che non è soltanto quello di creare una presa di contatto tra l’ufficio giudiziario ed il depositante, ma anche quello di veicolare le richieste della parte al giudice al fine di sollecitare la sua decisione, mediante un supporto smaterializzato e decentralizzato che consenta, da un lato, un più rapido ed immediato accesso agli atti e documenti del processo per il giudice e per le parti e, dall’altro, una diversa e più efficiente ed economica gestione dello scambio di dati e informazioni in ambito processuale rispetto al supporto cartaceo, nell’ottica di favorire la progressiva dematerializzazione del fascicolo cartaceo, per le ragioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo cui è ispirato il P.C.T.

Sotto questo profilo, non può essere utilmente richiamato, a supporto della opposta tesi della sanabilità del vizio derivante da un deposito effettuato con modalità non previste dalla legge, l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte (cfr., Cass., S.U., 04/03/2009, n. 5160) che ha ravvisato, nel deposito di un atto processuale destinato alla cancelleria mediante invio a mezzo posta, una ipotesi di mera irregolarità o, al più, di nullità sanabile per raggiungimento dello scopo e ciò per l’evidente ragione che, nella fattispecie sottoposta alla disamina della Cassazione, la spedizione tramite il servizio postale non era altro che una modalità di trasmissione dell’atto all’ufficio giudiziario alternativa alla consegna materiale dello stesso presso la cancelleria, ma che aveva pur sempre ad oggetto un atto redatto su supporto cartaceo. In altri termini, la differente modalità di deposito dell’atto non ha, in questo caso, ripercussioni sulla natura dell’atto processuale, il quale, sia nell’uno che nell’altro caso, resta un atto cartaceo, di guisa che, vuoi perché il deposito costituisce un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve essere compiuta dal difensore, vuoi perché lo scopo essenziale del deposito di un atto giudiziario cartaceo è la presa di contatto fra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la trattazione della controversia, scopo che viene comunque assicurato anche dall’invio postale, appariva giustificata – in un’epoca in cui l’atto processuale non poteva che essere cartaceo – la soluzione interpretativa favorevole alla validità del deposito eseguito in forme non espressamente previste dalla legge (e, segnatamente, mediante spedizione postale).

In termini completamente diversi va, invece, posta la questione nel momento in cui il legislatore ha imposto il deposito telematico come unica modalità di trasmissione degli atti cd. endoprocessuali, determinandone – per le ragioni già viste – il necessario mutamento strutturale da cartacei in informatici. Nell’epoca della obbligatorietà del deposito telematico, può porsi un problema di validità per vizio di forma del deposito solo allorquando l’atto processuale redatto in via informatica che ne costituisce l’oggetto sia stato predisposto in violazione delle disposizioni normative, anche regolamentari, che ne disciplinano la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione, secondo quanto statuito dall’art. 16 bis, comma 1, del D.L. n. 179/12. Più precisamente, l’art. 11 del D.M. 44/11 stabilisce che “l’atto del processo in forma di documento informatico è privo di elementi attivi ed è redatto nei formati previsti dalle specifiche tecniche di cui all’art. 34 (..)”. L’art. 34 dello stesso D.M. attribuisce al Direttore Generale SIA del Ministero della Giustizia di stabilire tali specifiche tecniche. Con provvedimento del 16.4.2014 il DGSIA ha stabilito i parametri che deve rispettare il documento informatico, disponendo che esso deve redatto in formato PDF, deve essere privo di elementi attivi e deve essere ottenuto attraverso una trasformazione di un documento testuale. Non è pertanto ammessa la scansione di immagini (cd. PDF immagine). Si potrebbe, dunque, ad esempio sostenere che il deposito telematico di un atto processuale in formato PDF immagine anziché in formato PDF nativo dia luogo ad un vizio di forma sanabile per raggiungimento dello scopo, posto che comunque l’invio dell’atto è avvenuto in ottemperanza alla prescrizione normativa che ne impone il deposito per via telematica (cfr., in tal senso, Trib. Vercelli, 04.08.2014, che ha sostenuto la tesi della sanatoria del vizio, peraltro qualificato di mera irregolarità, anziché di nullità).

