Cass., sez. III, sent. 14 luglio 2017 n. 17450 (Pres. Vivaldi, rel. Fanticini)

 

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Impugnazioni – Notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve – Notifica via PEC – Ricorso per cassazione – Deposito della relata di notifica (art. 369, c. 2, n. 2 c.p.c.) – Modalità – Copia autentica analogica della relata di notifica – Necessità – Mancanza – Improcedibilità

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROBERTA VIVALDI – Presidente –

Dott. DANILO SESTINI – Consigliere –

Dott. ENRICO SCODITTI – Consigliere –

Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO – Consigliere –

Dott. GIOVANNI FANTICINI – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso NN-AAAA proposto da:

E. SPA , in persona del legale rappresentante sig. A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, ***, presso lo studio dell’avvocato C.G., rappresentata e difesa dall’avvocato P.F. giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, ***, presso lo studio dell’avvocato S.S., che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2782/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 11/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2017 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per l’inammissibilità in subordine rigetto;

udito l’Avvocato P.F.;

udito l’Avvocato L.P. per delega non scritta;

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 10 maggio 2006 il Tribunale di Treviso ingiungeva a D.A. S.r.l. e a C.D.C. di pagare a E. S.p.A. la somma di Euro 54.124,82, oltre a interessi legali e spese.

Avverso il predetto provvedimento monitorio proponevano tempestiva opposizione entrambi gli intimati: in particolare, il D.C. contestava di aver prestato fideiussione o altra garanzia per le obbligazioni assunte dalla D.A. col contratto del 2 gennaio 2004 e, conseguentemente, la propria solidale responsabilità con la società, di cui era il legale rappresentante; l’opposta E. insisteva nella pretesa creditoria.

A seguito del fallimento della D.A., il processo era interrotto soltanto nei confronti della società; il Tribunale trevigiano, invece, respingeva l’opposizione di C.D.C. e confermava il decreto ingiuntivo con la sentenza n. 242 dell’11 giugno 2008, fatta oggetto di impugnazione dall’opponente soccombente.

La Corte d’appello di Venezia riformava la decisione di primo grado, accogliendo l’opposizione e revocando il provvedimento monitorio n. 521 del 2006, ed espressamente dichiarava «insussistente l’obbligazione fideiussoria prestata da D.C.C. in favore di E.»; alla statuizione seguiva la condanna dell’appellata alla rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

La E. S.p.A. impugna la sentenza della Corte veneziana n. 2782 dell’11 dicembre 2014 proponendo ricorso per cassazione, notificato il 18-19/3/2015 e affidato a due motivi; C.D.C. resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione – sollevata dal Pubblico Ministero – di improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ. in ragione del mancato deposito della «copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta».

La ricorrente E. ha espressamente dedotto che la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2782 pubblicata l’11 dicembre 2014 le è stata «notificata il 04.02.2015» e nello stesso ricorso non è stata fatta alcuna specificazione circa un’ipotetica inidoneità di detta notifica a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325, comma 2, cod. proc. civ. Di conseguenza, si deve ritenere che la notificazione è idonea a tal fine (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 13518 del 30/5/2017).

Del resto, il D.C. conferma, nel controricorso, che «il 4 febbraio 2015 la sentenza veniva notificata ad E. S.p.A., nel domicilio eletto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 285 c.p.c.». Dall’esame del fascicolo d’ufficio e di quello della ricorrente risulta la presenza della copia autentica della sentenza impugnata (rilasciata dalla cancelleria della corte veneziana).

Quanto alla relata di notificazione, è stata prodotta soltanto la copia stampata, priva di qualsivoglia attestazione di conformità, di un messaggio di posta elettronica certificata datato «mercoledì 4 febbraio 2015 12:54» – apparentemente proveniente dall’indirizzo p.e.c. dell’Avv. L.P. (difensore dell’appellante D.C.), diretto alle caselle p.e.c. dell’Avv. P.F. e all’Avv. M.M. (procuratori dell’appellata E.) e avente ad oggetto «Notificazione ai sensi della Legge n. 53 del 1994» – dal cui testo risulta l’invio di allegati (tra i quali il file denominato «relazione di notifica 04.02.2015.pdf.p7m») che – si legge – «sono documenti firmati digitalmente dal mittente, riconoscibili in quanto presentano il suffisso .p7m».

