T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, sent. 15 aprile 2016, n. 1864

 
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T.A.R. NAPOLI

SEZIONE QUARTA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta)                           
ha pronunciato la presente

                                  
                              SENTENZA                           

 

sul ricorso numero di registro generale *** del 2014, proposto da: Convento di ***, in persona del legale rapp.te  p.t.,rappresentato e difeso dagli  avv.  E. V.  ed  O. M., con  domicilio  eletto  presso  quest’ultimo  in  Napoli,  Via ***;

contro

Comune di ***, in persona del Sindaco p.t., n.c.;                                    

per l’ottemperanza

al giudicato formatosi sulla sentenza n. 362/2008 resa dalla Corte di Appello di Napoli di parziale conferma  della  sentenza  n.  nn/AAAA emessa dal Tribunale di Torre Annunziata.                            
Visti il ricorso e i relativi allegati;                              
Viste le memorie difensive;                                          
Visto l ‘art. 114 cod. proc. amm.;                                   
Visti tutti gli atti della causa;                                    
Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2016 il  dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i  difensori  come  specificato nel verbale;                                                         
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto                         

Parte ricorrente (Convento ***) premette:
– di aver ottenuto dalla Corte di Appello di Napoli la decisione n. nn/AAAA, di parziale conferma della sentenza n. nn/AAAA emessa dal Tribunale di Torre Annunziata, che ha condannato il Comune di *** a pagare in suo favore, a titolo di risarcimento, la somma di euro 6.308,65, oltre interessi e rivalutazione dal 6.11.2001 al soddisfo (come già statuito in primo grado), nonché ad eseguire le opere di ripristino del fondo di sua proprietà come descritte nella CTU dell’ing. Ol., e, in favore del suo difensore antistatario, le spese, i diritti e gli onorari di giudizio, come nella medesima sentenza quantificate;
– che la suddetta sentenza è divenuta definitiva per non essere stata proposta impugnazione per Cassazione;
– per ottenere l’adempimento parte ricorrente ha notificato la decisione in forma esecutiva ed è elasso il termine di 120 giorni ai sensi dell’art. 14 del d.l. n. 669/1996;
– che a tutt’oggi l’Amministrazione non ha effettuato il pagamento del dovuto, né ha provveduto alle opere di ripristino e messa in sicurezza.
Chiede, quindi, al presente T.A.R. di disporre l’esecuzione della decisione in epigrafe, nominando a tal fine un commissario ad acta che provveda al pagamento ed all’esecuzione delle opere, a cura e spese dell’Amministrazione intimata, nonché l’irrogazione delle penalità di mora ed il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione di tali opere, consistenti nella mancata utilizzabilità del fondo agricolo. A tal fine chiede disporsi una ctu per la determinazione di tale risarcimento.
L’amministrazione comunale non si è costituita in giudizio.
All’udienza camerale del 6 aprile 2016, previo avviso di parziale inammissibilità ai sensi dell’art. 73 c.p.a., il ricorso è trattenuto in decisione.

