T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 8 marzo 2016, n. 1222

 

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T.A.R. NAPOLI

SEZIONE OTTAVA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava)        
ha pronunciato la presente  

                      
                              SENTENZA                           

 

sul ricorso numero di registro generale nn/AAAA, proposto da: Gi. Ca.,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  S. S.  e G. S., con i quali è legalmente  domiciliato  presso  la segreteria del T.A.R. Campania – Napoli;                            

contro

Ministero  della  Giustizia,  in  persona    del    Ministro    p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura  Distrettuale  dello Stato di Napoli, presso la cui  sede  è  legalmente  domiciliata,  in Napoli, Via ***                                               

                           per l’esecuzione del giudicato                           

formatosi sul decreto decisorio cron. n. *** – R.G. nn/AAAA VG, reso in data 4 novembre 2010 dalla Corte di  Appello  di  Napoli,  II sezione civile – equa riparazione ex lege 89/01 (legge Pinto).       
Visti il ricorso e i relativi allegati;                              
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Distrettuale
dello Stato di Napoli per il Ministero della Giustizia;              
Viste le memorie difensive;                                          
Visto l ‘art. 114 cod. proc. amm.;                                   
Visti tutti gli atti della causa;                                    
Relatore nella camera di consiglio del giorno  24  febbraio  2016  il dott. Michelangelo Maria Liguori e uditi per  le  parti  i  difensori come specificato nel verbale;                                        
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto

1. La Corte di appello di Napoli, col decreto decisorio del 4 novembre 2010 (n. cron. nn/AAAA), concernente l’equa riparazione ex artt. 2 s. della l. n. 89/2001, ha condannato il Ministero della giustizia a pagare in favore di Ca. Gi., a titolo di indennizzo, l’importo di € 7.125,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo.
Il citato decreto è divenuto definitivo per non essere stata proposta impugnazione, e, a tutt’oggi, l’amministrazione non ha effettuato il pagamento dovuto.
2. A fronte di tale situazione, Ca. Gi. ha proposto ricorso in ottemperanza (notificato a mezzo PEC in data 11 aprile 2015, e depositato il successivo 23 aprile) nei confronti del Ministero della Giustizia, chiedendo a questo Tribunale Amministrativo Regionale di disporre l’esecuzione del decreto in epigrafe per la parte di spettanza, dichiarando l’obbligo di provvedere al pagamento in proprio favore della suindicata somma di € 7.125,00, oltre interessi legali dalla domanda, ed altresì nominando, per il caso di ulteriore inottemperanza, un commissario ad acta che provvedesse al pagamento, a cura e spese dell’Amministrazione.
Il ricorrente, contestualmente, ha richiesto anche la condanna dell’Amministrazione al pagamento di una somma di denaro, ai sensi dell’art. 114 cod. proc. amm., per l’ulteriore ritardo nell’esecuzione del giudicato (c.d. astreinte o penalità di mora).
3. L’intimato Ministero della giustizia si è costituito in giudizio con memoria di mero stile.
4. Alla camera di consiglio del 24 febbraio 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.
                     