Fuori da questa ed altre analoghe ipotesi, non vi è dubbio, però, che quando il deposito non viene eseguito (sia pur irregolarmente) per via telematica, bensì in modo tradizionale (cioè, con consegna materiale in cancelleria dei documenti o, tutt’al più, mediante invio postale del plico cartaceo), l’atto non potrà che essere dichiarato inammissibile, in quanto affetto da un deficit strutturale/ontologico che lo rende radicalmente inesistente dal punto di vista giuridico (vale a dire, tamquam non esset).

Per tutte le considerazioni finora esposte, il ricorso per reclamo depositato cartaceamente da M. A. deve essere dichiarato inammissibile.

L’accoglimento della eccezione preliminare di inammissibilità del reclamo ha valore assorbente rispetto alla trattazione delle ulteriori questioni di merito, la cui disamina deve dunque ritenersi superflua.

In ordine alle spese di lite, tenuto conto della natura, della complessità e della assoluta novità della questione trattata, della sussistenza di un contrasto giurisprudenziale e dell’assenza di pronunce della Corte di Cassazione sulla specifica questione oggetto di causa, come pure della totale assenza di indicazioni nella circolare del Ministro della Giustizia sul punto, si ravvisano gravi ed eccezionali motivi per compensare integralmente tra le parti le spese della presente fase del procedimento cautelare.

Per Questi Motivi

Il Tribunale di Vasto, in composizione collegiale, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede:

a) dichiara inammissibile il reclamo di cui in epigrafe;

b) dichiara interamente compensate tra le parti le spese della presente fase del giudizio;

c) manda alla Cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza alle parti.

Vasto, 15 aprile 2016.

IL PRESIDENTE                                                                       IL GIUDICE ESTENSORE

dott. Bruno Giangiacomo                                                          dott. Fabrizio Pasquale

Trib. Vasto, ord. 15 aprile 2016 (Pres. Giangiacomo, est. Pasquale) Leggi tutto »

Cass., sez. lavoro, sent. 4 maggio 2016 n. 8886 (Pres. Napoletano, rel. Spena)

 

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Omissis

DIRITTO

Preliminarmente deve esaminarsi la eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente a.r.s. e dalla A. di *** sotto il profilo della sua tardività.

Nella fattispecie il termine di impugnazione della sentenza scadeva in data 27.11.2014, termine cosi posticipato rispetto alla scadenza annuale ex art. 155 co 4 e 5 cpc. in quanto cadente nella giornata di sabato (25.11.2014).

La eccezione è fondata.

La notifica del ricorso è stata effettuata a mezzo posta elettronica certificata.

Ai termini dell’art. 16 quater comma tre del DL 179/2012:

“3. La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall’articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68”.

La notifica del ricorso in esame si è perfezionata, a tenore della norma citata, alle ore 23.31 del giorno 27 novembre 2014 nei confronti dell’A.r.S. della Regione *** ed alle ore 23.35 del 27 novembre 2014 nei confronti della A. di ***, coma risulta dalle rispettive ricevute di accettazione.

Ai sensi dell’art. 16-septies del citato D.L. 179/2012 (Tempo delle notificazioni con modalità telematiche):

“La disposizione dell’articolo 147 del codice di procedura civile si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”.

Il richiamato articolo 147 cpc (Tempo delle notificazioni) nella vigente formulazione – applicabile ratione temporis- dispone che le notificazioni dal 1° ottobre al 31 marzo non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 19 ( prima delle ore 6 e dopo le ore 20 dal 1° aprile al 30 settembre ) .

Sicchè la notifica del ricorso in cessazione a norma del combinato disposto degli articoli 16 septies DL 179/2012 e 147 cpc si considera ex lege perfezionata il 28 novembre 2014, a termine decorso.

La norma dell’art. 16-septies del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 non consente una diversa interpretazione per Il chiaro tenore letterale; essa infatti non prevede la scissione tra il momento di perfezionamento della notifica per il notificante ed il tempo di perfezionamento della notifica per il destinatario espressamente disposta, invece, ad altri fini dal precedente articolo 16 quater.

Le spese si compensano per la assoluta novità della questione trattata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art. 1 co 17 L. 228/2012 ( che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata .

PQM

Dichiara la inammissibilità del ricorso.

Compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma in data 26 gennaio 2016

IL GIUDICE ESTENSORE                                                                                                                                                           IL PRESIDENTE 

Cass., sez. lavoro, sent. 4 maggio 2016 n. 8886 (Pres. Napoletano, rel. Spena) Leggi tutto »

Trib. Milano, sez. lavoro, ord. 10 maggio 2016 (est. Cassia)

 

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 N. R.G. nn/aaaa

Tribunale di Milano

SEZIONE LAVORO

VERBALE DELLA CAUSA

L.L.M.

RICORRENTE

e

P. SPA

RESISTENTE

Oggi 10 maggio 2016, innanzi al GdL dott.ssa Maria Grazia Cassia, sono comparsi:

Per L.L.M. l’avv. G.C. nonché la ricorrente personalmente e la dott.ssa A.I. ai fini della pratica forense.

Per P. SPA l’avv.to V.M.

Il Giudice invita le parti alla discussione sull’istanza di rimessioni in termini depositata dalla parte resistente. L’avv.to C. rileva che la terza PEC che genera il sistema in automatico ha denotato un errore nel deposito il 28 aprile, il che avrebbe dovuto comportare o un deposito cartaceo o un rideposito telematico e quindi eccepisce la tardività dell’avversa costituzione.

L’avv.to M. insiste per la rimessione in termini rilevando che la terza pec indica un errore e riferisce della necessità di verifiche da parte dell’ufficio procedente.

Il Giudice, all’esito della discussione delle parti:

·       rilevato che l’avvocato depositante riceve nella propria casella quattro messaggi di posta elettronica: 1) ACCETTAZIONE: DEPOSITO (ossia la ricevuta di presa in carico del messaggio da parte del gestore PEC del mittente, equivalente della ricevuta che l’ufficio postale rilascia al mittente di una raccomandata A/R); 2) CONSEGNA: DEPOSITO (ossia la ricevuta con cui il gestore pec del destinatario attesta che il messaggio è stato ricevuto nella casella del destinatario, equivalente dell’avviso di ricevimento di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento); 3) ESITO CONTROLLI AUTOMATICI DEPOSITO (ossia l’informativa circa l’esito dei controlli automatici meramente formali che il sistema effettua sul messaggio e sulla busta telematica); 4) ACCETTAZIONE DEPOSITO (ossia l’informativa sull’esito dell’intervento di accettazione operato dalla cancellaria dell’ufficio destinatario);

·       rilevato che nel caso di specie il difensore della parte resistente ha ricevuto i primi due messaggi in data 28 aprile 2016, pressochè contestualmente (h. 16.09); nello stesso giorno, alle 16.45, ha inoltre ricevuto il terzo messaggio contenente la segnalazione della presenza di un “errore imprevisto” e della necessità di ulteriori verifiche da parte dell’ufficio ricevente;

·       rilevato che da quanto sopra si desume che, dopo aver inviato la seconda ricevuta, il gestore ha provveduto in automatico, come da prassi, al download della messaggio PEC, ed ai controlli formali sulla busta telematica, segnalando per l’appunto un “errore imprevisto”;

·       rilevato che alla cancelleria compete l’accettazione del deposito telematico, una volta che il sistema abbia esperito i controlli automatici preliminari; che l’accettazione costituisce l’adempimento indispensabile affinchè il deposito telematico entri nel fascicolo informatico e sia pertanto accessibile e conoscibile alla controparte ed al giudice; che, a differenza che nel deposito analogico, il controllo può perfezionarsi anche a distanza di tempo dalla trasmissione effettuata dal depositante; che, tendenzialmente, l’accettazione dei depositi dovrebbe avvenire entro il giorno lavorativo successivo al deposito (considerandosi il sabato giorno festivo) e seguendo comunque l’ordine cronologico di consegna delle buste telematiche; che il Ministero della Giustizia, con propria circolare del 23.10.2015, ha dato istruzione alle cancellerie di accettare sempre il deposito in presenza di anomalie, tanto bloccanti e non bloccanti (cioè di tipo WARNING ed ERROR), segnalando al giudicante le informazioni circa l’anomalia riscontrata; che in caso di errore non gestibile (FATAL) la cancelleria deve rifiutare l’accettazione, anche al fine di evitare che il deposito rimanga in attesa di accettazione, tenuto conto che l’errore “fatale” non impedisce un nuovo deposito entro i termini assegnati o di legge;