Nemmeno la parte resistente ha prodotto copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notifica, come si evince dagli analoghi controlli effettuati nel suo fascicolo.

2. L’art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ. prescrive che col ricorso debbano essere depositate, a pena di improcedibilità, la copia autentica della sentenza impugnata e la relazione di notificazione, qualora questa abbia avuto luogo.

La ratio della norma va identificata nell’esigenza di consentire alla Corte di verificare la tempestività dell’impugnazione; ne dà conferma la giurisprudenza di legittimità (risalente e anche recente e, comunque, uniforme): «La previsione – di cui al secondo comma, n. 2, dell’art. 369 cod. proc. civ. – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità … della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di Cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve» (tra le altre: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19654 del 01/10/2004, Rv. 577461-01; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15232 del 09/06/2008, Rv. 603861-01; Cass., Sez. U., Ordinanza n. 9005 del 16/04/2009, Rv. 607363-01).

Qualora lo stesso ricorrente deduca che la sentenza impugnata è stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, il giudice di legittimità – indipendentemente dal riscontro della tempestività o della tardività del rispetto del termine breve (questione afferente all’ammissibilità del ricorso, che assume rilievo solo in esito alla positiva verifica della sua procedibilità; ex multis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20883 del 15/10/2015, Rv. 637451-01) – deve controllare che la parte abbia ottemperato all’onere del deposito della copia notificata del provvedimento, dovendosi invece presumere, in mancanza di specifiche asserzioni, che il ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il cosiddetto termine lungo e, quindi, procedere all’accertamento della sua osservanza (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19654 del 01/10/2004, Rv. 577462-01).

La necessità di comminare in ogni caso la rigorosa sanzione della improcedibilità nell’ipotesi di omesso tempestivo deposito, da parte del ricorrente, della relazione di notifica della statuizione impugnata era stata confermata anche dalle Sezioni Unite di questa Corte: «Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto del secondo comma dell’art. 372 cod. proc. civ., applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 cod. proc. civ., e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione.» (Cass., Sez. U., Ordinanza n. 9005 del 16/04/2009, Rv. 607363-01).

Più recentemente le Sezioni Unite della Corte hanno parzialmente rivisto il proprio orientamento affermando che «deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio» (Cass., Sez. U., Sentenza n. 10648 del 02/05/2017, Rv. 643945-01).

Quest’ultima decisione conferma parzialmente il pregresso orientamento: difatti, premettendo esplicitamente che «un’interpretazione sostanzialmente abrogante è possibile […] solo con un intervento normativo», si è stabilito che l’onere di deposito a pena di improcedibilità è «in funzione dell’ordinato svolgimento del giudizio di cassazione», che il legislatore vuole che la prova delle condizioni di ammissibilità del ricorso «sia sin dall’inizio fornita dal ricorrente, in maniera da porre subìto la Corte nella possibilità di delibare, anche mediante l’apposito procedimento camerale predisposto, l’ammissibilità del ricorso» e che l’adempimento richiesto dall’art. 369 cod. proc. civ. costituisce una «attività elementare, che risale ad esigenza obbiettiva della gestione del processo di cassazione, che non pone soverchi oneri alle parti».

Il parziale mutamento giurisprudenziale – fondato sui principi del giusto processo (art. 11 Cost.), sull’art. 6 § 1 della CEDU. («diritto di accesso a un tribunale») e sull’art. 47 della Carta di Nizza (che impone la ricerca di «un punto di equilibrio, che, con riguardo ai limiti alle impugnazioni, consenta di bilanciare la esigenza funzionale di porre regole di accesso alle impugnazioni con quella a un equo processo, da celebrare in tempi ragionevoli») – fornisce una interpretazione meno rigorosa rispetto all’orientamento precedente, ammettendo che la condizione di procedibilità del ricorso per cassazione, comunque costituita dalla produzione della relata di notifica della sentenza impugnata, sia soddisfatta anche quando il documento risulti tempestivamente depositato dal controricorrente o sia ritualmente presente nel fascicolo d’ufficio trasmesso dal giudice a quo.

In altri termini – pur confermando l’esigenza del giudice di legittimità di avere a disposizione la relata di notificazione quando il ricorrente alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata – la Corte ha reputato che non sia possibile applicare la sanzione dell’improcedibilità quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice per opera della controparte o la documentazione sia stata acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio, poiché l’adempimento omesso da una parte ed espletato dall’altra (o comunque consentito dalla trasmissione del documento da parte del giudice di appello), nell’ambito della medesima fase iniziale dell’impugnazione, non impedisce di attivare la sequenza procedimentale, né di ritardarla in maniera apprezzabile.