Diritto

1) Preliminarmente, va rilevato che l’atto introduttivo del presente giudizio è stato notificato via PEC, ai sensi della legge n. 53/1994. Ora, sebbene secondo il disposto di cui all’art. 16-quater, comma 3-bis del D.L. 179/12, sia esclusa l’applicabilità alla giustizia amministrativa delle disposizioni idonee a consentire l’operatività nel processo civile del meccanismo di notificazione in argomento (ovvero i commi 2 e 3 del medesimo art. 16-quater), e ciò anche in mancanza di un apposito Regolamento che, analogamente al D.M. 3 aprile 2013, n. 48 concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, detti le relative regole tecniche anche per il processo amministrativo, osserva il Collegio come nel caso in esame l’avvenuta costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata sia idonea a sanare la nullità della notifica, non potendo la notificazione intervenuta a mezzo della posta elettronica certificata essere qualificata come inesistente (in tal senso da ultimo T.A.R. Veneto, sez. III, 27/3/2015 n. 369).
Del resto, la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n. 2682 del 28.5.2015), seppure non univocamente, ha ritenuto utilizzabile tale strumento notificatorio nel processo amministrativo già nell’attuale quadro normativo.
2) Nel merito, il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni e nei termini che seguono.
Il Collegio rileva come nel caso di specie ricorrano tutti i presupposti necessari per l’accoglimento, essendo il decreto in questione divenuto definitivo, in seguito alla mancata proposizione di impugnazione avverso lo stesso, come da attestazione della competente cancelleria prodotta in giudizio, ed essendo trascorso il termine di centoventi giorni dalla data della notifica del decreto decisorio in forma esecutiva, ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.l. n. 669 del 1996 convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30 e successive modifiche ed integrazioni, senza che il Ministero della Giustizia abbia dato esecuzione al dictum del giudice civile..
In tal senso, l’art. 112, comma 2 c.p.a., ha codificato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il decreto di condanna emesso ai sensi dell’art. 3 della legge n. 89 del 2001 ha natura decisoria in materia di diritti soggettivi, ed è, sotto tale profilo, equiparato al giudicato, con conseguente idoneità a fungere da titolo per l’azione di ottemperanza (Cons. Stato, Sez. IV, 16.3.2012, n. 1484; Cons. Stato, Sez. IV, 16.3.2012, n. 1484).
2.1) Nelle more della presente decisione è, tuttavia, sopravvenuta la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cosiddetta legge di stabilità 2016), che, nel comma 777, in vigore dall’1 gennaio 2016, “al fine di razionalizzare i costi conseguenti alla violazione del termine di ragionevole durata dei processi”, ha provveduto a inserire l’art. 5-sexies (Modalità di pagamento) nella legge 24 marzo 2001, n. 89.
Quest’ultimo articolo ha mutato le modalità di pagamento delle somme dovute per condanne ai sensi della stessa legge Pinto, introducendo delle disposizioni che incidono anche sulla proponibilità dei processi di esecuzione di tali pronunce, e, pertanto, anche dei giudizi di ottemperanza.
Viene, infatti, richiesto al creditore di rilasciare una dichiarazione di autocertificazione e sostitutiva di notorietà, attestante la non avvenuta riscossione di quanto dovuto e altri dati e documenti inerenti al pagamento, pena l’impossibilità di ottenere dalla p.a. debitrice il pagamento e di agire in via esecutiva.
Nello specifico, ai sensi del comma 1 dell’indicato art. 5-sexies, al fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate, il creditore deve rilasciare “all’amministrazione debitrice una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta”, nonché deve a trasmettere “la documentazione necessaria a norma dei decreti di cui al comma 3”.
L’indicato comma 3, prevede che “con decreti del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia, da emanare entro il 30 ottobre 2016, sono approvati i modelli di dichiarazione di cui al comma 1 ed è individuata la documentazione da trasmettere all’amministrazione debitrice… Le amministrazioni pubblicano nei propri siti istituzionali la modulistica di cui al periodo precedente”.
La dichiarazione in questione ha validità semestrale e deve essere rinnovata a richiesta della pubblica amministrazione (comma 2).
Nel caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai commi precedenti, l’ordine di pagamento non può essere emesso (comma 4).
