Trib. Firenze, ord. 19 marzo 2015 (Pres. Damonte, est. Ghelardini)

 

TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE

III Sezione civile

Ordinanza 4-19 marzo 2015

Proc. n. nn/aaaa R.G.

Il Tribunale riunito in data odierna in Camera di Consiglio nella persona dei Magistrati

dr.ssa Maria Grazia DAMONTE – presidente

dr.ssa Silvia GOVERNATORI – giudice

dr. A. GHELARDINI – giudice rel. ed est.

letti gli atti di causa

sul reclamo proposto ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. dalla XXX SRL, depositato in Cancelleria il 14.1.15, avverso l’ordinanza del GE […], comunicata il 30.12.2014, con cui è stata disposta la sospensione dell’esecuzione nel proc. N. nn/aaaa + nn/aaaa RGE pendente a carico della stessa *** e di *** SAS di ***;

sentiti i difensori all’udienza 4.3.2015;

a scioglimento della riserva,

OSSERVA

L’avv. *** promuoveva esecuzione forzata immobiliare a carico della *** in forza di titolo costituito dalla ordinanza di questo Tribunale 16.6.2012, precettando l’importo complessivo di € 3.472,78. Lo stesso successivamente interveniva in forza di altri titoli nella procedura esecutiva immobiliare promossa dalla sig.ra *** nei confronti della *** (terzo acquirente dell’immobile) anche per crediti vantati nei confronti della ***.

Disposta la riunione delle due procedure, attesa la identità del bene oggetto di pignoramento, *** proponeva opposizione all’esecuzione di fronte al G.E., contestando l’esistenza del diritto dell’avv. *** a procedere ad esecuzione forzata per talune delle voci precettate, tra cui l’I.V.A. relativa alla notula emessa relativamente ai propri compensi professionali, ed il diritto a partecipare alla distribuzione del ricavato per le somme dovute dalla ***.

A sostegno dell’opposizione *** evidenziava che, riguardando il titolo esecutivo la condanna della *** al rimborso delle spese di lite dell’avv. ***, spese maturate in giudizio in cui *** era uscita vincitore, non era dovuta l’IVA, essendosi l’avvocato difeso in proprio. Quanto al resto, eccepiva che l’avv. *** non aveva diritto a partecipare alla distribuzione del ricavato, perché munito di titoli contro la *** esecutivi, ma non passati in giudicato e non opponibili alla ***, quale terzo acquirente del bene ipotecato.

Con l’ordinanza oggi reclamata il G.E. ha parzialmente accolto l’opposizione, concedendo la sospensione parziale dell’esecuzione, respingendo peraltro le doglianze della *** circa la debenza dell’I.V.A. e l’opponibilità alla stessa dei titoli esecutivi contro la ***.

Ha proposto tempestivo reclamo ***, deducendo: 1) errore di diritto del giudice di prime cure circa la debenza del credito IVA. Trattandosi di prestazione difensiva in proprio la relativa operazione non sarebbe imponibile sulla base della normativa tributaria; inoltre nega la natura di costo di tale esborso, essendo l’avv. *** soggetto IVA con relativa facoltà di detrazione dell’IVA. 2) quanto all’inopponibilità dei titoli contro *** nei confronti di *** terza acquirente, invoca Cass. SSUU 9440/2010.

Con decreto del presidente del Collegio del 27.1.2014 è stata fissata l’odierna udienza per la discussione, assegnando “termine perentorio per la notifica del ricorso e del presente decreto sino al 15.2.2015”.

All’odierna udienza il difensore della reclamante ha chiesto di essere rimessa in termini per la notifica del ricorso e del provvedimento di fissazione, “omessa per un disguido”, invocando il principio di diritto di cui a Cass. SSUU n. 5700/14.

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1) Le conseguenze della omessa notifica del reclamo e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione

Trattasi di questione di rito da valutarsi in via prioritaria, in quanto idonea a definire il giudizio.

Ritiene il Tribunale, pur nella consapevolezza di autorevoli e recenti precedenti di legittimità di segno contrario, che l’omissione in questione comporti la improcedibilità del reclamo, rilevabile di ufficio.

