Giugno 2016

Cons. Stato, sez. III, sent.14 settembre 2015, n. 4270

 
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CONSIGLIO DI STATO

SEZIONE TERZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato                        
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)               
ha pronunciato la presente    

                                      
                              SENTENZA                           

 

sul ricorso numero di registro generale nn del aa, proposto da: Ministero ***, U.T.G. – Prefettura di ***, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via ***, nn

contro
                                               

E. S., rappresentato e difeso dagli avv. G. C., G. S., con domicilio eletto presso G.E. in Roma, Vicolo ***, nn;

                     

                                    per la riforma                            

della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA nn/AAAA,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di E. S.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2015 il Cons. R. C. e uditi per le parti gli avvocati D. T. su delega di G. C. e di G. S. e l’avv. dello Stato T. V.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto e diritto                        

1.Il sig. E. S. impugnava il decreto di divieto di detenzione d’armi emesso dal Prefetto di Reggio Calabria in data aa/AAAA.
Il provvedimento si fondava su due ordini di ragioni:
a) le frequentazioni dell’interessato con persone con pregiudizi penali;
b) il quadro di relazioni familiari che incideva negativamente sull’affidabilità richiesta, in particolare, la convivenza con due stretti familiari, che risultavano frequentare soggetti gravati da vari precedenti penali.
Si costituiva in giudizio la Prefettura di Reggio Calabria che depositava, oltre al controricorso, la nota della Questura di Reggio Calabria – Commissariato della P.S. di Gioia Tauro, del 30.10.2013, Div. ***, dalla quale era scaturito il decreto prefettizio di diniego.
Il sig. S. affidava il ricorso ai seguenti motivi di diritto:
I) Illegittimità del provvedimento per violazione di legge, illogicità e carenza della motivazione – eccesso di potere;
II) Illegittimità del provvedimento per carenza di istruttoria, illogicità e/o carenza della motivazione – eccesso di potere;
III) Violazione di legge: mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
All’udienza cautelare il Tar tratteneva il ricorso per una decisione in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a..
Il Tar riteneva che la vicenda imponeva una particolare attenzione, da un lato, rispetto ai fatti posti a fondamento dell’impugnata informativa, dall’altro, rispetto alla personalità dell’odierno ricorrente in quanto:
– le frequentazioni personali contestate al ricorrente erano del tutto occasionali e irrilevanti (una risalente al 2004, la seconda, più recente, ma con soggetto con precedenti penali attinenti a delitti in ambito familiare);
-del pari irrilevante era la frequentazione contestata al padre del sig. S. con il proprio fratello, peraltro assolto dai reati contestati;
– risalenti nel tempo erano quelle contestate alla propria sorella, due nel 2004 una nel 2007, non più convivente con il sig. S. dal nn/AAAA, giorno in cui aveva contratto matrimonio.
Occorreva valutare anche la personalità del ricorrente così come emergeva dal suo percorso professionale e di vita in quanto:
– il sig. S.E. era stato arruolato nell’Esercito Italiano a far data dal nn/AAAA, con il grado di caporale*** in rafferma annuale, assegnato alla Brigata Flaminia ed aveva ottenuto un elogio per il servizio svolto in data 10.08.2012 (attestato in atti);
-nel corso del 2013 aveva presentato domanda di partecipazione al concorso per il reclutamento di 964 allievi agenti della P.S., riservato ai volontari in ferma di un anno partecipando alle relative prove selettive, dimostrando la volontà e il desiderio di entrare a far parte delle forze di polizia;
-attualmente lavorava alle dipendenze della F.lli S. snc, società dedita alla lavorazione del legno.
Per il Tar, dai dati fattuali sopra esposti emergeva non solo l’illogicità dell’impugnato provvedimento, poiché da nessun concreto elemento poteva evincersi il pericolo di abuso nell’uso delle armi, ma anche la sua intrinseca contraddittorietà in quanto alle sporadiche frequentazioni contestate aveva fatto seguito un periodo di servizio presso le Forze armate, servizio per il quale, l’odierno ricorrente, aveva ricevuto persino un elogio dal proprio comandante.
Conclusivamente per il Tar il provvedimento impugnato presentava evidenti vizi motivazionali laddove, in primo luogo, erano state considerate rilevanti, ai fini del diniego, frequentazioni meramente occasionali; in secondo luogo, per il fatto che non era stata compiuta una valutazione della complessiva personalità del soggetto, tale da fondare in concreto l’incidenza delle contestate frequentazioni sul giudizio prognostico di abuso delle armi.
Le spese del giudizio venivano poste a carico della Prefettura di Reggio Calabria.