Anche in base al più recente orientamento, dunque, la mancata produzione della relata di notificazione costituisce motivo di improcedibilità, a meno che risulti dal ricorso «che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiché il collegamento tra la data di pubblicazione (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325, secondo comma, cod. proc. civ.» (Cass., Sez. 6-3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013, Rv. 628539-01; analogamente, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 18645 del 22/09/2015, Rv. 636810- 01)

L’omissione, nel caso all’esame di questo Collegio, ha invece rilievo: la sentenza è stata pubblicata l’11 dicembre 2014 e il ricorso è stato inviato alla notificazione il 18 marzo 2015.

Al contrario, non rileva la conferma, proveniente dal controricorrente, dell’avvenuta notificazione del provvedimento impugnato in data 4 febbraio 2015.

Il controllo della tempestività dell’impugnazione, di cui la disposizione è espressione, corrisponde a una esigenza pubblicistica e, pertanto, esso è sottratto alla disponibilità delle parti (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19654 del 01/10/2004, Rv. 577461-01; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15232 del 09/06/2008, Rv. 603861-01; Cass., Sez. U., Ordinanza n. 9005 del 16/04/2009, Rv. 607363-01: «… dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente»; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 25070 del 10/12/2010, Rv. 615089- 01), le quali non possono – né per esplicita ammissione, né per effetto di mancata contestazione – sopperire con le loro difese alla produzione documentale della relata di notificazione (nei casi in cui la stessa è resa necessaria dalle allegazioni del ricorrente).

3. Il difensore dell’odierna ricorrente ha depositato, unitamente al ricorso, la semplice copia di un messaggio di posta elettronica certificata pervenuto nella sua casella p.e.c., documento che non corrisponde né equivale alla copia autentica della relazione di notificazione.

Quando la notificazione della sentenza impugnata è avvenuta con modalità telematica l’onere di deposito della relata prescritto dall’art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ. deve essere soddisfatto considerando sia le peculiarità dello strumento impiegato dal mittente (e, quindi, la specifica disciplina dettata per le notificazioni telematiche), sia l’esigenza, propria del giudizio di cassazione, di “convertire” in formato analogico gli atti digitali da depositare (in proposito, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7443 del 23/3/2017: «Nel giudizio di cassazione non operano, tuttora, le disposizioni sul deposito telematico degli atti processuali di cui ai commi da 1 a 4 dell’art. 16-bis del d.l. n. 179 del 2012 e, dunque, rimangono intatte le previsioni di cui agli artt. 365 e 370 c.p.c., che impongono la sottoscrizione autografa (e non digitale) del ricorso e del controricorso (anche con annesso ricorso incidentale) e il suo deposito in originale cartaceo presso la cancelleria della Corte»).

La specificità della notificazione con modalità telematica ha i seguenti paradigmi normativi:

– l’art. 3-bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53 consente agli avvocati di effettuare la notificazione di atti e documenti con modalità telematica e, cioè, impiegando il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;

– a norma del comma 5 della predetta disposizione, l’avvocato mittente” è tenuto a redigere «la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata»;

– nella notificazione telematica il mittente ottiene la «ricevuta di accettazione» (prevista dall’art. 6, comma 1, d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68), fornita dal gestore di posta elettronica certificata utilizzato dallo stesso mittente e contenente i dati di certificazione che costituiscono prova dell’avvenuta spedizione del messaggio, e, in seguito, la «ricevuta di avvenuta consegna» (prevista dall’articolo 6, commi 2 e seguenti, del menzionato testo normativo), che è emessa dal gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario e costituisce prova che il messaggio è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario (indipendentemente dalla lettura che questo ne abbia fatto);

– «la notifica effettuata con modalità telematica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione … e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna» (Cass., Sez. L., Sentenza n. 20072 del 07/10/2015).

Pertanto, all’indirizzo p.e.c. dell’“avvocato mittente” pervengono sia la ricevuta di accettazione sia la ricevuta di avvenuta consegna, documenti in formato digitale che costituiscono prova del perfezionamento della notificazione.