Sul punto occorre prendere le mosse dalla decisione della Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, n. 5700/14, la quale, affrontando la tematica delle conseguenze processuali della omessa notifica da parte del ricorrente del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza nel procedimento camerale per la liquidazione dell’equo indennizzo per la irragionevole durata del processo (L. n. 89/2001), ha affermato il principio, così componendo il contrasto formatosi nella precedente giurisprudenza ed in difformità rispetto a quanto statuito dalle SSUU con la sentenza 20604/08, secondo cui “In materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza alla controparte non è perentorio, non essendo previsto espressamente dalla legge. Ne consegue che il giudice, nell’ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, può, in difetto di spontanea costituzione del resistente, concedere al ricorrente un nuovo termine, avente carattere perentorio, entro il quale rinnovare la notifica”. (Sentenza n. 5700 del 12/03/2014).

Il Giudice di legittimità è addivenuto a tale conclusione, evidenziando in motivazione la circostanza che la normativa speciale (L. n. 89/01) “non contiene una previsione legale tipica che sanzioni con il divieto di accesso alla giurisdizione la omessa notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell’udienza”. Ha quindi rilevato, in sintesi, che il termine giudiziale fissato per la notifica non è qualificato come perentorio, con conseguente impossibilità di ravvisare una qualsiasi decadenza in caso di inosservanza; che l’interesse alla celerità del procedimento non verrebbe significativamente compresso dall’eventuale concessione di un termine contenuto nello stretto necessario a garantire l’effettività del diritto di difesa; che, come rilevato dalla pregressa giurisprudenza, a differenza di quelli di impugnazione o di opposizione a decreto ingiuntivo, da introdursi con ricorso, “il procedimento di cui si tratta non presuppone dall’altro lato la legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un confine temporale rigorosamente predefinito, e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso”, evidenziando altresì la differente struttura del procedimento camerale per la liquidazione dell’indennizzo di cui alla Legge Pinto con tali citati procedimenti, in quanto aventi “struttura impugnatoria ed a struttura bifasica, caratterizzati da una fase iniziale, incentrata sul deposito del ricorso, produttiva di effetti prodromici e preliminari, suscettibili però di stabilizzarsi solo in presenza di una valida vocatio in ius”.

Le SSUU hanno quindi richiamato la diversa disciplina prevista dall’art. 435 c.p.c., in materia di appello di rito lavoro, evidenziando che in tal caso la sanzione dell’improcedibilità per la omessa notifica dell’appello e del decreto di fissazione dell’udienza trova la sua giustificazione razionale nell’obbligo per la Cancelleria, previsto in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 15/77, di dare comunicazione all’appellante del decreto di fissazione dell’udienza.

E’ stato argomentato, quindi, dopo aver richiamato il principio del giusto processo sancito dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali recepito con la legge costituzionale n. 2 /99, il quale impone non solo la ragionevole durata del processo, ma anche il diritto ad un giudizio di merito, che “In definitiva, non si dubita che il legislatore possa condizionare l’esercizio di atti di difesa giudiziale al rispetto di termini, anche a pena di improcedibilità o di inammissibilità: ma, in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, non è lecito presumere che una tale conseguenza sia prevista implicitamente in situazioni nelle quali non risulti, al contempo, garantito alla parte onerata dal rispetto del termine la tempestiva conoscenza del momento dal quale esso prende a decorrere. Nei procedimenti camerali, come quello di cui si tratta, non è previsto un onere di comunicazione al difensore del ricorrente, a cura della cancelleria, della data di fissazione della udienza: il giudice è tenuto solo al deposito del decreto, ma non anche a disporre la relativa comunicazione, incombendo sul ricorrente l’obbligo di attivarsi per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso…”.

Le SSUU hanno quindi ritenuto applicabile in via analogica alla fattispecie scrutinata il meccanismo di sanatoria di cui all’art. 291 c.p.c., il quale prevede che in caso di nullità della notifica se il convenuto resta contumace, il giudice ”fissa all’attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”

A seguito di tale pronuncia, la S.C. ha poi emesso due altre decisioni, a sezioni semplici, con le quali, richiamando espressamente il principio di diritto di cui alla suddetta pronuncia delle SSUU, è stato affermata la sanabilità dell’omessa notifica anche al procedimento per reclamo avanti alla Corte di Appello dell’ordinanza di modifica delle condizioni di divorzio (Cass. Sez. VI ord. 21669/14) ed a quello di appello, da introdursi secondo rito camerale, avverso la sentenza del Tribunale di divorzio ex L. n. 74/1987 art. 8 (Cass. Sez. ord. I n. 21111/14), evidenziando che, pur trattandosi di procedimenti impugnatori, anche in tali casi la Cancelleria non aveva alcun onere di comunicare all’appellante il provvedimento di fissazione dell’udienza e di concessione del termine per la notifica.