L’amministrazione effettua il pagamento entro sei mesi dalla data in cui sono integralmente assolti gli obblighi previsti ai commi precedenti. Il termine di cui al periodo precedente non inizia a decorrere in caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione ovvero della documentazione indicata (comma 5).
La norma dispone, ancora, che prima del decorso di quest’ultimo termine, i creditori non possano procedere all’esecuzione forzata, alla notifica dell’atto di precetto, né proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento (comma 7).
Per quanto riguarda i processi di ottemperanza già instaurati alla data dell’1 gennaio 2016 – momento di entrata in vigore della legge di stabilità 2016 – la disposizione del comma 11 dell’indicato art. 5-sexies, disciplina i termini di applicabilità della normativa in questione, mentre il comma 12 dello stesso articolo risolve la problematica del contenuto degli obblighi (rectius oneri) di comunicazione anche nelle more di adozione dei decreti ministeriali che approveranno i modelli di dichiarazione.
Il comma 11 prevede, infatti, che “nel processo di esecuzione forzata, anche in corso, non può essere disposto il pagamento di somme o l’assegnazione di crediti in favore dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge in caso di mancato, incompleto o irregolare adempimento degli obblighi di comunicazione. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al pagamento compiuto dal commissario ad acta”.
Il riferimento al commissario ad acta comporta la sicura applicabilità della norma in questione anche al giudizio di ottemperanza (oltre che alle esecuzioni processualcivilistiche).
Il comma 12 del medesimo art. 5-sexies, risolve la “questione” dell’immediata operatività degli obblighi di comunicazione anche in assenza dei decreti attuativi, prevedendo che “i creditori di provvedimenti notificati anteriormente all’emanazione dei decreti di cui al comma 3 (quelli del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia che approveranno i modelli di dichiarazione) trasmettono la dichiarazione e la documentazione di cui ai commi precedenti avvalendosi della modulistica presente nei siti istituzionali delle amministrazioni. Le dichiarazioni complete e regolari, già’ trasmesse alla data di entrata in vigore del presente articolo, conservano validità anche in deroga al disposto dei commi 9 e 10”.
La disposizione in questione dispone, quindi, l’immediata operatività degli obblighi di comunicazione trattati e indica quali sono i modelli, presenti sui siti dei Ministeri, a cui fare temporaneo riferimento in attesa dei decreti ministeriali di approvazione dei decreti sulla modulistica “finale” (previsti entro il 30.10.2016), ammettendo la validità delle dichiarazioni trasmesse prima dell’entrata della legge in esame e conformi ai requisiti previsti.
Orbene, ritiene il Collegio che la normativa in esame non precluda la decisione sulla domanda di ottemperanza. Non introduce, infatti, profili di inammissibilità della domanda giudiziaria per carenza dei presupposti – in quanto per questi ultimi si deve fare riferimento al regime vigente al momento della sua proposizione – né una condizione sopravvenuta di improcedibilità.
Le disposizioni in questione, tuttavia, comportano l’esigenza che il pagamento intervenga solo a seguito della verifica, da parte dell’amministrazione compulsata o del commissario ad acta, dell’intervenuta esecuzione degli obblighi di comunicazione previsti dalla legge.
In particolare, tenendosi conto delle disposizioni di cui al comma 11 dell’emendato art. 5-sexies della legge Pinto, la domanda di ottemperanza proposta prima dell’entrata in vigore della novella legislativa può essere accolta, ma l’ordine giudiziale susseguente, volto a disporre le misure necessarie ad assicurare l’esecuzione del giudicato, deve essere emesso nel rispetto delle modalità legali attualmente vigenti, ovverosia considerando il comma 11 che, per i processi di esecuzione in corso, prevede l’assolvimento degli obblighi di comunicazione, e cioè il rilascio da parte dei creditori, anche in assenza dei decreti attuativi, di una “dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta ai sensi del comma 9 del presente articolo…”.
Il Collegio ritiene, inoltre, che, per le esecuzioni in corso, come quella del caso di specie, il riferimento all’assolvimento degli obblighi di comunicazione sia riferibile solo alla presentazione della dichiarazione e non anche al decorso dei sei mesi.
Quest’ultimo termine dilatorio esula del tutto dagli obblighi di comunicazione imposti al creditore.
