Dicembre 2015

Trib. Firenze, ord. 19 marzo 2015 (Pres. Damonte, est. Ghelardini)

 

TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE

III Sezione civile

Ordinanza 4-19 marzo 2015

Proc. n. nn/aaaa R.G.

Il Tribunale riunito in data odierna in Camera di Consiglio nella persona dei Magistrati

dr.ssa Maria Grazia DAMONTE – presidente

dr.ssa Silvia GOVERNATORI – giudice

dr. A. GHELARDINI – giudice rel. ed est.

letti gli atti di causa

sul reclamo proposto ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. dalla XXX SRL, depositato in Cancelleria il 14.1.15, avverso l’ordinanza del GE […], comunicata il 30.12.2014, con cui è stata disposta la sospensione dell’esecuzione nel proc. N. nn/aaaa + nn/aaaa RGE pendente a carico della stessa *** e di *** SAS di ***;

sentiti i difensori all’udienza 4.3.2015;

a scioglimento della riserva,

OSSERVA

L’avv. *** promuoveva esecuzione forzata immobiliare a carico della *** in forza di titolo costituito dalla ordinanza di questo Tribunale 16.6.2012, precettando l’importo complessivo di € 3.472,78. Lo stesso successivamente interveniva in forza di altri titoli nella procedura esecutiva immobiliare promossa dalla sig.ra *** nei confronti della *** (terzo acquirente dell’immobile) anche per crediti vantati nei confronti della ***.

Disposta la riunione delle due procedure, attesa la identità del bene oggetto di pignoramento, *** proponeva opposizione all’esecuzione di fronte al G.E., contestando l’esistenza del diritto dell’avv. *** a procedere ad esecuzione forzata per talune delle voci precettate, tra cui l’I.V.A. relativa alla notula emessa relativamente ai propri compensi professionali, ed il diritto a partecipare alla distribuzione del ricavato per le somme dovute dalla ***.

A sostegno dell’opposizione *** evidenziava che, riguardando il titolo esecutivo la condanna della *** al rimborso delle spese di lite dell’avv. ***, spese maturate in giudizio in cui *** era uscita vincitore, non era dovuta l’IVA, essendosi l’avvocato difeso in proprio. Quanto al resto, eccepiva che l’avv. *** non aveva diritto a partecipare alla distribuzione del ricavato, perché munito di titoli contro la *** esecutivi, ma non passati in giudicato e non opponibili alla ***, quale terzo acquirente del bene ipotecato.

Con l’ordinanza oggi reclamata il G.E. ha parzialmente accolto l’opposizione, concedendo la sospensione parziale dell’esecuzione, respingendo peraltro le doglianze della *** circa la debenza dell’I.V.A. e l’opponibilità alla stessa dei titoli esecutivi contro la ***.

Ha proposto tempestivo reclamo ***, deducendo: 1) errore di diritto del giudice di prime cure circa la debenza del credito IVA. Trattandosi di prestazione difensiva in proprio la relativa operazione non sarebbe imponibile sulla base della normativa tributaria; inoltre nega la natura di costo di tale esborso, essendo l’avv. *** soggetto IVA con relativa facoltà di detrazione dell’IVA. 2) quanto all’inopponibilità dei titoli contro *** nei confronti di *** terza acquirente, invoca Cass. SSUU 9440/2010.

Con decreto del presidente del Collegio del 27.1.2014 è stata fissata l’odierna udienza per la discussione, assegnando “termine perentorio per la notifica del ricorso e del presente decreto sino al 15.2.2015”.

All’odierna udienza il difensore della reclamante ha chiesto di essere rimessa in termini per la notifica del ricorso e del provvedimento di fissazione, “omessa per un disguido”, invocando il principio di diritto di cui a Cass. SSUU n. 5700/14.

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1) Le conseguenze della omessa notifica del reclamo e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione

Trattasi di questione di rito da valutarsi in via prioritaria, in quanto idonea a definire il giudizio.

Ritiene il Tribunale, pur nella consapevolezza di autorevoli e recenti precedenti di legittimità di segno contrario, che l’omissione in questione comporti la improcedibilità del reclamo, rilevabile di ufficio.

Sul punto occorre prendere le mosse dalla decisione della Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, n. 5700/14, la quale, affrontando la tematica delle conseguenze processuali della omessa notifica da parte del ricorrente del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza nel procedimento camerale per la liquidazione dell’equo indennizzo per la irragionevole durata del processo (L. n. 89/2001), ha affermato il principio, così componendo il contrasto formatosi nella precedente giurisprudenza ed in difformità rispetto a quanto statuito dalle SSUU con la sentenza 20604/08, secondo cui “In materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza alla controparte non è perentorio, non essendo previsto espressamente dalla legge. Ne consegue che il giudice, nell’ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, può, in difetto di spontanea costituzione del resistente, concedere al ricorrente un nuovo termine, avente carattere perentorio, entro il quale rinnovare la notifica”. (Sentenza n. 5700 del 12/03/2014).

Il Giudice di legittimità è addivenuto a tale conclusione, evidenziando in motivazione la circostanza che la normativa speciale (L. n. 89/01) “non contiene una previsione legale tipica che sanzioni con il divieto di accesso alla giurisdizione la omessa notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell’udienza”. Ha quindi rilevato, in sintesi, che il termine giudiziale fissato per la notifica non è qualificato come perentorio, con conseguente impossibilità di ravvisare una qualsiasi decadenza in caso di inosservanza; che l’interesse alla celerità del procedimento non verrebbe significativamente compresso dall’eventuale concessione di un termine contenuto nello stretto necessario a garantire l’effettività del diritto di difesa; che, come rilevato dalla pregressa giurisprudenza, a differenza di quelli di impugnazione o di opposizione a decreto ingiuntivo, da introdursi con ricorso, “il procedimento di cui si tratta non presuppone dall’altro lato la legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un confine temporale rigorosamente predefinito, e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso”, evidenziando altresì la differente struttura del procedimento camerale per la liquidazione dell’indennizzo di cui alla Legge Pinto con tali citati procedimenti, in quanto aventi “struttura impugnatoria ed a struttura bifasica, caratterizzati da una fase iniziale, incentrata sul deposito del ricorso, produttiva di effetti prodromici e preliminari, suscettibili però di stabilizzarsi solo in presenza di una valida vocatio in ius”.

Le SSUU hanno quindi richiamato la diversa disciplina prevista dall’art. 435 c.p.c., in materia di appello di rito lavoro, evidenziando che in tal caso la sanzione dell’improcedibilità per la omessa notifica dell’appello e del decreto di fissazione dell’udienza trova la sua giustificazione razionale nell’obbligo per la Cancelleria, previsto in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 15/77, di dare comunicazione all’appellante del decreto di fissazione dell’udienza.

E’ stato argomentato, quindi, dopo aver richiamato il principio del giusto processo sancito dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali recepito con la legge costituzionale n. 2 /99, il quale impone non solo la ragionevole durata del processo, ma anche il diritto ad un giudizio di merito, che “In definitiva, non si dubita che il legislatore possa condizionare l’esercizio di atti di difesa giudiziale al rispetto di termini, anche a pena di improcedibilità o di inammissibilità: ma, in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, non è lecito presumere che una tale conseguenza sia prevista implicitamente in situazioni nelle quali non risulti, al contempo, garantito alla parte onerata dal rispetto del termine la tempestiva conoscenza del momento dal quale esso prende a decorrere. Nei procedimenti camerali, come quello di cui si tratta, non è previsto un onere di comunicazione al difensore del ricorrente, a cura della cancelleria, della data di fissazione della udienza: il giudice è tenuto solo al deposito del decreto, ma non anche a disporre la relativa comunicazione, incombendo sul ricorrente l’obbligo di attivarsi per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso…”.