2. – Nell’atto di appello il Ministero *** sostiene la erroneità della sentenza per travisamento dei fatti ed erronea applicazione della normativa di riferimento evidenziando che nel nostro ordinamento portare le armi è vietato e le eccezionali deroghe al divieto sono circondate da particolari cautele a tutela dell’ordine pubblico e della pacifica convivenza; inoltre l’Autorità preposta alla cura di tali beni gode di amplissima discrezionalità, nel caso in esame bene esercitata attesa la non completa affidabilità del ricorrente.
Si è costituito l’appellato signor E.S. evidenziando la inammissibilità/improcedibilità dell’appello per nullità della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio a mezzo PEC, decadenza del diritto di impugnativa, inammissibilità e/o nullità del gravame per mancata indicazione delle specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, violazione dell’art. 101 c.p.a.. e nel merito infondatezza dell’appello.
Sono state depositate ulteriori memorie difensive.
Alla pubblica udienza del 9 luglio 2015 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

3. – La Sezione deve esaminare in via prioritaria la eccezione avanzata dall’appellato di nullità della notifica dell’Avvocatura dello Stato in quanto effettuata per mezzo della posta elettronica certificata (PEC) inviata al procuratore costituito nel giudizio di prime cure.
Deduce l’appellato, richiamando la sentenza del Tar Lazio, sede di Roma della Sez. III ter nn/AAAA che nel processo amministrativo non è ancora consentito agli avvocati notificare l’atto introduttivo del giudizio con modalità telematiche in mancanza di espressa autorizzazione presidenziale ai sensi dell’art. 52 co.2 c.p.c. .
L’assunto non può essere condiviso.
Al riguardo il Collegio ritiene di aderire per relationem al recentissimo precedente di questo Consiglio di Stato, Sez. VI n.2682 del 28 maggio 2015 secondo il quale: “La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, c o. 2, del c.p.a. non può considerarsi ostativa alla validità ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (ed in particolare… gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dall’art. 25 co. 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale… a mezzo della posta elettronica certificata”.
“Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a. , disposizione che si riferisce a “forme speciali” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile.”
“Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico –operative resta il DPCM al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato al c.p.a. , ciò non esclude però l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC”.
Sulla base di tale precedente l’eccezione proposta dall’appellato deve essere respinta.

4. – Anche la seconda eccezione dedotta dall’appellato di nullità dell’appello del Ministero per mancata specificazione dei motivi è infondata.
Il Ministero non si è limitato a riproporre le difese formulate in primo grado ma ha sostenuto la erroneità della sentenza del primo giudice evidenziando con specificità il travisamento dei fatti e l’erronea applicazione della normativa di riferimento e dunque l’errore in cui sarebbe incorso il primo giudice che in primo luogo non si sarebbe avveduto della rilevanza e pericolosità delle frequentazioni dell’interessato e dei suoi familiari, in secondo luogo, non avrebbe rilevato che il sindacato del giudice amministrativo “si arresta al limite della ragionevolezza”.
Non si è trattato quindi di una mera riproposizione di difese svolte in primo grado ma specifiche critiche allo iussum del giudice di primo grado.