La disposizione del comma 11 si richiama, infatti, ai soli obblighi di comunicazione e non all’intera procedura di liquidazione, e il riferimento della disposizione a una fase giudiziaria prettamente esecutiva – quale quella del giudizio di ottemperanza o di esecuzione forzata nel processo civile – fa venir meno l’esigenza di garantire uno spatium deliberandi all’amministrazione per pagare, mentre fa salva quella di evitare duplicazioni di pagamento e, in ogni caso, di avere una chiara situazione debitoria.
Tale interpretazione è, peraltro, conforme all’esigenza che il giudicato trovi pronta esecuzione, in linea con il principio costituzionale di pienezza della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., così come con i principi in tema di equità del processo ed effettività della tutela, di cui agli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU.
Inoltre, anche in giurisprudenza è stato da tempo affermato che, in sede di giudizio di ottemperanza, le azioni sostitutive poste in essere dal giudice o, per esso, dal commissario ad acta per eseguire il giudicato, possono anche esulare dal rispetto delle ordinarie procedure cui è tenuta l’amministrazione nell’ambito della sua azione, anche in ipotesi riguardanti il pagamento di somme di denaro (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-quater, 8 giugno 2015, n. 7987; T.A.R. Molise, 17 aprile 2015, n. 147; Cons. Stato, sez. III, 7 giugno 2013, n. 3124; Cons. Stato, sez. V, 1 marzo 2012, n. 1194; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 21 giugno 2012, n. 1763).
La domanda attorea va, quindi, accolta e, per l’effetto, va ordinato all’amministrazione convenuta di eseguire la statuizione giudiziale innanzi riportata e, quindi, di far luogo al pagamento di quanto dovuto all’odierno ricorrente, nel termine di trenta giorni dall’assolvimento da parte di quest’ultimo degli obblighi di comunicazione dinanzi indicati, costituenti inderogabile presupposto per potersi conseguire il ripetuto pagamento.
Quanto all’oggetto dell’accoglimento, il Collegio rileva come, nel caso di specie, il ricorso per l’ottemperanza riguardi solo l’importo liquidato nel decreto decisorio in favore del ricorrente e non le spese legali, in quanto queste ultime sono state dal medesimo decreto attribuite in favore del procuratore antistatario.
3) Per quanto riguarda le spese successive al decreto azionato, e come tali non liquidate nello stesso, il Collegio specifica che in sede di giudizio di ottemperanza può riconoscersi l’obbligo di corresponsione alla parte ricorrente, oltre che degli interessi sulle somme liquidate in giudicato, anche delle spese accessorie (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III Sent., 28/10/2009, n. 1798; T.A.R. Sardegna, 29/09/2003, n. 1094).
Infatti, nel giudizio di ottemperanza, le ulteriori somme richieste in relazione a spese diritti e onorari successivi al decreto sono dovute solo in relazione alla pubblicazione, all’esame ed alla notifica del medesimo, alle spese relative ad atti accessori, in quanto hanno titolo nello stesso provvedimento giudiziale; non sono dovute, invece, le eventuali spese non funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, quali quelle di precetto (che riguardano il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 ss., c.p.c.), o quelle relative a procedure esecutive risultate non satisfattive, poiché, come indicato, l’uso di strumenti di esecuzione diversi dall’ottemperanza al giudicato è imputabile alla libera scelta del creditore (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 11 maggio 2010 , n. 699; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 22 dicembre 2009 , n. 1348; Tar Campania – Napoli n. 9145/05 ; T.A.R. Campania – Napoli n. 12998/03; C.d.S. sez. IV n. 2490/01; C.d.S. sez. IV n. 175/87).
Ciò in considerazione del fatto che il creditore della P.A. può scegliere liberamente di agire, o in sede di esecuzione civile, ovvero in sede di giudizio di ottemperanza, ma una volta scelta questa seconda via non può chiedere la corresponsione delle spese derivanti dalla eventuale notifica al debitore di uno o più atti di precetto (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 14.07.2009, n. 1268).
Le spese, i diritti e gli onorari di atti successivi al decreto azionato sono quindi dovuti solo per le voci suindicate e, in quanto funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, vengono liquidate, in modo omnicomprensivo, nell’ambito delle spese di lite del presente giudizio come quantificate in dispositivo, fatte salve le eventuali spese di registrazione del titolo azionato il cui importo, qualora dovuto e versato, non può considerarsi ricompreso nella liquidazione omnicomprensiva delle suindicate spese di lite.