Le SSUU hanno quindi ritenuto applicabile in via analogica alla fattispecie scrutinata il meccanismo di sanatoria di cui all’art. 291 c.p.c., il quale prevede che in caso di nullità della notifica se il convenuto resta contumace, il giudice ”fissa all’attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”

A seguito di tale pronuncia, la S.C. ha poi emesso due altre decisioni, a sezioni semplici, con le quali, richiamando espressamente il principio di diritto di cui alla suddetta pronuncia delle SSUU, è stato affermata la sanabilità dell’omessa notifica anche al procedimento per reclamo avanti alla Corte di Appello dell’ordinanza di modifica delle condizioni di divorzio (Cass. Sez. VI ord. 21669/14) ed a quello di appello, da introdursi secondo rito camerale, avverso la sentenza del Tribunale di divorzio ex L. n. 74/1987 art. 8 (Cass. Sez. ord. I n. 21111/14), evidenziando che, pur trattandosi di procedimenti impugnatori, anche in tali casi la Cancelleria non aveva alcun onere di comunicare all’appellante il provvedimento di fissazione dell’udienza e di concessione del termine per la notifica.

In buona sostanza, la S.C. con tali decisioni ha espressamente affermato l’applicabilità della sanatoria di cui all’art. 291 c.p.c. in caso di omessa notifica del ricorso per reclamo alla parte appellata anche ai suddetti procedimenti, malgrado la loro natura impugnatoria, valorizzando, e rendendo decisivo, l’argomento già valorizzato dalle SSUU con riferimento agli appelli di rito lavoro, inerente la mancanza dell’obbligo per l’ufficio di comunicazione del decreto.

In particolare con la ordinanza 21669/14 è richiamata, al fine di accreditare la tesi sostenuta, anche la pronuncia della Corte Costituzionale n. 60/2010 la quale “ha affermato in ordine ai procedimenti di appello assoggettati al rito lavoro…, la non perentorietà del termine per la notifica del ricorso e del decreto e la concessione di un nuovo termine anche dopo la scadenza del primo”.

Tanto premesso sotto il profilo ricognitivo dello stato attuale della giurisprudenza di legittimità sul tema in questione, ritiene il Collegio, pur consapevole della autorevolezza delle decisioni delle sezioni semplici, che tale effettuata estensione ai giudizi di natura impugnatoria introdotti con ricorso del principio di diritto di cui alla sentenza SSUU 5700 non sia pienamente condivisibile.

Sul punto, va in primo luogo evidenziata la scarsa pertinenza della decisione di cui a Corte Cost. 60/2010.

Trattasi infatti di ordinanza di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 435, II c.p.c. (appello lavoro) con la quale il giudice delle leggi, verificato che malgrado il mancato rispetto da parte del ricorrente appellante del termine di 10 gg dalla comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 435, II co. C.p.c., era stato rispettato il termine a difesa di cui al III co. della stessa disposizione (25 gg prima dell’udienza), ha sostanzialmente escluso la concreta violazione del diritto di difesa della parte appellata e la irragionevolezza della suddetta disposizione.

Si trattava in sostanza di notifica del ricorso tardiva, rispetto al termine di cui al comma II, ma comunque tempestiva sotto il profilo del termine a difesa di cui al III co.

La fattispecie concreta esaminata ed il percorso argomentativo del Giudice delle Leggi erano pertanto del tutto diversi da quelli oggi in questione.

D’altra parte nei procedimenti aventi struttura impugnatoria il principio di ragionevole durata del processo impone di sanzionare le eventuali omissioni o tardività imputabili a colpa della parte impugnante.

Ogni diversa soluzione in proposito comporta infatti il sacrificio e/o la compressione dell’interesse della parte impugnata a veder consolidati gli effetti della decisione di primo grado.

La circostanza è infatti stata evidenziata anche dalle SSUU, in sede di ricognizione dello stato della giurisprudenza pregressa, che hanno sottolineato la differenza strutturale tra il procedimento camerale di cui alla Legge Pinto ed i giudizi di impugnazione e di opposizione a decreto ingiuntivo introdotti con ricorso.

Né d’altra parte sul punto possono dirsi compromessi i principi di cui al giusto processo e, segnatamente, quello di diritto di accesso alla giustizia ed ad una decisione di merito.

Invero, il procedimento impugnatorio presuppone l’esistenza di un giudizio di primo grado. L’accesso alla giustizia ed alla decisione di merito sono quindi già stati soddisfatti in quella sede.

D’altra parte è pacifico che il principio della necessità del doppio grado di giudizio non è costituzionalizzato, salvo che, quanto alle sentenze, per il ricorso in Cassazione per violazione di legge. Né il doppio grado di giurisdizione é previsto dalla CEDU.

Da escludere poi che sulla base dell’ordinamento nazionale o sovranazionale vi sia il diritto dell’impugnante ad ottenere comunque una pronuncia di merito.

Ciò detto, e ribadito che le SSUU con la citata sentenza n. 5.700, non sembra che abbiano inteso affermare in ogni caso la sanabilità del vizio da omessa notifica del ricorso, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., bensì esclusivamente nei procedimenti diversi da quelli aventi natura impugnatoria, non appare condivisibile far dipendere o meno il ricorrere della improcedibilità per omessa notifica dalla esistenza di una previsione legale che imponga la obbligatorietà della comunicazione al ricorrente del provvedimento di fissazione dell’udienza e del termine per la notifica, così come invece espressamente affermato nelle ordinanze n. 21.669 e 21111 del 2014.

Ritiene infatti il Tribunale che il suddetto principio di diritto, malgrado l’autorevolezza della fonte, possa e debba essere oggetto di rivalutazione, sia laddove risulti che comunque, al di là dell’esistenza di un obbligo legale, la Cancelleria abbia in concreto comunicato al reclamante il decreto contenente il termine per la notifica, sia in forza di considerazioni inerenti la entrata in vigore delle disciplina in materia di processo civile telematico (D.L. n. 179 conv. con modific. nella L. n. 221/2012 e D.L. 90/14 conv. con modif. nella L. 114/14) e le diverse ed assai più agevoli modalità con cui la parte impugnante può prendere conoscenza del provvedimento di fissazione dell’udienza.

In proposito si osserva quanto segue.

Il reclamo cautelare di cui all’art. 669 terdecies c.p.c. è, pacificamente, rimedio di natura impugnatoria.

Nella fattispecie è documentale, e comunque non è contestato, che il provvedimento di fissazione dell’udienza collegiale è stato comunicato alla reclamante, in osservanza di quanto peraltro previsto nello stesso provvedimento, che espressamente qualificava in termine concesso per la notifica come “perentorio”.

Ciò si evince dalle stesse risultanze del registro informatico, essendo stata effettuata notifica a mezzo Posta Elettronica Certificata in coerenza con le disposizioni normative in materia di processo civile telematico (l’avvenuta comunicazione non è mai stata contestata dalla ricorrente).

Non si può poi non rilevare che con l’entrata in esercizio della piattaforma informatica e delle tecnologie telematiche, anche a prescindere da tale comunicazione, le parti hanno la possibilità di prendere visione del contenuto del fascicolo processuale, e quindi di tutti gli “eventi” posti in essere, direttamente per via telematica senza alcun particolare dispendio di energie e tempi.