5. – L’appello nel merito è fondato.
La Sezione richiama le conclusioni della giurisprudenza amministrativa che ha osservato che ai sensi degli artt. 39 e 43 del RD 18 giugno 1931 n. 773 l’amministrazione è titolare di un potere discrezionale molto esteso in materia di rilascio e ritiro di licenze abilitanti il possesso di armi e munizioni. Tale ampia discrezionalità si evince nella previsione contenuta nel citato art. 43 ove si prevede che la licenza può essere ricusata, oltre che in confronto dei soggetti che hanno riportato condanne penali, anche nei riguardi di chi non dà affidamento di non abusare delle armi. Il fine perseguito è, infatti, la tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, non solo in caso di accertata lesione, ma anche in caso di pericolo di lesione, sicché si tratta di un potere attribuito anche con finalità di prevenzione rispetto alla commissione di illeciti.
Ne consegue che il divieto di detenzione di armi, munizioni, esplosivi, così come il diniego di licenza o la revoca della licenza di porto d’armi, non richiedono un oggettivo ed accertato abuso nell’uso delle armi, essendo sufficiente che, secondo una valutazione non inattendibile, il soggetto non dia affidamento di non abusarne.
La valutazione di inaffidabilità del soggetto è attribuita all’autorità amministrativa la quale è chiamata ad un accertamento incensurabile in sede di legittimità nel momento in cui risulta congruamente motivato avuto riguardo a circostanze di fatto specifiche.
Né può risultare indifferente, nel giudizio di valutazione complessiva, la sproporzione significativa, tra l’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza dei cittadini rispetto all’interesse privato di portare armi o comunque di detenerle.
Per cui, salvo il limite dell’onere motivazionale, la valutazione cui è chiamata la Amministrazione, titolare del potere in materia di pubblica sicurezza, può essere contestata nel merito solo per illogicità e travisamento dei fatti sfuggendo invece al sindacato di legittimità l’apprezzamento amministrativo relativo alla prognosi di non abuso delle armi da parte del soggetto che ne sia possessore.
Nel caso in esame la amministrazione ha indicato espressamente le ragioni che hanno indotto ad adottare il gravato provvedimento negativo nei confronti del ricorrente.
Il provvedimento si fondava, come rilevato in fatto, sia sulle frequentazioni dell’interessato con persone con pregiudizi penali, sia sul quadro di relazioni familiari che incideva negativamente sull’affidabilità richiesta, in particolare, la convivenza con due stretti familiari, che risultavano frequentare soggetti gravati da vari precedenti penali.
Quanto alla ricorrenza nel tempo di tali frequentazioni occorre considerare che le stesse hanno coperto un arco di tempo significativo, dal 2004 al 2007, con persone interessate da ipotesi di reato o comportamenti affatto marginali riguardanti gravi reati contro il patrimonio o contro la persona o in ambito familiare; tale ultimo tipo di reati (tra le mura domestiche) non rappresentava certo una attenuante della pericolosità delle frequentazioni, come ritenuto dal Tar, rientrando invece tra le ipotesi di reato più pericolose ed odiose.
Il fatto che il ricorrente abbia svolto per un periodo di tempo con diligenza il servizio nelle forze armate presentando anche domanda come allievo nelle forze di polizia non assume significatività tale da ribaltare la prognosi di non affidabilità circa la detenzione delle armi in relazione al tipo di frequentazioni intrattenute.
Si tenga comunque conto che la esperienza nell’esercito si era oramai conclusa e quella nelle forze di polizia, cui pure accennava il primo giudice, non era mai iniziata tanto che l’appellante oggi lavora in tutt’altro campo.
D’altro canto non può trascurarsi il contesto ambientale, noto per fatti di criminalità organizzata, in cui si inquadrava la vicenda ed il fatto che le frequentazioni dimostravano che il ricorrente, se certo è esente direttamente da dinamiche criminali, comunque non era del tutto lontano da ambienti criminali, cosa, occorre sottolinearlo, diversa dall’affermare che il soggetto sia un criminale.

6. – Conclusivamente le motivazioni del provvedimento impugnato sono idonee a supportare il giudizio ampiamente discrezionale di possibile rischio di abuso del titolo che la legge affida alla autorità prefettizia nella attività di emissione delle autorizzazioni aventi ad oggetto armi, giudizio fondato, nel caso in esame, prevalentemente nell’ambiente sociale e familiare in cui concretamente si esplicava la vita di relazione dell’interessato che evidenziava la possibilità di incidenza di detto ambiente sul modus agendi del medesimo.
Con l’effetto che, del tutto ragionevolmente, il provvedimento impugnato ha valutato sussistente un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica sulla base di un giudizio prognostico ex ante circa la possibilità di abuso delle armi .

7. – L’appello quindi merita accoglimento.

8. – La sentenza appellata deve essere riformata, il ricorso di primo grado respinto.
Tuttavia per l’andamento e la peculiarità dei due gradi di giudizio le spese e gli onorari possono essere compensati.                 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Depositata in segreteria il 14 settembre 2015. 

Cons. Stato, sez. III, sent.14 settembre 2015, n. 4270 Leggi tutto »

T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, sent. 13 maggio 2016, n. 455

 
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T.A.R. BALISICATA

SEZIONE PRIMA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Basilicata (Sezione Prima)                           
ha pronunciato la presente

                                  
                   SENTENZA                         

 

sul ricorso avente numero di registro generale ***del 2014, proposto da:
– G. Q. e avv. G. T., rappresentati e difesi dall’avv. D. L., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F. R., in ***, alla via *** nn; 

 

contro

Ministero ***, in persona del Ministro in carica, non costituito in giudizio;

