Cass., sez. VI-1, ord. 22 marzo 2017 n. 7390 (Pres. Ragonesi, rel Bisogni)

 

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Notifica ex art. 15 l.f. – Mancata conoscenza del ricorso e del decreto di fissazione – Tardiva apertura della casella PEC – Irrilevanza – Conoscibilità dell’atto secondo un criterio di ordinaria diligenza

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE -1

Composta da:

Dott. Vittorio Ragonesi – Presidente –

Dott. Andrea Scaldaferri – Consigliere –

Dott. Giacinto Bisogni – Rel. Consigliere –

Dott. Maria Acierno – Consigliere –

Dott. Antonio Pietro Lamorgese – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso proposto da A.G. s.r.l., elettivamente domiciliata in ** via ** n.** (studio **), rappresentata e difesa dall’avv. A.T., giusta procura speciale a margine del ricorso, che dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo al fax n. ** e alla p.e.c. **;

-ricorrente –

nei confronti di

Fallimento A.G. s.r.l.;

-Intimato –

E

F.A. s.n.c. di A. A. e C., elettivamente domiciliata in ** via ** n.** presso l’avv. A.I.(fax ** pec **), rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. M.S. che

dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo al fax n. ** e alla p.e.c. ** ;

-controricorrente –

avverso la sentenza n. NN/AAAA della Corte di appello di Napoli, emessa il 4 febbraio 2015 e depositata il 19 febbraio 2015, n. NN/AAAA R.G.V.G.;

Rilevato che

1.       Con sentenza del 19 febbraio 2015 la Corte di Appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto da A.G. s.r.l. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento n. NN del AAAA emessa dal tribunale di Napoli.

2.       La società A.G. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi: con il primo lamenta la nullità della sentenza e dunque la violazione ex art. 360 n. 4 c.p.c., relativamente all’art. 111 comma 6 Cost. e all’art. 112 c.p.c., essendosi il giudizio prefallimentare svolto in assenza di contraddittorio, apparendo la notifica del ricorso e del decreto di convocazione a mezzo PEC del tutto inidonea a garantire un effettivo esercizio del diritto di difesa.

3.       Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta l’illegittimità costituzionale e/o il contrasto con la C.E.D.U. dell’art. 15 comma 3 legge fall. che prevede siffatta forma di notificazione.

4.       Con il terzo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 legge fall., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ovvero in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., avendo la Corte territoriale limitato il proprio esame al solo credito posto a fondamento dell’istanza di fallimento, senza svolgere un esame reale circa la reale sussistenza dello stato di insolvenza della fallenda.

Ritenuto che

5.       I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e si rivelano infondati. La notifica del ricorso di fallimento e del decreto di fissazione, pacificamente avvenuta a mezzo PEC nei termini previsti ma conosciuta dalla fallenda solo dopo la data della comparizione (avendo solo tardivamente questa provveduto all’effettiva apertura della casella di posta certificata), non compromette il diritto di difesa della fallenda atteso che, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, sia la notifica al domicilio sia quella telematica si fondano sullo stesso principio di fondo che è quello della conoscibilità dell’atto secondo un criterio di ordinaria diligenza del destinatario (circa il costante controllo degli atti ricevuti presso il domicilio reale o telematico). Il sistema vigente, inoltre, non prevede (come vorrebbe il ricorrente) la necessità di una certificazione di conformità all’originale degli atti da parte del cancelliere.

6.       Il terzo motivo è infondato perchè correttamente la Corte territoriale ha desunto lo stato di insolvenza dall’inadempimento dedotto dal creditore ricorrente, coerentemente al criterio normativo per cui lo stato di insolvenza può essere ricavato in via induttiva anche dal mancato pagamento di un solo credito di importo non inferiore ad euro trentamila.

7.       Il ricorso va pertanto respinto con condanna alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 4.200 euro di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma l bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 febbraio 2017.

Il Presidente

Vittorio Ragonesi