L’onere di prendere visione del decreto di fissazione dell’udienza, che in passato, in difetto di comunicazione di Cancelleria, richiedeva l’esercizio di attività dispendiosa (periodici e cronologicamente ravvicinati accessi in Cancelleria, in orario di ufficio, al fine di non incorrere in decadenze e/o ritardi) comporta, oggi, il compimento di attività assolutamente poco significativa. E’ sufficiente che il difensore acceda al portale informatico mediante connessione INTERNET, da studio o da postazione mobile, per entrare nello “storico” del fascicolo processuale e prendere visione, praticamente in tempo “reale”, di tutti gli atti di parte o dell’ufficio depositati.

Ad avviso del Tribunale tali considerazioni, derivanti anche dalla applicazione delle nuove tecnologie ed oggi obbligatorie per legge, impongono una rivisitazione del principio espresso dalla S.C., così come precisato e “sviluppato” dalle sezioni semplici, che cioè fa discendere la sanzione della improcedibilità solo laddove sia prevista la obbligatorietà della comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza.

D’altra parte, la necessità di adottare una opzione interpretativa “rigorosa” in ordine alle conseguenze derivanti da omissioni imputabili alla parte – nella fattispecie il difensore ha dichiarato che la messa in notifica dell’atto non è avvenuta “per un disguido” senza allegare alcuna circostanza di non imputabilità del fatto – è coerente con la stessa disciplina e la particolare struttura di tale procedimento e si impone alla luce dell’evidente sopravvalutazione, che diversamente argomentando, si avrebbe degli oneri posti a carico della parte reclamante.

Si aggiunga che, trattandosi di mezzo di gravame relativo a provvedimento avente natura cautelare, ed avente quindi carattere di urgenza, la inerzia della parte nella attivazione del contraddittorio è chiaramente lesiva dell’interesse della controparte alla sollecita definizione del processo.

Sul punto è rilevante evidenziare che l’avvio e la definizione del procedimento per reclamo sono “contingentati” nei tempi dall’art. 669 terdecies c.p.c..

Non solo tale disposizione prevede un termine perentorio breve per l’impugnazione (15 gg dalla comunicazione dell’ordinanza reclamata), ma anche che “il Collegio, convocate le parti, pronuncia, non oltre 20 gg dal deposito del ricorso…”(comma 5), così chiaramente evidenziandosi la volontà del Legislatore, sia pure mediante la previsione di un termine ordinatorio, di assicurare una sollecita definizione del giudizio sul gravame.

E’ evidente che consentire alla parte reclamante di ritardare a sua discrezione, dopo il deposito del ricorso, l’avvio del contraddittorio e la trattazione del reclamo, consentendo la sanatoria della omessa notifica al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 153, II co. C.p.c. (remissione in termini), e cioè anche quando ciò dipenda da “mero disguido” comporta, ad avviso del Collegio, una irragionevole sacrificio dei diritti della controparte.

D’altra parte il sistema di sanatoria della nullità mediante rinnovazione della notifica di cui all’art. 291 c.p.c. presuppone l’effettuazione di una notificazione nulla e inesistente, circostanza che ben spiega perché in passato si sia dubitato dell’applicazione di tale disposizione ai casi di omessa notifica (es. Cass. Sez. L. 6358/2010).

Non decisivo in proposito è poi la circostanza che il procedimento per reclamo segua il rito dei procedimenti camerali, giusto il richiamo degli artt. 737 e 738 di cui all’art. 669 terdecies, terzo comma, c.p.c.

Come è stato affermato “Nei procedimenti di impugnazione che si svolgono con rito camerale (nella specie, in materia di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore), l’omessa notificazione del ricorso nel termine assegnato nel decreto di fissazione d’udienza determina l’improcedibilità dell’appello, in quanto, pur trattandosi di un termine ordinatorio ex art. 154 cod. proc. civ., si determina la decadenza dell’attività processuale cui è finalizzato, in mancanza d’istanza di proroga prima della scadenza” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17202 del 11/07/2013; 27086 del 2011).

D’altra parte anche in materia di rito lavoro, in cui l’appello si introduce con ricorso, era stato reiteratamente affermato, prima dell’intervento delle SSUU, che “Nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell’attività processuale cui l’atto è finalizzato (con conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l’improcedibilità), non essendo consentito al giudice di assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente… (Cass. Sez. L, Sentenza n. 20613 del 09/09/2013; Conformi Sezioni Unite: N. 20604 del 2008).

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Va pertanto conclusivamente affermato che la mancata messa in notifica del ricorso per reclamo cautelare e del pedissequo provvedimento presidenziale di fissazione dell’udienza produce l’improcedibilità del gravame, ove vi sia stata tempestiva comunicazione al reclamante del decreto medesimo da parte della Cancelleria, ovvero ove il vizio riguardi procedimento per il quale si applica il nuovo processo civile telematico.

2) La remissione in termini

Tanto premesso in punto di diritto deve valutarsi l’istanza di remissione in termini proposta all’udienza dalla difesa della reclamante

La richiesta è infondata.

La mancata messa in notifica del decreto e del ricorso è infatti senz’altro imputabile alla parte, che ha allegato la esistenza di mero disguido, circostanza che esclude l’accoglimento della richiesta giusto il disposto dell’art. 153 II co. c.p.c..

3) Le spese di lite

In coerenza con il principio della soccombenza, e tenuto conto dell’accoglimento della pretesa attorea, le spese di lite restano a carico della parte che le ha anticipate.

4) Il pagamento del contributo unificato sanzionatorio dell’impugnazione

L’Art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115/2002 , introdotto dall’art. 1 comma 17 della L. n. 228/2012 prevede che “Quando l’impugnazione, anche incidentale, e’ respinta integralmente o e’ dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta e’ tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice da’ atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso».

L’Art. 1 comma 18 recita poi che tale disposizione si applica “ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Poiché la legge è entrata in vigore il 1.1.2013, ne segue che la suddetta disposizione trova applicazione per i “procedimenti” iniziati dopo il 31.1.2013.

Poiché, pacificamente il reclamo è procedimento di impugnazione, trattandosi di causa di opposizione avviata dopo la suddetta data, è dovuto il pagamento di somma ulteriore a titolo di CU.

P.Q.M.

Visto l’art. 669 terdecies c.p.c.

Il Tribunale di Firenze in composizione collegiale, III Sez. Civ., definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa:

1) DICHIARA improcedibile il reclamo;

2) DICHIARA irripetibili le spese di lite;

3) Visto l’ Art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115/2002 , introdotto dall’art. 1 comma 17 della L. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento di ulteriore importo a titolo di C.U.

4) Manda alla Cancelleria per quanto di competenza.

Così deciso alla camera di consiglio del 4.3.2015 su relazione del giudice dott. A. Ghelardini.

SI COMUNICHI.

Firenze 4-6/3/2014

Il Giudice est.

Dr. Alessandro GHELARDINI

Il Presidente
Dott.ssa Maria Grazia DAMONTE

Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2015.

 

Trib. Firenze, ord. 19 marzo 2015 (Pres. Damonte, est. Ghelardini) Leggi tutto »

Trib. Roma, ord. 12 gennaio 2015 (est. Curatola)

 

R.G. n.nn/aaaa

 

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

OTTAVA SEZIONE CIVILE

IL GIUDICE

 

nella causa civile iscritta al n. nn del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno aaaa

 

TRA

***, rappresentata dalla società capogruppo ***, in persona del legale rappresentante pro tempore

Elett.te dom.ta in Roma, *** presso lo studio dell’avv.to ***, che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avv.to ***

– ATTRICE –

E

*** in persona del legale rappresentante pro tempore

 elett. te dom.ta in Roma, *** presso lo studio dell’avv. to ***, rappresentata e difesa dall’avv.to ***

– CONVENUTA –

 

Esaminati gli atti e sciogliendo la riserva, si osserva quanto segue.