 

nei confronti di

*** non costituito; ***, rappresentato e difeso dall’avv. ***, con domicilio eletto presso *** in ***, Via *** 41/1;                   

 

per l’ottemperanza

al decreto nn/AAAA, del nn/AAAA, emesso dalla Corte di Appello di Potenza.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2016 il referendario Benedetto Nappi; dato atto che nessuno è comparso per i ricorrenti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto e diritto                       

1. Col decreto in epigrafe, la Corte d’Appello di Potenza ha condannato il Ministero *** al pagamento, in favore del sig. G. Q., della somma di euro 3.000,00, oltre accessori di legge, a titolo di equa riparazione per l’eccessiva durata di un processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, nonché alle rifusione delle spese di lite, nella misura ivi indicata, con attribuzione all’avv. G.T., quale procuratore antistatario.
1.1. Il decreto, munito di formula esecutiva, è stato notificato al Ministero della Giustizia che, tuttavia non ha provveduto al dovuto pagamento.
1.2. I ricorrenti hanno pertanto spiegato azione di ottemperanza, volta ad ottenere il pagamento delle predette somme, la nomina di un commissario ad acta per l’ipotesi di ulteriore inerzia del Ministero intimato, e la fissazione di penalità di mora ai sensi dell’art. 114, n. 4, lett. e) cod. proc. amm..
2. Il Ministero della Giustizia, benché ritualmente evocato in giudizio, non si è costituito.
3. Alla camera di consiglio svoltasi in data 27 gennaio 2016, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
3.1. Con ordinanza nn/AAAA, il Collegio ha dato avviso alle parti, ai sensi dell’art. 73, co. 3, cod. proc. amm., della possibile inammissibilità del ricorso,
3.2. Con memoria depositata il 1° marzo 2016 il ricorrente ha insistito per l’ammissibilità del ricorso.
3.3. Nelle more, la Corte di Appello di Potenza ha comunicato l’intervenuto pagamento di quanto spettante ai ricorrenti.
4. In data 19 aprile 2016 il ricorso è stato nuovamente esaminato dal Collegio.
5. Il ricorso, notificato con modalità telematica, è ammissibile, in quanto in calce all’originale dello stesso è stata apposta l’attestazione di conformità di cui all’art. 23, n. 1, del d.lgs. n. 82/2005.
6. Nel merito, l’intervenuto pagamento delle somme da corrispondere ai ricorrenti in esecuzione del decreto della Corte d’Appello azionato comporta, ai sensi dell’art. 34, n. 5, cod. proc. amm., la declaratoria di cessazione della materia del contendere.
7. Sussistono giusti motivi, in continuità col costante orientamento di questo Tribunale (cfr., ex multis, sentenza 24 dicembre 2014, n. 890), per disporre l’irripetibilità delle spese di lite da parte dei ricorrenti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata dichiara la cessazione della materia del contendere nel ricorso in epigrafe.
Spese irripetibili.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza, nelle camere di consiglio dei giorni 27 gennaio 2016 e 19 aprile 2016, con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Pasquale Mastrantuono, Consigliere
Benedetto Nappi, Referendario, Estensore
Depositata in segreteria il 13 maggio 2016.

T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, sent. 13 maggio 2016, n. 455 Leggi tutto »

T.A.R. Campania, sez. IV, ord. 25 febbraio 2016, n. 1063

 
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T.A.R. CAMPANIA

SEZIONE QUARTA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta)                           
ha pronunciato la presente

                                  
                             ORDINANZA                         

 

sul ricorso numero di registro generale *** del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
B.C., rappresentata e difesa dall’avv. L.S., con domicilio eletto presso L. S. in Napoli, Vico ***, Santa *** 11;  ***;

 

contro

Ministero ***, in persona del Ministro p.t., Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, in persona del legale rapp.te p.t,, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello stato di Napoli, domiciliataria ex lege, in Napoli, Via ***, 11;

 

nei confronti di

*** non costituito; ***, rappresentato e difeso dall’avv. ***, con domicilio eletto presso *** in ***, Via *** 41/1;                   

 

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia

quanto al ricorso principale, in parte qua del decreto a firma del Direttore Generale dell’ufficio scolastico regionale della Campania Ufficio *** in data nn/AAAA prot. n. ***, che approva la graduatoria generale di merito del concorso bandito in data nn/AAAA nella parte in cui attribuisce alla parte ricorrente un insufficiente punteggio per i titoli di culturali e di servizio;
quanto al ricorso per motivi aggiunti,
della graduatoria del medesimo concorso come rettificata a mezzo del provvedimento n. *** del nn/AAAA senza emendare gli errori già evidenziati con il ricorso principale;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Campania e di ***;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2016 il dott. Luca Cestaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Fatto e diritto                       

Con istanza depositata il 27 gennaio 2016, parte ricorrente chiedeva chiarimenti al Collegio in quanto mostrava di non aver inteso se l’ordinanza depositata il 22.10.2015 – con cui si disponeva, oltre all’accoglimento dell’istanza cautelare, l’integrazione del contraddittorio a cura della parte ricorrente- consentisse “cumulativamente” o “alternativamente” la notifica ai controinteressati mediante pubblicazione sul sito web dell’amministrazione e in Gazzetta Ufficiale.