In buona sostanza, la S.C. con tali decisioni ha espressamente affermato l’applicabilità della sanatoria di cui all’art. 291 c.p.c. in caso di omessa notifica del ricorso per reclamo alla parte appellata anche ai suddetti procedimenti, malgrado la loro natura impugnatoria, valorizzando, e rendendo decisivo, l’argomento già valorizzato dalle SSUU con riferimento agli appelli di rito lavoro, inerente la mancanza dell’obbligo per l’ufficio di comunicazione del decreto.

In particolare con la ordinanza 21669/14 è richiamata, al fine di accreditare la tesi sostenuta, anche la pronuncia della Corte Costituzionale n. 60/2010 la quale “ha affermato in ordine ai procedimenti di appello assoggettati al rito lavoro…, la non perentorietà del termine per la notifica del ricorso e del decreto e la concessione di un nuovo termine anche dopo la scadenza del primo”.

Tanto premesso sotto il profilo ricognitivo dello stato attuale della giurisprudenza di legittimità sul tema in questione, ritiene il Collegio, pur consapevole della autorevolezza delle decisioni delle sezioni semplici, che tale effettuata estensione ai giudizi di natura impugnatoria introdotti con ricorso del principio di diritto di cui alla sentenza SSUU 5700 non sia pienamente condivisibile.

Sul punto, va in primo luogo evidenziata la scarsa pertinenza della decisione di cui a Corte Cost. 60/2010.

Trattasi infatti di ordinanza di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 435, II c.p.c. (appello lavoro) con la quale il giudice delle leggi, verificato che malgrado il mancato rispetto da parte del ricorrente appellante del termine di 10 gg dalla comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 435, II co. C.p.c., era stato rispettato il termine a difesa di cui al III co. della stessa disposizione (25 gg prima dell’udienza), ha sostanzialmente escluso la concreta violazione del diritto di difesa della parte appellata e la irragionevolezza della suddetta disposizione.

Si trattava in sostanza di notifica del ricorso tardiva, rispetto al termine di cui al comma II, ma comunque tempestiva sotto il profilo del termine a difesa di cui al III co.

La fattispecie concreta esaminata ed il percorso argomentativo del Giudice delle Leggi erano pertanto del tutto diversi da quelli oggi in questione.

D’altra parte nei procedimenti aventi struttura impugnatoria il principio di ragionevole durata del processo impone di sanzionare le eventuali omissioni o tardività imputabili a colpa della parte impugnante.

Ogni diversa soluzione in proposito comporta infatti il sacrificio e/o la compressione dell’interesse della parte impugnata a veder consolidati gli effetti della decisione di primo grado.

La circostanza è infatti stata evidenziata anche dalle SSUU, in sede di ricognizione dello stato della giurisprudenza pregressa, che hanno sottolineato la differenza strutturale tra il procedimento camerale di cui alla Legge Pinto ed i giudizi di impugnazione e di opposizione a decreto ingiuntivo introdotti con ricorso.

Né d’altra parte sul punto possono dirsi compromessi i principi di cui al giusto processo e, segnatamente, quello di diritto di accesso alla giustizia ed ad una decisione di merito.

Invero, il procedimento impugnatorio presuppone l’esistenza di un giudizio di primo grado. L’accesso alla giustizia ed alla decisione di merito sono quindi già stati soddisfatti in quella sede.

D’altra parte è pacifico che il principio della necessità del doppio grado di giudizio non è costituzionalizzato, salvo che, quanto alle sentenze, per il ricorso in Cassazione per violazione di legge. Né il doppio grado di giurisdizione é previsto dalla CEDU.

Da escludere poi che sulla base dell’ordinamento nazionale o sovranazionale vi sia il diritto dell’impugnante ad ottenere comunque una pronuncia di merito.

Ciò detto, e ribadito che le SSUU con la citata sentenza n. 5.700, non sembra che abbiano inteso affermare in ogni caso la sanabilità del vizio da omessa notifica del ricorso, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., bensì esclusivamente nei procedimenti diversi da quelli aventi natura impugnatoria, non appare condivisibile far dipendere o meno il ricorrere della improcedibilità per omessa notifica dalla esistenza di una previsione legale che imponga la obbligatorietà della comunicazione al ricorrente del provvedimento di fissazione dell’udienza e del termine per la notifica, così come invece espressamente affermato nelle ordinanze n. 21.669 e 21111 del 2014.