 

1 – Dagli atti di causa risulta che:

 

a)       con atto di citazione notificato il 18 marzo 2013 *** ha convenuto in giudizio la *** chiedendone la condanna al pagamento degli importi dovuti a seguito del l’avvenuta esecuzione dei lavori appaltati con contratto sottoscritto il 20.10.2008;

b)      all’udienza del 24 aprile 2014 è stata dichiarata la contumacia della parte convenuta;

c)       con ordinanza provvisoriamente esecutiva emessa il 19 maggio 2014 ai sensi dell’art.186 ter c.p.c. è stato ingiunto alla *** il pagamento in favore della *** della somma di € 639.994,86=, oltre interessi ex D.Lgs. n.231/02 e spese di procedura;

d)      con lo stesso provvedimento la convenuta contumace è stata avvertita che l’ordinanza sarebbe divenuta esecutiva, ex art.647 c.p.c., in caso di mancata costituzione in giudizio entro il termine di giorni venti dalla notifica;

e)       l’ordinanza è stata notificata alla *** in data 17 giugno 2014;

f)        la società convenuta si è costituita in giudizio in via telematica in data 7 luglio 2014 e, successivamente, con deposito cartaceo in cancelleria, il 30 luglio 2014;

g)       con istanza depositata il 30 luglio 2014 la *** ha chiesto di essere rimessa nei termini “per il deposito della comparsa di costituzione e risposta, in uno con la concessione di un congruo termine per la comunicazione alla controparte”;

h)      con istanza depositata il 12 settembre 2014, la parte attrice ha chiesto che venga dichiarata “la provvisoria esecuzione dell’ordinanza emessa in data 22.5.2014, con ogni conseguenza di legge”

2 – Tutto ciò premesso, ritiene questo Giudice di dover aderire all’orientamento della prevalente giurisprudenza di merito, per cui la costituzione in giudizio effettuata dalla parte in via telematica, anziché con deposito cartaceo deve essere ritenuta valida (v., tra le altre, ordinanze Trib. Bologna 14.7.2014, Trib. Milano 7.10.2014, Trib Brescia 7.10.2014, Trib. Genova 1.12.2014).

2.1 – In primo luogo, infatti, non può avere alcuna rilevanza l’assenza, per il Tribunale di Roma, del “decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio” ex art.35 D.M. 21 febbraio 2011 n.44.

Tale disposizione, infatti, non può essere interpretata nel senso di conferire al direttore del DGSIA il potere di individuare la tipologia di atti che possono essere depositati in via telematica in un determinato ufficio: ciò sia in base alla gerarchia delle fonti – per cui una disposizione di natura regolamentare non può prevalere sulle norme di rango sovraordinato – sia perché la comparsa inviata in via telematica, acquisita dalla Cancelleria, consente di ritenere pienamente raggiunto lo scopo, con sanatoria di ogni eventuale profilo di irregolarità.

La mancanza del l’autorizzazione D.G.S.I.A., quindi, non può comportare alcun effetto in ordine all’esistenza, alla validità e all’ammissibilità del deposito telematico della comparsa di costituzione e risposta, dovendosi distinguere l’atto processuale – nella specie costituito da un documento informatico – dalla modalità di deposito dello stesso.

2.2 – D’altra parte, come rilevato anche dalla Suprema Corte in altra ipotesi di deposito irrituale avvenuto con modalità non previste dal la legge (ossia a mezzo posta), la deviazione dallo schema legale deve essere valutata come una mera irregolarità, in quanto non è prevista dalla legge una nullità in correlazione a tale tipo di vizio (nella fattispecie, si realizza “un deposito dell’atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un nuncius, può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art.156, 3° co. c.p.c.: in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione”; Cass. Sez. Un. n.5160/09).

In sostanza, devono trovare applicazioni il principio della libertà di forma ex art.121 c.p.c. (per cui ciò che non è previsto non può ritenersi per ciò solo vietato), e il divieto di pronunciare la nullità di un atto del processo se la nullità non è comminata dalla legge, e comunque mai ove risulti accertato che l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato (art.156 c.p.c.).

3 – Nel caso in esame, dagli atti dell’ufficio risulta che la costituzione in giudizio della società convenuta, effettuata in via telematica, è stata doverosamente accettata dalla Cancelleria il 7 luglio 2014 ed è entrata, quindi, a far parte del procedimento.

L’oggettiva irregolarità è stata sanata dall’avvenuto raggiungimento dello scopo, con conseguente impossibilità di sanzionare la nullità della comparsa e l’intervenuto decorso dei termini di decadenza correlati al deposito.

In particolare, la costituzione della convenuta in data 7 luglio 2014, ovvero entro il ventesimo giorno dalla notifica dell’ordinanza ex art.186 ter c.p.c., non consente di dichiarare la medesima ordinanza esecutiva ai sensi dell’art. 647 c.p.c.

Non ricorrono neanche i presupposti per la “rimessione in termini” richiesta dalla convenuta, considerata l’avvenuta instaurazione del contraddittorio tra le parti (deposito della comparsa di costituzione e deposito delle memorie ex art.183, 6° co. c.p.c.).

4 – Per quanto attiene alle altre domande e richieste formulate dal le parti, va rilevato che:

a) la parte convenuta ha eccepito l’incompetenza di questo Tribunale ma ha formulato tale eccezione costituendosi tardivamente in giudizio;

b ) con bonifico del 30.9.2014 la *** ha provveduto al pagamento del l’importo di € 582.740,81= (importo del S.A.L. n.7 richiesto dalla parte attrice nel presente giudizio);

c) tenuto conto di quanto sopra e preso atto della documentazione prodotta, la causa appare matura per la decisione, dovendosi definire con sentenza il complessivo rapporto di dare/avere tra le parti.

P. Q. M.

1)      rigetta l’istanza di rimessione in termini formulata dalla ***

2)      rigetta l’istanza formulata dalla parte attrice ai sensi dell’art.647 c.p.c. per la dichiarazione dell’esecutività dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art.186 ter c.p.c.;

3)      rinvia la causa per la precisazione delle conclusioni e la decisione ex art.281 sexies c.p.c. all’udienza del 15 luglio 2015 ore 11.00, dando termine fino al 30.6.2015 per l’eventuale deposito di note.

Roma, 12 gennaio 2015

 

IL GIUDICE

(Eugenio Curatola)

 

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Trib Trani, ord. 24 novembre 2015 (Pres. est. Labianca)

 

Tribunale di Trani

Il Tribunale di Trani – Sezione civile – composto dai Magistrati:

Dott. Gaetano Labianca               – Presidente rel.

Dott. Antonino Ierimonti             – Giudice

Dott. Sandra Moselli                     – Giudice

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 27 ottobre 2015 ha emesso la seguente:

ORDINANZA

omissis

Motivi della decisione.

Con provvedimento ex art. 669 octies c.p.c. depositato in data 17.11.2014, il Giudice unico del Tribunale di Trani accoglieva parzialmente il ricorso per reintegra nel possesso depositato da *** e, per l’effetto, ordinava al resistente *** di reintegrare i ricorrenti ed i terzi intervenuti nel possesso del bene, ordinando altresì la consegna di copia delle chiavi del cancello di ferro apposto nel luglio 2013 al civico ***, compensando integralmente le spese.

Il *** non dava spontanea attuazione al provvedimento, sicché i reclamanti – dopo aver notificato l’ordinanza in copia conforme unitamente all’atto di precetto in data 26.1.2015 – proponevano ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c., onde stabilire le modalità di attuazione del provvedimento in questione.