4) Va altresì accolta, anche alla luce della cennata novella legislativa, la domanda circa la corresponsione della penalità di mora di cui all’art. 114 comma 4, lettera e), c.p.a..
Quest’ultima disposizione, nel disciplinare i poteri del “giudice in caso di accoglimento del ricorso”, stabilisce che lo stesso, “salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo”.
La lett. a), del comma 781, dell’art. 1, della più volte richiamata legge n. 208/2015, ha aggiunto a quest’ultima disposizione dell’art. 114 c.p.a. il seguente periodo”Nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; detta penalità non può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli interessi legali”.
L’indicata novella ha, quindi, espressamente sancito il principio, in realtà già acquisito in via giurisprudenziale (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 giugno 2014, n. 15), secondo cui la penalità di mora è dovuta anche per le condanne al pagamento di somme di denaro, atteso che l’istituto assolve ad una finalità sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto non è volto a riparare il pregiudizio cagionato dalla non esecuzione della sentenza, ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento. Ha, altresì, indicato come non possa considerarsi manifestamente iniqua un’astreinte qualora sia stabilita in misura pari agli interessi legali.
La precisazione legislativa induce il Collegio a rivedere il precedente orientamento giurisprudenziale circa la configurabilità dell’iniquità della debenza dell’astreinte in relazione a condanne pecuniarie dell’Amministrazione, avuto riguardo alle esigenze di bilancio e allo stato di crisi finanziaria della finanza pubblica, non potendo ora la penalità di mora, pur in presenza di condanne pecuniarie derivanti da un contenzioso seriale, considerarsi iniqua per stessa definizione legislativa, laddove rapportata al saggio degli interessi legali, trattandosi di previsione che attua un equo contemperamento degli interessi del creditore e del debitore pubblico.
La quantificazione della relativa penalità d mora deve pertanto essere effettuata in una misura percentuale rispetto alla somma di cui alla condanna, prendendo a riferimento il tasso legale di interesse (in tal senso, già prima della legge di stabilità 2016, cfr. T.A.R. Lazio, Roma Sez. II, 16 dicembre 2014 n. 12739; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 15/01/2015, n. 629)..
L’astreinte verrà calcolata, nella misura indicata dell’interesse legale, sulla somma di cui alla condanna, in aggiunta agli interessi legali dovuti ex lege o, come in questo caso, disposti nella medesima condanna, stante la funzione sanzionatoria della stessa (e non compensativa del danno subito), che deve anche costituire un elemento di coazione indiretta all’adempimento.
Quanto alla data di decorrenza iniziale dell’astreinte la novella introdotta dall’art. 1, L. 28 dicembre 2015, n. 208, all’art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. ha previsto che la penalità d mora debba essere disposta a far data dal giorno della comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza.
Nel caso di specie, tuttavia, come suindicato, la medesima legge di stabilità ha subordinato, anche per i giudizi di ottemperanza in corso, l’adempimento delle obbligazioni derivanti dalle pronunzie di condanna ex legge Pinto al previo assolvimento, da parte del creditore, degli obblighi di comunicazione prima indicati, contestualmente stabilendo che l’Amministrazione non possa procedere al pagamento prima che sia intervenuto tale adempimento, con espresso divieto di legge.
A fronte di tale specifico divieto legislativo va però osservato che l’amministrazione, nelle more dell’adempimento degli oneri di comunicazione da parte del privato, non potrebbe considerarsi ulteriormente inadempiente all’obbligo di ottemperare al giudicato di pagamento, con conseguente venir meno della funzione sanzionatoria (dell’inerzia della p.a. nell’adempiere) e di coazione indiretta all’esecuzione connaturale all’istituto dell’astreinte.
Sarebbero inconfigurabili le stesse violazioni, inosservanze e ritardi che invece proprio l’art. 114, comma 4, lettera e), c.p.a.. pone quali condizioni necessarie per la concessione dell’astreinte.