Alla udienza camerale del 10.02.2016, la parte ricorrente, peraltro, precisava la propria richiesta chiedendo di essere rimessa in termini per errore scusabile, non avendo correttamente inteso l’ordinanza in argomento che consentiva la notifica per pubblici proclami ma con modalità semplificate consistenti nella pubblicazione, sul sito web dell’amministrazione, del testo integrale del ricorso, dell’elenco nominativo dei controinteressati e degli estremi dell’ordinanza e, in Gazzetta Ufficiale, di alcune più sintetiche indicazioni (cfr. ordinanza n.1867/2015 del 22.10.2015, cit.).

Ritiene il Collegio che, anche per l’assenza di opposizioni delle altre parti costituite, non sussistano ragioni ostative alla concessione della rimessione in termini; infatti, per quanto l’ordinanza citata recasse indicazioni non equivoche in merito alle modalità di notifica, sussistono diverse incertezze applicative rispetto all’utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche nelle processo amministrativo, nelle more della imminente introduzione del processo amministrativo telematico

Appare opportuno, quindi, concedere il beneficio della rimessione in termini rispetto all’integrazione del contraddittorio disponendo che i relativi incombenti, come descritti nella menzionata ordinanza n.1867/2015, siano effettuati entro giorni 15 (quindici) dalla comunicazione della presente ordinanza a cura della segreteria , con deposito della prova delle intervenute pubblicazioni entro il termine perentorio di ulteriori 20 (venti) giorni. Conseguentemente, per la discussione del merito del ricorso, l’udienza di rinvio va individuata non più in quella del 23.03.2016, bensì in quella del 25.05.2016.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta):
-) rimette in termini la parte ricorrente rispetto all’integrazione del contraddittorio secondo le modalità stabilite dall’ordinanza n. 1867/2015;
-) dispone che parte ricorrente vi provveda entro giorni 15 (quindici) dalla comunicazione della presente ordinanza, con deposito della prova delle intervenute pubblicazioni entro il termine perentorio di ulteriori 20 (venti) giorni;
-) fissa per la discussione di merito l’udienza pubblica del nn/2016;
manda alla segreteria per le comunicazioni .
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Anna Pappalardo, Presidente FF
Michele Buonauro, Consigliere
Luca Cestaro, Consigliere, Estensore
Depositata in segreteria il 25 febbraio 2016.

T.A.R. Campania, sez. IV, ord. 25 febbraio 2016, n. 1063 Leggi tutto »

Irritualità della notifica via pec e raggiungimento dello scopo: note a Cassazione, Sez. Unite, n. 7665 del 2016

di Chiara Imbrosciano

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In un tentativo di reductio ad unum delle problematiche interpretative relative alla rilevanza della nullità della notifica a mezzo pec, un passaggio obbligato è rappresentato dalla lettura della sentenza in esame. Adite per risolvere una questione di giurisdizione ex art. 360, comma 1, n. 1 c.p.c e art. 110 c.p.a., le Sezioni Unite, con la sentenza n. 7665 del 2016, depositata il 18 aprile scorso, trattano in via incidentale la questione, che qui interessa, della regolarità formale delle notifiche in proprio a mezzo pec.

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Tempestività del deposito e rimessione in termini: come orientarsi nel turmoil della giurisprudenza di merito

di Chiara Imbrosciano

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Destano qualche perplessità le numerose pronunce di merito che di recente si sono occupate, con esiti diversi e talvolta imprevedibili, di accogliere, ovvero rigettare, le istanze di rimessioni in termini presentate dalle parti incorse in decadenza nel deposito eseguito telematicamente, a causa di un’anomalia, rectius un errore, non emendato prima del decorso del termine. Tali pronunce suggeriscono l’esigenza d’indagare il coordinamento della legislazione in materia di processo telematico con il disposto di cui all’art. 153, 2° comma, c.p.c., a tenore del quale “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”.

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