Il ricorso veniva depositato in forma cartacea in data 29.4.2015; ritualmente notificato il ricorso ed il decreto di comparizione delle parti, all’esito della costituzione (in forma cartacea) di controparte, che eccepiva l’inammissibilità o la irricevibilità del deposito cartaceo, il ricorso veniva dichiarato inammissibile, con ordinanza depositata in data 2.9.2015, comunicata a mezzo PEC in data 8.9.2015.

Avverso tale ordinanza, interponevano reclamo, depositato in data 23.9.2015, ***, i quali evidenziavano che il ricorso ex art. 669 terdecies c.p.c. non poteva essere considerato un atto endo-procedimentale, bensì un giudizio cautelare del tutto autonomo rispetto al precedente giudizio, meramente eventuale; che, nel protocollo sul p.c.t. approvato dai Magistrati ed Avvocati del Tribunale di Trani, non erano menzionati, tra gli atti endoprocedimentali, i ricorsi cautelari in generale ed i reclami, sicché il ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c. non poteva essere considerato come un procedimento cautelare in corso di causa, bensì un procedimento del tutto nuovo, differente rispetto al precedente giudizio possessorio, tant’è che era stato regolarmente accettato dalla cancelleria, la quale, altrimenti, avrebbe dovuto rifiutare l’atto depositato in via cartacea; aggiungevano che neppure il Magistrato adito, prima facie, aveva ritenuto di dover dichiarare inammissibile il ricorso, tant’è che aveva fissato il decreto di comparizione delle parti; che l’art. 16bis del D.L. n. 179/2012 non comminava alcuna sanzione di nullità in caso di violazione delle norme dettate in materia di deposito telematico, anche perché l’atto aveva senz’altro raggiunto lo scopo cui era destinato, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156 terzo comma c.p.c.; che meritava di essere riformata anche la statuizione conseguente alle spese processuali, posto che se la presentazione del ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c. era stata considerata dal Giudice di prime cure inammissibile, parimenti anche il deposito, in via cartacea, della memoria di costituzione del *** doveva essere considerata inammissibile per le medesime ragioni.

Tanto premesso, chiedevano che fosse sospesa l’efficacia esecutiva dell’ordinanza impugnata e nel merito revocata o riformata parzialmente nella parte relativa alle spese.

Ritualmente notificato il reclamo ed il decreto di comparizione delle parti, si costituiva all’indetta udienza ***, che resisteva al reclamo evidenziando la correttezza, in diritto, delle argomentazioni esposte dal Giudice di prime cure.

Tanto premesso, chiedeva il rigetto del reclamo con il favore delle spese di lite.

All’udienza indetta, dopo rituale discussione, il Collegio si riservava per l’emissione del provvedimento.

Diritto.

Com’è noto, l’art. 16 bis, comma 1, del d.l. 179/12, convertito in legge n. 221/2012, prevede che, dal 30 giugno 2014, “nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al Tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite (cd. “atti endoprocessuali”) ha luogo esclusivamente con modalità telematiche. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria”.

Più precisamente, per i procedimenti iniziati prima del 30 giugno 2014, le predette disposizioni si applicano a decorrere dal 31 dicembre 2014; fino a tale data, il deposito degli atti processuali e dei documenti poteva essere effettuato, alternativamente, con modalità telematiche o su supporto analogico.

Per questa ragione, nei procedimenti di nuova instaurazione (come il presente), la cancelleria è tenuta a non ricevere (ed, anzi, a rifiutare) il deposito in forma cartacea degli atti endoprocessuali di parte, salve le eccezioni di cui ai commi 8 e 9 art.16 bis d.l. 179/12 cit. (v. Circolare del Ministero della Giustizia del 27.6.2014).

Ciò posto, si tratta di stabilire se il ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c. dovesse essere depositato con modalità telematiche ovvero in forma cartacea, nonché le conseguenze, nel caso di deposito con modalità telematica, dell’errato deposito in via cartacea del ricorso, con la verifica della possibile sanatoria della nullità per il principio del c.d. raggiungimento dello scopo.

A detta di parte reclamante, invero, il ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c. non sarebbe un atto endoprocedimentale, bensì un ricorso autonomo, in quanto meramente eventuale, a differenza di quanto rilevato dal primo Giudice (che ha ritenuto, invece, trattarsi di un atto endoprocedimentale, in quanto mera fase eventuale del giudizio cautelare già intrapreso, con prosecuzione dello stesso giudizio tra le stesse parti e dinanzi al medesimo Giudice).

Sul punto, l’argomentazione del primo Giudice appare ineccepibile.

Ed invero, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte “l’esecuzione del provvedimento d’urgenza in materia possessoria, secondo la previsione dell’art. 669 duodecies cod. proc. civ., che, dettato per i sequestri, trova applicazione, in virtù dell’art. 669 quaterdecies del codice di rito, anche ai provvedimenti possessori immediati, non dà luogo ad un processo di esecuzione forzata, bensì ad una ulteriore fase del procedimento possessorio, che è di competenza dello stesso giudice che ha emesso il provvedimento”(così Cass. n. 481/03, ma già Cass. n. 80/96 e n. 5672/97, nonché successivamente, tra le tante, Cass. n. 13666/03, n. 407/06, n. 6621/08).

Come si è rilevato, in dottrina e presso la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 15761/2014), l’art. 669 duodecies c.p.c., distingue, prescindendo dai sequestri, fra:

a) provvedimenti che hanno ad oggetto obblighi di consegna o rilascio, fare o non fare;

b) provvedimenti che hanno ad oggetto somme di denaro.

Riguardo a questi ultimi, la suddetta disposizione stabilisce che l’attuazione avviene secondo le norme dei procedimenti di espropriazione forzata, in quanto compatibili, mentre per i primi due è previsto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento al quale spetta di determinarne le modalità e dare con ordinanza i provvedimenti opportuni se sorgono difficoltà o contestazioni.

L’attuazione dei suddetti provvedimenti non avvia, quindi, sulla base di un titolo esecutivo, un separato procedimento di esecuzione ma, in attuazione di una finalità di “deformalizzazione”, costituisce una fase del procedimento cautelare (v. Cass., 12 gennaio 2005, n. 443), nella quale il Giudice che ha emesso il provvedimento cautelare ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le difficoltà e contestazioni cui quest’ultima da luogo.

Ne consegue che è altresì inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi per contestare la regolarità formale degli atti posti in essere in attuazione di un provvedimento cautelare, essendo il provvedimento d’urgenza inseparabile dal procedimento nell’ambito del quale è pronunciato.

E la sua esecuzione, proprio per garantire il conseguimento delle finalità cautelari e conservative che l’hanno determinato, non può che appartenere al giudice che lo ha emesso (v. Cass. 9 gennaio 1996, n. 80).

Ciò posto, pare evidente che se il ricorso per l’attuazione costituisce una fase ulteriore (e meramente eventuale) del medesimo giudizio possessorio già intrapreso dai ricorrenti, non possa che assegnarsi al ricorso natura di atto endoprocedimentale; peraltro, è dirimente l’osservazione che entrambe le parti erano “già costituite” (v. art. 16 bis D.L. 179/2012) nella fase cautelare precedente, sicché non può dedursi che si tratta di un cautelare del tutto nuovo e differente da quello conclusosi con accoglimento della tutela possessoria, trattandosi della prosecuzione – in fase di attuazione – del medesimo giudizio possessorio.

Ne consegue che il ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c. ha, senza dubbio, natura endoprocessuale e, come tale, opera l’obbligo di deposito con modalità telematica.

Sotto tale profilo, pertanto, la decisione del giudice di prime cure non merita alcuna censura.

Più complesso è, invece, il motivo di reclamo attinente la possibilità della sanatoria per il raggiungimento dello scopo, sul quale reputa il Collegio di dover effettuare le seguenti considerazioni.