Anzi, in questi casi, fissare l’operatività della penalità nelle more dell’adempimento da parte del ricorrente degli oneri di comunicazione, significherebbe “rigirare” a scapito della p.a. un adempimento a cui è tenuto il ricorrente, con l’effetto che lo stesso verrebbe a “lucrare” un’astreinte per effetto di un suo ritardo, verificandosi una situazione di manifesta iniquità in presenza della quale non sono dovute le astreinte, ai sensi della stessa disposizione dell’art. 114 c.p.a.
In questo caso specifico, allora, la norma in questione deve essere interpretata nel senso che l’astreinte sarà dovuta dalla data di intervenuta comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza, solo qualora siano già stati integralmente ottemperati gli obblighi di comunicazione suindicati; in caso contrario sarà dovuta dal momento in cui i suddetti obblighi saranno stati adempiuti.
Quanto alla data di decorrenza finale dell’astreinte, la stessa, in conformità con l’orientamento giurisprudenziale attualmente prevalente, sarà dovuta fino all’effettivo soddisfacimento del credito o, in alternativa, sino alla data di insediamento del commissario ad acta (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 3 novembre 2015 n. 5014; T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18 gennaio 2016, n. 464).
5) Deve, pertanto, essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione al decreto in epigrafe, mediante il pagamento in favore del ricorrente dell’importo liquidato in suo favore nel medesimo decreto, a titolo di indennizzo, maggiorato dagli interessi legali dalla data di decorrenza indicata nel decreto stesso e sino al soddisfo, previo tuttavia integrale adempimento da parte del ricorrente degli obblighi di comunicazione previsti ex lege e dianzi indicati.
6) L’Amministrazione darà quindi esecuzione al predetto decreto entro trenta giorni dall’integrale adempimento da parte del ricorrente degli obblighi di comunicazione suindicati; e ciò a decorrere dalla notificazione a istanza di parte o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora Commissario ad acta il Dirigente dell’Ufficio I della Direzione generale degli affari giuridici e legali – Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della Giustizia, che entro l’ulteriore termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’inottemperanza (a cura di parte ricorrente) e previa verifica dell’effettivo intervenuto integrale assolvimento degli obblighi di comunicazione, darà corso al pagamento, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’amministrazione inadempiente.
Il compenso del Commissario ad acta rientra nell’onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti, ai sensi del comma 8 dell’art. 5-sexies (Modalità di pagamento) della legge n. 89/2001, così come previsto dall’art. 1, comma 777, lett. l), della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, venendo poste a carico del Ministero della Giustizia, e si liquidano come da dispositivo, in considerazione della linearità della controversia.
A quest’ultimo riguardo il Collegio precisa che, come già indicato, tra le spese di lite liquidate in dispositivo per il presente giudizio di ottemperanza rientrano, in modo omnicomprensivo, le spese, i diritti e gli onorari relativi ad atti successivi al decreto decisorio e funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, fatte salve le eventuali spese di registrazione del decreto azionato non ricomprese in detta quantificazione.        

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava) accoglie il proposto ricorso nei termini e limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, dichiara l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione in favore della parte ricorrente al decreto azionato.
Nel caso di ulteriore inottemperanza, nomina quale Commissario ad acta il Dirigente dell’Ufficio I della Direzione generale degli affari giuridici e legali – Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della Giustizia, che provvederà ai sensi e nei termini di cui in motivazione al compimento degli atti necessari all’esecuzione del predetto decreto.
Condanna il Ministero della Giustizia del pagamento, in favore della parte ricorrente, delle spese di giudizio, che liquida in euro 800,00 (ottocento), oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dei difensori di parte ricorrente, dichiaratisi antistatari.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Michelangelo Maria Liguori, Presidente FF, Estensore
Fabrizio D’Alessandri, Consigliere
Rosalba Giansante, Primo Referendario
Depositata in segreteria in data 8 marzo 2016