·       rilevato che, nel caso di specie, il mittente non era in grado di apprendere, dalla terza ricevuta, la natura dell’errore riscontrato dal gestore, né la cancelleria ha provveduto, entro il giorno successivo (29 aprile), ad accettare ovvero rifiutare l’atto;

·       ritenuto che, ove la cancelleria avesse provveduto al rifiuto del deposito nei termini previsti dalla Circolare Ministero Giustizia 23.10.2015, parte ricorrente avrebbe potuto effettuare un nuovo deposito nei termini perentori fissati per la costituzione in giudizio;

·       ritenuto che ove l’informazione circa l’esito dei controlli automatici avesse puntualmente esplicitato la natura dell’errore riscontrato, la diligenza del legale sarebbe stata da valutarsi con maggior rigore in presenza della segnalazione di un errore fatale, ed a prescindere dall’assegna di un formale rifiuto dell’atto da parte della cancelleria, trattandosi di segnalazione che già di per sé rendeva edotto il mittente circa l’impossibilità dell’accettazione del deposito da parte della cancelleria, e non essendo ancora spirato il termine perentorio per la costituzione in giudizio;

·       rilevato che nella medesima Circolare ministeriale si auspica che i capi di ciascun ufficio ed i dirigenti di cancelleria coordinino tra loro modalità di segnalazione degli errori il più possibili efficaci e complete;

·       ritenuto tuttavia che allo stato dell’arte non solo non risulta sempre agevole per la cancelleria interpretare la natura dei possibili errori segnalati in automatico, ma che per di più ad essa non è dato di intervenire sui messaggi che il sistema genera in automatico, sicchè il difetto di specificità della segnalazione dell’errore non può essere in alcun modo imputato all’ufficio giudiziario ricevente;

·       rilevato che nelle controversie soggette al rito al lavoro la costituzione del convenuto deve avvenire, ai sensi dell’art. 416 c.p.c. “almeno dieci giorni prima della udienza”, dovendosi considerare come dies a quo il giorno dell’udienza, che perciò va escluso dal computo secondo il principio generale stabilito dal primo comma dell’art. 155 cod. proc. civ., e come dies ad quem il decimo giorno precedente l’udienza stessa, che invece va computato, non essendo espressamente previsto, dalla norma, che si tratti di termine libero;

·       rilevato conseguentemente che, nel caso di specie, parte resistente avrebbe potuto costituirsi tempestivamente in giudizio entro il 29 aprile 2016, essendo l’udienza di discussione fissata per il successivo 10 maggio 2016;

·       rilevato che a norma dell’art. 153, 2° co c.p.c. “la parte che sia incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”;

·       ritenuto che da quanto sopra esposto emerga la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza di rimessione in termini;

·       ritenuto infatti che non possa ritenersi esigibile che il legale, avendo ricevuto l’avviso di avvenuta consegna del messaggio PEC in epoca idonea a considerare il deposito tempestivamente eseguito (ex art. 16 bis, co. 7 D.L. 179/2012), in difetto di esplicita segnalazione di errore fatale, implicante in quanto tale l’impossibilità del rifiuto dell’accettazione da parte di cancelleria, ed altresì di esplicito rifiuto dell’accettazione, provveda a nuovo deposito nel termine perentorio normativamente previsto, e non si attivi piuttosto per ottenere informazioni sull’errore e sull’esito del deposito, confidando pertanto nell’accettazione del deposito da parte della cancelleria;

·       ritenuto infatti che nel segnalare l’errore il gestore ha informato il mittente circa la necessità di “verifiche da parte dell’ufficio ricevente”, con ciò giustificando l’aspettativa circa l’accettazione del deposito; verifiche che tuttavia risultano essere intervenute in epoca successiva alla scadenza del termine perentorio, e che a fronte della presenza di un errore fatale connesso alle caratteristiche di uno dei documenti inseriti nella busta telematica allegata al messaggio PEC, hanno comportato il rifiuto dell’accettazione solamente in data 9.5.2016;

P.Q.M.

in accoglimento dell’istanza, letto l’art. 294 c.p.c., rimette in termini parte resistente fissando nuova udienza di discussione per il giorno 1.6.2016 h. 11.20.

Il GdL

Maria Grazia Cassia 

Trib. Milano, sez. lavoro, ord. 10 maggio 2016 (est. Cassia) Leggi tutto »