Va premesso che, per gli atti introduttivi depositati in modalità telematica, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario (favorevole alla loro ammissibilità prima della definitiva facoltatività, sancita con il D.L. n. 83/2015), si è incentrato sul fatto che nessuna norma, né legislativa, né regolamentare, sanziona con la nullità od altra sanzione processuale (inammissibilità, irricevibilità, inesistenza) un atto introduttivo depositato telematicamente, per cui non può essere pronunciata la nullità (per inosservanza di forme) di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge (c.d. principio di “tassatività” delle nullità).

La conseguenza è che non può argomentarsi sul fatto che l’atto manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c, posto che il Difensore che si costituisce telematicamente sottoscrive la comparsa con firma digitale, effettua il deposito utilizzando le regole tecniche e le specifiche previste dalla normativa regolamentare del P.C.T., supera le barriere dei controlli della cancelleria (che certifica il deposito della comparsa di risposta e dei documenti allegati e mette a disposizione del Giudice e delle altre parti processuali l’atto depositato telematicamente e i relativi allegati).

Si è osservato che la normativa di cui all’art. 16 bis del decreto legge 179 del 2012, mentre fa riferimento ai soli atti endoprocessuali, non introduce un divieto tassativo di deposito telematico per gli altri atti introduttivi.

E, del resto, oltre al fatto che non è prevista dalla legge una nullità in correlazione a tale tipo di vizio, l’attestazione da parte del cancelliere del ricevimento degli atti (tale è anche il senso della Circolare del Ministero del 27.6.2014, che, tra l’altro, ha espressamente previsto che “…. nei Tribunali già abilitati a ricevere tali atti processuali ex art. 35 D.M. 44/2011 continuerà a costituire facoltà e non obbligo delle parti quello di inviare anche gli atti introduttivi mediante deposito telematico; laddove tale facoltà non sussista e le parti procedano al deposito telematico di un atto introduttivo o di costituzione in giudizio in assenza della relativa abilitazione, la valutazione circa la legittimità di tali depositi, involgendo profili prettamente processuali, sarà di esclusiva competenza del Giudice; di conseguenza non spetta al cancelliere la possibilità di rifiutare il deposito degli atti introduttivi (e/o di costituzione in giudizio inviate dalle parti, anche presso quello sedi che non abbiano avuto l’abilitazione ex art. 35 D.M. 44/2011”), nonché il loro inserimento nel fascicolo processuale, integrano indubitabilmente una “presa di contatto” tra la parte e l’ufficio giudiziario.

Come evidenziato, tra l’altro, più volte dalla Suprema Corte (v. Cass. 5160/2009, in una fattispecie concernente il deposito irrituale di un atto processuale destinato alla cancelleria e spedito a mezzo posta; cfr., anche, negli stessi termini, Cass. 21667/2012, 3209/2012, 30240/2011, 23239/2011, 12663/2010), “scopo essenziale del deposito di un atto giudiziario, è la presa di contatto fra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la trattazione della controversia”.

In definitiva, la giurisprudenza di merito dava generalmente risposta positiva alla facoltà per il Difensore di depositare telematicamente anche un atto introduttivo o di costituzione in giudizio, pur se il singolo Ufficio giudiziario non fosse stato abilitato dalla D.G.S.I.A. al valore legale di un atto introduttivo.

Completamente diversa è, invece, la questione che si pone per gli atti endoprocessuali; sul punto, se è vero che non è prevista alcuna sanzione dall’art. 16 bis del D.L. 179/2012 in caso di inosservanza del deposito telematico obbligatorio per gli atti endoprocedimentali (dopo il 30.6.2014), è altresì vero che, con l’uso dell’avverbio “esclusivamente” con modalità telematiche, l’opzione del legislatore sia, senza dubbio, quella di escludere qualsiasi forma di deposito equipollente; né appare invocabile il principio della libertà delle forme di cui all’art. 121 c.p.c., trattandosi di una forma determinata, imposta dal legislatore.

Peraltro – come efficacemente osservato dal Tribunale di Foggia in fattispecie simile, concernente il deposito in forma cartacea di un reclamo (v. Trib. Foggia 15.5.2015; v. anche Trib. Torino 6.3.2015) – il deposito di un atto processuale non è un atto del processo, sostanziandosi in “… un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e non può quindi considerarsi atto del processo, né ai fini di cui all’art. 121 né ai sensi dell’art. 156 c.p.c. Pur volendo, peraltro, ritenere la modalità telematica una forma imposta dalla legge per il deposito degli atti processuali, resta il fatto che l’art. 121 prevede il principio della libertà delle forme laddove la legge non richieda delle forme determinate, e quindi, anche per questa via, resta precluso il richiamo all’art. 121 c.p.c.” (cfr. cit. ordinanza).

Premesso, dunque, che non può prevedersi una modalità di deposito alternativa a quella telematica, resta il problema delle conseguenze o degli effetti del deposito di un atto endoprocedimentale per via cartacea, e della eventuale sanatoria per il raggiungimento dello scopo.

Sul punto, si fronteggiano due orientamenti giurisprudenziali.

Secondo una prima opzione interpretativa (cfr. Tribunale di Torino 6.3.2015 e Trib. Foggia 15.5.2015), l’inammissibilità dovrebbe discendere quale corollario dell’avverbio “esclusivamente”, pur se non seguito da alcuna sanzione espressa da parte del Legislatore; tale interpretazione appare conforme “ai principi di certezza del diritto e di ragionevole durata del processo che hanno ispirato la riforma del processo civile telematico, essendo il deposito telematico funzionale ad un più rapido ed immediato accesso agli atti e documenti del processo, per il giudice e le parti costituite” (cfr. cit. pronuncia). La scelta legislativa, quindi, anche se non espressa (il legislatore non fa alcun riferimento alla categoria della inammissibilità quale sanzione processuale discendente dal deposito di un atto depositato telematicamente), appare incompatibile con la diversa categoria della nullità e della connessa sanabilità per il raggiungimento dello scopo, posto che la nullità attiene a vizi dell’atto e non a vizi del deposito, che resta un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo, donde il richiamo alla categoria della inammissibilità appare, per questa via, preferibile.

Secondo invece altro orientamento (v. Trib. Asti del 23.3.2015; v. anche Tribunale di Trani, sezione civile, area A, sulla medesima questione del reclamo, rel. Sardone del 20.10.2015), argomentando sulla insussistenza di alcuna norma che sanzioni con l’inammissibilità il deposito degli atti introduttivi in forma diversa da quella telematica, se la costituzione per tale via è conforme alle prescrizioni di legge che la disciplinano (c.d. regole tecniche), in virtù dei principi di libertà delle forme e del raggiungimento dello scopo, la parte che si costituisca per via telematica non può essere in alcun modo sanzionata.

In verità, pare al Collegio che la questione dell’interpretazione della natura di un atto (se introduttiva o endoprocessuale), se non presenta, in generale, particolari problemi allorquando si tratti di memorie endoprocedimentali ex art. 183 sesto comma c.p.c., comparse conclusionali o memorie di replica, sia di non agevole risoluzione allorquando si tratti di atti per i quali esiste un margine per interpretazioni differenti; non è un caso che si registrano, nel variegato panorama giurisprudenziale, incertezze interpretative per quanto concerne, ad esempio, il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. (interpretabile come giudizio diverso dalla fase cautelare di prima istanza), oppure per l’opposizione avverso l’ordinanza che chiude il c.d. rito sommario “Fornero” ai sensi della legge 92/2012, nonché l’opposizione avverso il decreto emesso ai sensi dell’art. 28 della legge 300/70, oppure per i ricorsi al giudice dell’esecuzione in opposizione successivi all’inizio dell’esecuzione, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., per le istanze di conversione nel pignoramento, gli incidenti nell’esecuzione per rilascio, i ricorsi per concordato preventivo “pieno” o “prenotativo”; i reclami ex art. 26 e 36 l.f.