All’indirizzo p.e.c. dell’avvocato destinatario”, invece, perviene il messaggio di posta elettronica certificata inviato dal mittente coi relativi allegati digitali, ma non giungono ricevute rilasciate dai gestori di posta elettronica certificata.

L’esigenza del destinatario di dimostrare la tempestività del proprio ricorso mediante il deposito (prescritto dall’art. 369 cod. proc. civ.) della relata di notificazione non può avvenire, dunque, con la produzione di documenti (necessariamente cartacei nel giudizio di cassazione) emessi dai gestori di posta elettronica certificata: i documenti da depositare sono, infatti, il messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e la «relazione di notificazione [redatta] su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata» dell’“avvocato mittente” ai sensi del citato art. 3-bis, comma 5, della legge 21 gennaio 1994, n. 53.

Nei gradi di merito – nei quali il processo civile telematico è stato da tempo avviato in virtù delle disposizioni dell’art. 16-bis, commi 4, 5, 6 e 9-ter del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modificazioni e integrazioni il deposito della documentazione delle parti può (anzi, deve) essere eseguito con modalità telematiche e, dunque, il destinatario può produrre nel suo formato digitale anche la relazione di notificazione pervenutagli.

Nel giudizio di cassazione, invece, il deposito ex art. 369 cod. proc. civ. non può che avere ad oggetto documenti in formato analogico (cartaceo), poiché l’applicabilità della disciplina del processo telematico nel grado di legittimità è limitata alle sole comunicazioni e notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili (d.m. Giustizia 19 gennaio 2016, emesso ai sensi dell’articolo 16, comma 10, del d.l. n. 179 del 2012).

Si verte, dunque, nell’ipotesi disciplinata dall’art. 9, comma 1-ter, della legge 21 gennaio 1994, n. 53 («In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis»), norma che, nel rimandare al comma 1-bis, dispone che l’avvocato provveda ad estrarre copia su supporto analogico (id est, cartaceo) del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e, poi, ad attestarne la conformità ai documenti informatici da cui le copie sono tratte ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (il quale recita: «Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato»).

La diversa documentazione a disposizione del mittente e del destinatario impone, logicamente, di distinguere (solo parzialmente) le due situazioni:

– il mittente deve formare copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata inviato, degli allegati, e delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna;

– il destinatario, invece, deve estrarre copie analogiche del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e dei suoi allegati, tra i quali è inclusa la relazione di notificazione ex art. 3-bis, comma 5, della legge n. 53 del 1994;

– in ogni caso, il procuratore (mittente o destinatario) è tenuto ad attestare la conformità all’originale digitale dei documenti prodotti in formato analogico (con riferimento al deposito, da parte del mittente, del ricorso notificato telematicamente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 26102 del 19/12/2016: «Quando non sia fatto con modalità telematiche il deposito del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., dell’avvenuta sua notificazione per via telematica va data prova mediante il deposito -in formato cartaceo, con attestazione di conformità ai documenti informatici da cui sono tratti – del messaggio di trasmissione a mezzo PEC, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna previste dall’art. 6, comma 2, del d.P.R. 11 febbraio 2005 n. 68»);

– infine, non essendo operative in questo grado le disposizioni sul deposito telematico degli atti processuali, la sottoscrizione in calce all’attestazione cartacea depositata presso la cancelleria della Corte deve essere necessariamente autografa (manuale) e non digitale (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7443 del 23/3/2017).

In conclusione, il principio di diritto è il seguente:

«In tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematica ai sensi dell’art. 3-bis della legge n. 53 del 1994, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione ex art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ., il difensore del ricorrente, destinatario della notificazione, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art. 3-bis, comma 5, della legge n. 53 del 1994, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare queste ultime presso la cancelleria della Corte entro il termine stabilito dalla disposizione codicistica».

Il difensore di E. ha provveduto soltanto al deposito del messaggio di posta elettronica certificata inviatogli dalla controparte, in copia cartacea priva della indispensabile attestazione di conformità all’originale, e ha omesso di produrre la necessaria copia conforme della relazione di notificazione pervenutagli dal mittente.

Di qui l’improcedibilità del ricorso.

4. Alla statuizione di improcedibilità fa seguito la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i parametri del d.m. Giustizia del 10 marzo 2014, n. 55.

5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto, infine, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio, liquidate in Euro 4.000,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 26 maggio 2017.

Il Consigliere estensore

(Giovanni Fanticini)

Il Presidente

(Roberta Vivaldi)