Ritiene infatti il Tribunale che il suddetto principio di diritto, malgrado l’autorevolezza della fonte, possa e debba essere oggetto di rivalutazione, sia laddove risulti che comunque, al di là dell’esistenza di un obbligo legale, la Cancelleria abbia in concreto comunicato al reclamante il decreto contenente il termine per la notifica, sia in forza di considerazioni inerenti la entrata in vigore delle disciplina in materia di processo civile telematico (D.L. n. 179 conv. con modific. nella L. n. 221/2012 e D.L. 90/14 conv. con modif. nella L. 114/14) e le diverse ed assai più agevoli modalità con cui la parte impugnante può prendere conoscenza del provvedimento di fissazione dell’udienza.

In proposito si osserva quanto segue.

Il reclamo cautelare di cui all’art. 669 terdecies c.p.c. è, pacificamente, rimedio di natura impugnatoria.

Nella fattispecie è documentale, e comunque non è contestato, che il provvedimento di fissazione dell’udienza collegiale è stato comunicato alla reclamante, in osservanza di quanto peraltro previsto nello stesso provvedimento, che espressamente qualificava in termine concesso per la notifica come “perentorio”.

Ciò si evince dalle stesse risultanze del registro informatico, essendo stata effettuata notifica a mezzo Posta Elettronica Certificata in coerenza con le disposizioni normative in materia di processo civile telematico (l’avvenuta comunicazione non è mai stata contestata dalla ricorrente).

Non si può poi non rilevare che con l’entrata in esercizio della piattaforma informatica e delle tecnologie telematiche, anche a prescindere da tale comunicazione, le parti hanno la possibilità di prendere visione del contenuto del fascicolo processuale, e quindi di tutti gli “eventi” posti in essere, direttamente per via telematica senza alcun particolare dispendio di energie e tempi.

L’onere di prendere visione del decreto di fissazione dell’udienza, che in passato, in difetto di comunicazione di Cancelleria, richiedeva l’esercizio di attività dispendiosa (periodici e cronologicamente ravvicinati accessi in Cancelleria, in orario di ufficio, al fine di non incorrere in decadenze e/o ritardi) comporta, oggi, il compimento di attività assolutamente poco significativa. E’ sufficiente che il difensore acceda al portale informatico mediante connessione INTERNET, da studio o da postazione mobile, per entrare nello “storico” del fascicolo processuale e prendere visione, praticamente in tempo “reale”, di tutti gli atti di parte o dell’ufficio depositati.

Ad avviso del Tribunale tali considerazioni, derivanti anche dalla applicazione delle nuove tecnologie ed oggi obbligatorie per legge, impongono una rivisitazione del principio espresso dalla S.C., così come precisato e “sviluppato” dalle sezioni semplici, che cioè fa discendere la sanzione della improcedibilità solo laddove sia prevista la obbligatorietà della comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza.

D’altra parte, la necessità di adottare una opzione interpretativa “rigorosa” in ordine alle conseguenze derivanti da omissioni imputabili alla parte – nella fattispecie il difensore ha dichiarato che la messa in notifica dell’atto non è avvenuta “per un disguido” senza allegare alcuna circostanza di non imputabilità del fatto – è coerente con la stessa disciplina e la particolare struttura di tale procedimento e si impone alla luce dell’evidente sopravvalutazione, che diversamente argomentando, si avrebbe degli oneri posti a carico della parte reclamante.

Si aggiunga che, trattandosi di mezzo di gravame relativo a provvedimento avente natura cautelare, ed avente quindi carattere di urgenza, la inerzia della parte nella attivazione del contraddittorio è chiaramente lesiva dell’interesse della controparte alla sollecita definizione del processo.

Sul punto è rilevante evidenziare che l’avvio e la definizione del procedimento per reclamo sono “contingentati” nei tempi dall’art. 669 terdecies c.p.c..

Non solo tale disposizione prevede un termine perentorio breve per l’impugnazione (15 gg dalla comunicazione dell’ordinanza reclamata), ma anche che “il Collegio, convocate le parti, pronuncia, non oltre 20 gg dal deposito del ricorso…”(comma 5), così chiaramente evidenziandosi la volontà del Legislatore, sia pure mediante la previsione di un termine ordinatorio, di assicurare una sollecita definizione del giudizio sul gravame.