In questi, ed altri casi consimili a quello del caso di specie, in cui la cancelleria ha accettato (e non rifiutato, come imposto dalla circolare) l’atto, sussistono margini per ritenere integrato il principio del raggiungimento dello scopo, allorquando, pur non essendo il deposito conforme allo schema normativo previsto come esclusivo (v. in argomento, Cass. S.L. 21447/2007, Cass. 12391/2013 in tema di deposito effettuato a mezzo posta), l’atto sia stato comunque accettato dalla cancelleria, integrando quella presa di contatto tra l’ufficio giudiziario e il depositante, in modo tale da porre l’atto a conoscenza del Giudice e della controparte, dopo aver superato i controlli sul contenuto e l’esistenza degli atti da parte della cancelleria.

Si invoca, sulla scorta di tale filone interpretativo, il principio sancito dalla S.C. (v. Cass. 5150/09 e 12509/2015) secondo cui “l’invio a mezzo posta dell’atto processuale destinato alla cancelleria (nella specie, memoria di costituzione in giudizio comprensiva di domanda riconvenzionale) – al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione – realizza un deposito dell’atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non deve necessariamente essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un nuncius, può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156 c.p.c., comma 3: in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione”.

Ciò posto, tra i due filoni interpretativi, appare maggiormente condivisibile il primo orientamento, per i seguenti ordini di considerazioni, di carattere letterale e sistematico.

In primo luogo, a parere del Collegio, non può invocarsi il principio della libertà delle forme (dal quale deriverebbe che tutte le forme degli atti del processo sono previste non per la realizzazione di un fine proprio ed autonomo, ma allo scopo del raggiungimento di un certo risultato, con la conseguenza che l’eventuale inosservanza della prescrizione formale sarebbe irrilevante se l’atto viziato raggiunge ugualmente lo scopo cui era destinato), posto che – come si è detto – in questo caso non può parlarsi, propriamente, della forma di un atto, ma, semmai, delle modalità di trasmissione alla cancelleria di un determinato atto; in secondo luogo, se è vero che il deposito è un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo (che, come tale, può essere effettuata anche da un nuncius), nel concreto è lo stesso Legislatore ad obbligare, specificandone il quomodo con l’avverbio “esclusivamente”, una particolare modalità di trasmissione dell’atto, e ciò al fine di favorire la progressiva dematerializzazione del fascicolo cartaceo, per le ragioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo cui è ispirato il processo telematico; in terzo luogo, non può invocarsi il fatto che il deposito dell’atto per via cartacea comunque realizzerebbe il contatto interpersonale tra depositante e cancelliere e, come tale, può essere idonea al raggiungimento dello scopo: sussiste, invero, il principio dell’affidamento e la necessità del rispetto dell’art. 24 Cost., posto che la controparte, confidando sulla trasmissione dell’atto per via telematica, potrebbe essere indotta – per il riferito principio dell’affidamento – a non articolare alcuna difesa qualora la controparte non abbia depositato per via telematica l’atto processuale (si pensi alla scansione temporale dei termini processuali ex art. 183 sesto comma c.p.c. ed al fatto che, qualora una parte non depositi alcuna richiesta istruttoria nella memoria a ciò deputata, l’altra parte potrebbe a sua volta non depositare alcuna richiesta istruttoria di segno contrario); pur volendo ritenere che l’atto abbia superato i controlli della cancelleria ed abbia realizzato la presa di contatto tra l’ufficio giudiziario e il depositante, sussiste pur sempre l’esigenza di certezza della trasmissione degli atti, che non può essere realizzata con ogni mezzo, ma con una modalità particolare richiesta dal Legislatore; in quarto luogo, il fatto che non sia prevista una sanzione espressa di inammissibilità, non osta a che la sanzione, rilevabile d’ufficio, possa essere ricavata dai principi generali dell’ordinamento, ed intesa come scostamento dal modello legale tipico del deposito previsto dal Legislatore, insuscettibile di sanatoria per effetto del raggiungimento dello scopo, posto che la sanatoria richiamata concerne la questione dell’impersonalità del deposito, mentre, in questo caso, viene in questione il quomodo stesso del deposito.

Ne consegue che, a parere del Tribunale, la pronuncia del primo Giudice si appalesa del tutto corretta, per le ragioni suesposte.

In ordine alle spese di lite, tenuto conto della natura e complessità delle questioni trattate, della diversità di vedute rispetto ad altra sezione dell’intestato Tribunale, del fatto che il protocollo del Tribunale di Trani (che, va evidenziato subito, non costituisce fonte del diritto) non richiama, tra gli atti endoprocedimentali, il ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c., del fatto che la cancelleria ha accettato il deposito cartaceo e l’altra parte si è costituita anch’essa per via cartacea, pur sollevando l’eccezione, della sussistenza di contrasto giurisprudenziale e dell’assenza di pronunce sul merito della Suprema Corte sulla specifica questione oggetto di causa, della totale assenza di indicazioni nella circolare del Ministro della giustizia sul punto, si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ne consegue che il reclamo va accolto sul punto, e che le spese del primo – come pure quelle del secondo grado di reclamo – debbono essere integralmente compensate.

p.q.m.

Il Tribunale di Trani – in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella cause civili iscritta al n. nn/aaaa Ruolo Generale, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

– accoglie per quanto di ragione il reclamo, e, per l’effetto, revoca la statuizione di condanna al pagamento delle spese del giudizio cautelare poste a carico di parte reclamante;

per l’effetto, compensa le spese del giudizio cautelare, confermando per il resto integralmente la declaratoria di inammissibilità del ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c. depositato per via cartacea;

– compensa integralmente tra le parti le spese del reclamo

Così deciso in Trani, nella camera di consiglio del 24.11.2015.

Il Presidente est.

Dr. Gaetano Labianca

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La digitalizzazione della Giustizia – Orlando: “Ulteriore salto di qualità del servizio”

 

 

Fonte: www.giustizia.it – 9 dicembre 2015

Nuove tecnologie, risorse e investimenti per creare nuovi modelli organizzativi in grado di offrire ai cittadini un servizio giustizia più rapido ed efficiente. Lo stato della digitalizzazione della Giustizia è al centro della conferenza stampa del guardasigilli Andrea Orlando presso il Centro Elaborazione Dati del Ministero della Giustizia (ingresso via Damiano Chiesa, 24).
 
“E’ un impegno che si rafforza per un salto di qualità ulteriore: migliorare il servizio giustizia nei rapporti con il cittadino e metterlo all’avanguardia anche a livello europeo”, ha sottolineato Orlando. Sono più che raddoppiati, rispetto allo scorso anno, gli investimenti per la digitalizzazione del settore giustizia: lo stanziamento finale per il 2015 ammonta infatti a quasi 148 milioni di euro (a fronte dei 68,8 del 2014), grazie anche all’utilizzo, per la prima volta, di fondi europei. “Abbiamo ottenuto risorse dai fondi comunitari e li utilizziamo per queste innovazioni”, ha concluso il guardasigilli.
 
Nel corso dell’incontro, il direttore generale per i sistemi informativi automatizzati Pasquale Liccardo ha presentato la nuova Control Room realizzata dalla Dgsia e adibita alla verifica dei livelli di sicurezza e al coordinamento dei servizi di assistenza su tutto il territorio.
 
