Habemus Papam: brevi note a margine di Cass. SS.UU. n. 8312/2019

di Daniela Muradore
Avvocato in Milano e Formatore pct

 

Nella recente sentenza n. 8312 del 2019, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione dirimono definitivamente la questione relativa all’applicabilità del secondo comma dell’art. 23 del Codice dell’Amministrazione Digitale a tutti i documenti informatici allegati al giudizio di legittimità, ivi compreso il provvedimento impugnato.

Vengono quindi superati i dubbi e le incertezze espressi in passato dalle sezioni della Corte, che pure avevano ritenuto non applicabile la norma del CAD, per essere il provvedimento impugnato, oggetto stesso del processo, e non fatto da accertare a mezzo di prova da allegare nel procedimento.

Si rimanda, naturalmente, alla lettura delle 44 pagine della sentenza, che riassume il lungo excursus interpretativo finalmente risolto dalle Sezioni Unite.

L’interpretazione convince. L’avvocatura sin dal 2017 ha con forza affermato l’applicabilità dell’art. 23 del CAD ai documenti informatici da produrre nei procedimenti non ancora “interessati” dal processo civile telematico.

L’eccessivo formalismo che ha caratterizzato le decisioni della Corte di Cassazione nel giudicare le fattispecie in materia di notificazione a mezzo Pec e processo telematico ha destato preoccupazione e critica nel mondo dell’avvocatura.

Non può non ripensarsi alla decisione sull’invalidità della firma Pades (ordinanza di rimessione 20672/2017), risolta dalle Sezioni Unite, ad esempio, o alle numerose pronunce di inammissibilità determinate dalla mancanza di attestazione di conformità di ricorsi notificati a mezzo Posta Elettronica Certificata e prodotti nel giudizio “analogico” di legittimità (la prima da noi commentata, ad esempio, la n. 17450/2017 della Terza sezione della Corte di Cassazione, depositata in data 20 luglio 2017).

Da tale esperienza dobbiamo trarre una necessaria lezione.

Innanzitutto, pare, a chi scrive, che l’Avvocatura tutta, coesa nel proporre soluzioni a tutela del diritto dei cittadini a ricevere giustizia, è sempre una voce autorevole e in grado di veicolare un giusto messaggio.

L’Ordine degli Avvocati di Milano, in persona del suo Presidente Avv. Danovi, ha saputo porre grande attenzione al tema dell’eccessivo formalismo in tema di notificazioni telematiche, con delibere, articoli e lettere ai giornali affinché la questione fosse discussa e ragionata in modo consapevole (si ricorda la delibera 12 ottobre 2017 del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano, trasmessa al Cnf e a tutti gli Ordini territoriali. La delibera osservava che la sentenza 17450/2017 «burocratizza oltremodo, anche alla luce delle disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale, i compiti del difensore che intenda impugnare le decisioni a lui notificate con Pec dalla controparte»; rilevava l’assenza «di esplicita previsione normativa», e già allora auspicava l’intervento delle Sezioni unite «per rivedere il principio enunciato nella sentenza).

Il Presidente del CNF, Avv. Mascherin, ha con forza chiesto che il formalismo delle decisioni della Corte fosse arginato in nome di un principio di giustizia e di tutela del cittadino. Nella nota del 24 novembre 2017, infatti, indirizzata al Primo presidente della Cassazione è stato manifestata «perplessità e preoccupazione» nei confronti di decisioni «ispirate ad un rigore formale che appare non giustificato dal quadro normativo di riferimento e non in sintonia con regole e scansioni del processo civile telematico, risolvendosi in irragionevoli restrizioni del diritto ad una decisione nel merito, non allineate con la giurisprudenza Cedu in tema di accesso alla giurisdizione».

Sicuramente, quindi, il dialogo e il dibattito tra Avvocatura e Magistratura ha prodotto un ottimo risultato.

In secondo luogo, appare dimostrato ancora una volta che la normativa del processo civile deve essere riformata tenendo in massima considerazione i meccanismi di funzionamento del sistema informatico che si utilizza per la notificazione e lo scambio processuale nel processo civile.

Diversamente, l’eccessiva interpretazione formalistica delle norme rischia di ripetersi ed originare dinieghi di giustizia.

Il processo di riforma, quindi, non può che prevedere un ruolo attivo per l’Avvocatura che da oltre dieci anni dimostra quotidianamente di applicare con grande competenza il mezzo telematico nel processo, sforzandosi di evolvere nel linguaggio, nella tecnica difensiva e nell’individuazione di soluzioni tecnologiche che costituiscano applicazione dei principi cardini del processo.

Si auspica, quindi, che il percorso interpretativo culminato nella sentenza delle sezioni unite costituisca lo slancio intellettuale per una riforma, condivisa, del processo civile (e non solo telematico).