E’ evidente che consentire alla parte reclamante di ritardare a sua discrezione, dopo il deposito del ricorso, l’avvio del contraddittorio e la trattazione del reclamo, consentendo la sanatoria della omessa notifica al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 153, II co. C.p.c. (remissione in termini), e cioè anche quando ciò dipenda da “mero disguido” comporta, ad avviso del Collegio, una irragionevole sacrificio dei diritti della controparte.

D’altra parte il sistema di sanatoria della nullità mediante rinnovazione della notifica di cui all’art. 291 c.p.c. presuppone l’effettuazione di una notificazione nulla e inesistente, circostanza che ben spiega perché in passato si sia dubitato dell’applicazione di tale disposizione ai casi di omessa notifica (es. Cass. Sez. L. 6358/2010).

Non decisivo in proposito è poi la circostanza che il procedimento per reclamo segua il rito dei procedimenti camerali, giusto il richiamo degli artt. 737 e 738 di cui all’art. 669 terdecies, terzo comma, c.p.c.

Come è stato affermato “Nei procedimenti di impugnazione che si svolgono con rito camerale (nella specie, in materia di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore), l’omessa notificazione del ricorso nel termine assegnato nel decreto di fissazione d’udienza determina l’improcedibilità dell’appello, in quanto, pur trattandosi di un termine ordinatorio ex art. 154 cod. proc. civ., si determina la decadenza dell’attività processuale cui è finalizzato, in mancanza d’istanza di proroga prima della scadenza” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17202 del 11/07/2013; 27086 del 2011).

D’altra parte anche in materia di rito lavoro, in cui l’appello si introduce con ricorso, era stato reiteratamente affermato, prima dell’intervento delle SSUU, che “Nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell’attività processuale cui l’atto è finalizzato (con conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l’improcedibilità), non essendo consentito al giudice di assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente… (Cass. Sez. L, Sentenza n. 20613 del 09/09/2013; Conformi Sezioni Unite: N. 20604 del 2008).

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Va pertanto conclusivamente affermato che la mancata messa in notifica del ricorso per reclamo cautelare e del pedissequo provvedimento presidenziale di fissazione dell’udienza produce l’improcedibilità del gravame, ove vi sia stata tempestiva comunicazione al reclamante del decreto medesimo da parte della Cancelleria, ovvero ove il vizio riguardi procedimento per il quale si applica il nuovo processo civile telematico.

2) La remissione in termini

Tanto premesso in punto di diritto deve valutarsi l’istanza di remissione in termini proposta all’udienza dalla difesa della reclamante

La richiesta è infondata.

La mancata messa in notifica del decreto e del ricorso è infatti senz’altro imputabile alla parte, che ha allegato la esistenza di mero disguido, circostanza che esclude l’accoglimento della richiesta giusto il disposto dell’art. 153 II co. c.p.c..

3) Le spese di lite

In coerenza con il principio della soccombenza, e tenuto conto dell’accoglimento della pretesa attorea, le spese di lite restano a carico della parte che le ha anticipate.

4) Il pagamento del contributo unificato sanzionatorio dell’impugnazione

L’Art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115/2002 , introdotto dall’art. 1 comma 17 della L. n. 228/2012 prevede che “Quando l’impugnazione, anche incidentale, e’ respinta integralmente o e’ dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta e’ tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice da’ atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso».

L’Art. 1 comma 18 recita poi che tale disposizione si applica “ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Poiché la legge è entrata in vigore il 1.1.2013, ne segue che la suddetta disposizione trova applicazione per i “procedimenti” iniziati dopo il 31.1.2013.

Poiché, pacificamente il reclamo è procedimento di impugnazione, trattandosi di causa di opposizione avviata dopo la suddetta data, è dovuto il pagamento di somma ulteriore a titolo di CU.

P.Q.M.

Visto l’art. 669 terdecies c.p.c.

Il Tribunale di Firenze in composizione collegiale, III Sez. Civ., definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa:

1) DICHIARA improcedibile il reclamo;

2) DICHIARA irripetibili le spese di lite;

3) Visto l’ Art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115/2002 , introdotto dall’art. 1 comma 17 della L. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento di ulteriore importo a titolo di C.U.

4) Manda alla Cancelleria per quanto di competenza.

Così deciso alla camera di consiglio del 4.3.2015 su relazione del giudice dott. A. Ghelardini.

SI COMUNICHI.

Firenze 4-6/3/2014

Il Giudice est.

Dr. Alessandro GHELARDINI

Il Presidente
Dott.ssa Maria Grazia DAMONTE

Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2015.