 

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Trib. Foggia, sez. 2, ord. 15 maggio 2015 (Pres. Di Corrado, rel. Depalma)

 

N. R.G. nn/aaaa

TRIBUNALE ORDINARIO di FOGGIA

Contenzioso – SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Corrado D. Di Corrado                                       Presidente
dott. Maria Angela Marchesiello                                Giudice
dott. Vincenzo Paolo Depalma                                  Giudice Relatore

 

all’esito dell’udienza del 15/05/2015

nel procedimento per reclamo iscritto al n. r.g. nn/aaaa promosso da:

***

RECLAMANTI

contro

***

RECLAMATI

Ha emesso la seguente

ORDINANZA

Con ricorso depositato in modalità cartacea il 30.01.2015 *** e *** proponevano reclamo contro l’ordinanza pronunciata in data 15.01.2015 dal Tribunale di Foggia, all’esito del giudizio possessorio di cui a r.g. n. nn/aaaa (avviato dagli stessi reclamanti con ricorso datato 2.08.2014).

Con memoria difensiva depositata telematicamente il 2.04.2015 si costituivano *** eccependo preliminarmente l’inammissibilità del reclamo, perché depositato in forma cartacea, e quindi in violazione dell’art. 16 bis del d.l. 179/2012.

All’udienza del 15.05.2015 i reclamanti depositavano ordinanza del Tribunale di Asti datata 18.03.2015, alle cui motivazioni si riportavano al fine di affermare l’ammissibilità del reclamo cartaceo. I reclamati si riportavano ai propri scritti difensivi. Il Tribunale riservava la decisione.

Il reclamo depositato con modalità cartacea è inammissibile.

Ai sensi dell’art. 16 bis d.l. n. 179/2012 (e ss. mod.): “a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici“.

Tale obbligo di deposito con modalità telematica opera, dunque, per gli atti ed i documenti depositati dai “difensori delle parti precedentemente costituite“, all’interno dello stesso giudizio. Tanto premesso, ritiene questo Tribunale che la norma in esame si applichi anche per il deposito del “reclamo”, in quanto entrambe le parti erano già costituite nella fase precedente, introdotta con l’originario ricorso possessorio.

Ciò, in ragione della natura giuridica del reclamo.

Esso, infatti, non avvia un nuovo ed autonomo giudizio, ma innesta una fase eventuale relativa al medesimo giudizio avviato con il ricorso cautelare. La decisione maturata al suo esito, inoltre, è passibile di ulteriori modifiche in caso di sopravvenienze nel corso del giudizio di merito.

In tal senso, attenta dottrina ha osservato che: “il legislatore del 1990 ha introdotto il nuovo istituto del reclamo contro i provvedimenti cautelari, configurandolo, più che come una vera e propria impugnazione, come una sorta di prosecuzione del giudizio cautelare unitario: ciò in funzione di una nuova pronuncia nell’esercizio degli stessi poteri da parte di un giudice che è diverso da quello che ha pronunciato il primo provvedimento, solo perché opera in una composizione sempre collegiale per lo più nell’ambito dello stesso ufficio giudiziario, e tutto ciò con l’attribuzione alla nuova pronuncia della portata di sostituirsi alla prima“.

In tal senso, si è espresso anche il Protocollo del Tribunale di Foggia sul Processo civile telematico del 24.06.2014, secondo il cui articolo 1 “Nell’incertezza interpretativa del testo normativo di cui all’art. 16 bis, comma 1, d.l. 179/2012, convertito con l. 221/2012, si ritiene concordemente che dopo la data del 30 giugno 2014 non potranno essere depositati in formato telematico gli atti introduttivi dei giudizi; si intende che tra questi non sono compresi i reclami avverso i provvedimenti cautelari, che devono considerarsi come atti endoprocessuali“,

In ragione dell’unitarietà del giudizio cautelare e, dunque, dalla ravvisata natura endoprocessuale del reclamo, non meritano accoglimento le deduzioni svolte dalla parte reclamante, richiamando la pronuncia del Tribunale di Asti del 23.03.2015.

Non risulta, infatti, pertinente il richiamo al principio di libertà delle forme, di cui all’art. 121 c.p.c., atteso che tale principio si riferisce alla forma degli atti processuali, e non alle modalità di trasmissione all’Ufficio degli stessi (come nel caso di specie).

Il deposito, infatti, propriamente inteso – è “un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo” (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 5160 del 04/03/2009). Non può quindi considerarsi un “atto del processo”, né ai fini di cui all’art. 121 c.p.c., né ai sensi dell’art. 156 c.p.c.

Non a caso, il titolo VI del Codice di Procedura Civile (concernente gli “atti processuali”), non disciplina né menziona in alcun modo il “deposito”, non inserendolo nemmeno tra gli “atti di parte” elencati all’art. 125 c.p.c.

In tale ottica, anche a voler ritenere la “modalità telematica” una “forma”, imposta per legge, per il “deposito” degli atti endoprocessuali, non può trovare applicazione diretta la disciplina di cui all’art. 121 c.p.c., che testualmente riferisce il principio della libertà delle forme ai soli “atti del processo”.

Va esclusa anche un’applicazione analogica della stessa norma, considerando che essa, pur affermando un principio generale, espressamente trova applicazione solo “per gli atti per i quali la legge non richiede forme determinate“.

Sicché, anche per questa via, il richiamo della disciplina di cui all’art. 121 c.p.c. risulta non condivisibile, considerato che, nel caso di specie, l’art. 16 bis d.l. n. 179/2012 espressamente prevede, per gli atti delle parti già costituite, l’obbligo del deposito mediante modalità telematica. Del pari, non risulta a monte neppure predicabile un’applicazione analogica dell’art. 156 c.p.c., in ragione della portata eccezionale del suo precetto, testualmente riferito ai soli “atti del processo”, e quindi non al “deposito” in sé considerato.

Tanto precisato, avendo il legislatore previsto l’“esclusiva” modalità telematica per il deposito degli atti endoprocessuali, deve ritenersi implicitamente che l’ordinamento giuridico non ammette per tali atti modalità di deposito alternative.

Sicché è dal contenuto implicito della stessa disposizione dell’art. 16 bis d.l. n. 179/2012 che va ricavato il corollario della inammissibilità dei depositi degli atti endoprocessuali effettuati con modalità diverse da quella telematica.

E, del resto, solo attraverso una simile esegesi è possibile dare reale senso normativo all’avverbio “esclusivamente” utilizzato dal legislatore, che finirebbe per risultare privo di valore precettivo nell’ipotesi in cui si ritenesse ad esso prevalente il principio generale della sanatoria per “raggiungimento dello scopo”.

Tale interpretazione appare conforme ai principi di certezza del diritto e di ragionevole durata del processo, che hanno ispirato la riforma del processo civile telematico, essendo il deposito telematico funzionale ad un più rapido ed immediato accesso agli atti e documenti del processo, per il giudice e per le parti già costituite.

Va, quindi, dichiarata l’inammissibilità del reclamo depositato in modo difforme dalla modalità esclusivamente prevista dal legislatore.

La novità della questione trattata induce l’odierno collegio a dichiarare integralmente compensate tra le parti del spese relative alla presente fase processuale.

P.Q.M.

1) Dichiara inammissibile il reclamo depositato con modalità cartacea;

2) Compensa integralmente fra le parti, le spese del giudizio.

Foggia, 15/05/2015

Il Giudice relatore
dott. Vincenzo Paolo Depalma
 
Il Presidente
dott. Corrado D. Di Corrado 

Trib. Foggia, sez. 2, ord. 15 maggio 2015 (Pres. Di Corrado, rel. Depalma) Leggi tutto »