Diritto    

1. Il ricorso per ottemperanza è fondato e va accolto per le ragioni e nei termini che seguono, mentre l’azione risarcitoria è inammissibile per difetto di giurisdizione.
1.1. In via preliminare deve rilevarsi l’ammissibilità della notifica del ricorso, effettuata ex lege 53/1994, a mezzo PEC: il Collegio, pur consapevole dei recenti contrasti giurisprudenziali in materia di notificazione a mezzo p.e.c. nel processo amministrativo, ritiene che la possibilità per gli avvocati di notificare gli atti a mezzo pec sussiste già da tempo e prescinde dall’introduzione e piena attuazione del processo telematico, fondandosi tale facoltà su autonome e specifiche disposizioni di legge quali l’art. 3 della Legge n. 53 del 1994 (come modificato dalla legge n. 263 / 2005), l’art. 25 Legge n. 183 del 2011 e, quindi, sul D.L. n. 179 del 2012, che ha introdotto un apposito articolo (il 3-bis) nel corpo della Legge n. 53 del 1994, che consente all’avvocato la notifica a mezzo pec avvalendosi del registro cronologico disciplinato dalla stessa Legge n. 53.
1.2. L’ammissibilità di tale forma di notificazione è stata affermata pure dal Giudice d’appello, che -citando anche pronunzie di primo grado- ha affermato: “nel processo amministrativo telematico (PAT) – contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. – è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a. , disposizione che si riferisce a “forme speciali” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile” (C.d.S., Sez. VI, 28 maggio 2015 n. 2682).
1.3. Ancora in via preliminare il Collegio indica come l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione (Cons. Stato, sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; 17 ottobre 2000, n. 5512) e che detta verifica – che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (Cons. Stato, sez. V, 9 maggio 2001, n. 2607; sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1964) – comporta da parte del giudice dell’ottemperanza una delicata attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum” (Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1963; sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1075).
1.4. In sede di giudizio di ottemperanza non può essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (Cons. Stato,, sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 247), non potendo essere neppure proposte domande che non siano contenute nel “decisum” della sentenza da eseguire (Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2001 n. 49; 10 agosto 2000, n. 4459; Cons. Stato, sez. V, 18 agosto 2010 , n. 5817).
1.5. In particolare, il giudice amministrativo dell’ottemperanza, a fronte di statuizioni giudiziali rese dal giudice civile, deve svolgere un’attività meramente esecutiva senza possibilità d’integrare la sentenza civile, (Cons. Stato, sez. VI, 8 settembre 2008 , n. 4288), né quella di effettuare accertamenti di merito, tipici del giudizio di cognizione, dovendosi limitare all’accertamento dell’esistenza di un comportamento omissivo od elusivo e all’attuazione del disposto della pronuncia del giudice civile passata in giudicato e trovando in esso un limite invalicabile.
1.6. Nel giudizio di ottemperanza a sentenze di un giudice appartenente ad altro ordine giurisdizionale, il giudice dell’esecuzione deve, difatti, limitarsi ad usare poteri sostitutivi di “stretta esecuzione”, in quanto l’esercizio di poteri di attuazione che modificassero il giudicato verrebbe ad incidere su situazioni soggettive estranee all’ambito della sua giurisdizione (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2001, n. 1143).
In particolare, il giudice amministrativo, qualora gli si riconoscesse una “cognitio” piena, con possibilità di modificare ed integrare la sentenza del giudice ordinario in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, recupererebbe attraverso il giudizio d’ottemperanza il ceduto sindacato sul rapporto di pubblico impiego (arg. da Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2009, n. 561) ove difetta di giurisdizione
2. Ciò premesso nel caso di specie ricorrono tutti i presupposti necessari per l’accoglimento della richiesta di ottemperanza, essendo la decisione in questione divenuta definitiva in seguito alla mancata proposizione di impugnazione in Cassazione. Deve essere accolta la domanda di esecuzione della decisione della Corte di Appello e deve, pertanto, essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione tanto alla condanna al pagamento in favore di parte ricorrente della somma di euro 6.308,65, oltre interessi e rivalutazione dal 6.11.2001 al soddisfo (come già statuito in primo grado), quanto alla esecuzione delle opere di ripristino del fondo di sua proprietà come descritte nella CTU dell’ing. Ol. (1) completamento del tratto di muro mancante e sostituzione della porzione in muratura con muratura in cemento armato; 2) pulizia del costone e dell’area sbancata; 3) riempimento dello spazio retro posto al muro con scheggiosi di cava drenante e completamento con riporto di terreno vegetale; 4) realizzazione di terrazzamenti arretrati rispetto al muro di cemento armato).
2.1. Per quanto riguarda le spese successive alla decisione azionata, e come tali non liquidate nello stesso, in sede di giudizio di ottemperanza non può riconoscersi l’obbligo di corresponsione alla parte ricorrente di quelle relative ad atti di precetto (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III Sent., 28/10/2009, n. 1798; T.A.R. Sardegna, 29/09/2003, n. 1094), ma esclusivamente, oltre agli interessi sulle somme liquidate in giudicato, delle spese accessorie in quanto funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, che vengono liquidate, in modo omnicomprensivo, nell’ambito delle spese di lite del presente giudizio, fatte salve le eventuali spese di registrazione del titolo azionato il cui importo, qualora dovuto e versato, non può considerarsi ricompreso nella liquidazione omnicomprensiva delle suindicate spese di lite.
3. L’Amministrazione darà quindi esecuzione alla predetta decisione entro giorni sessanta dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora il Commissario ad acta indicato in dispositivo, che entro l’ulteriore termine di centoventi giorni dalla comunicazione dell’inottemperanza (a cura di parte ricorrente) darà corso al pagamento di quanto dovuto , nonché procederà all’esecuzione delle opere sopra descritte, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.
4. Le spese per l’eventuale funzione commissariale andranno poste a carico dell’Amministrazione in epigrafe e vengono sin d’ora liquidate nella somma complessiva indicata in dispositivo.
Il commissario ad acta potrà esigere la suddetta somma all’esito dello svolgimento della funzione commissariale, sulla base di adeguata documentazione fornita all’ente debitore.
5. Parte ricorrente ha richiesto anche in applicazione dell’art. 114 comma 4 lettera e) del c.p.a., che venisse fissata la misura di denaro dovuta dal Comune per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ulteriore ritardo nell’esecuzione.
Osserva in proposito il Collegio che l’applicabilità dell’istituto in questione all’ottemperanza delle sentenze recanti condanna al pagamento di somme di denaro, in coerenza con quanto già statuito dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr. decisione n. 15/ 2014), è oramai espressamente riconosciuta dall’art. 114, comma 4, c.p.a., come novellato dall’art. 1, comma 781, della l. n. 208 del 2015.
Deve quindi affermarsi che, anche con la sentenza di ottemperanza, può essere fissata, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e in assenza di ulteriori ragioni ostative, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato, con una statuizione costituente titolo esecutivo.
5.1. Nel caso di specie risultano sussistenti i presupposti stabiliti dall’art. 114 cit. per l’applicazione della sanzione: la richiesta di parte, formulata con il ricorso, l’insussistenza di profili di manifesta iniquità e la non ricorrenza di altre ragioni ostative.
Quanto alle concrete modalità di applicazione della penalità di mora, ai sensi dell’art. 114, comma 4, citato la cd. astreinte può trovare applicazione dal giorno della comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; mentre si ritiene congruo fissare la data di scadenza al momento dell’insediamento del Commissario ad acta (Tar Campania, Napoli, sez. VIII, n. 959/2012), .
La misura della sanzione va ora effettuata, in presenza di una specifica disposizione sul punto da parte del codice del processo amministrativo, nella misura degli interessi legali, da corrispondere per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza dopo la comunicazione o notificazione della presente sentenza per lo spontaneo pagamento, e non oltre lo scadere del termine (di trenta giorni) per l’insediamento del Commissario ad acta.
6. La domanda risarcitoria si rivela inammissibile per difetto di giurisdizione.
6.1. Il Collegio rileva, infatti, come il generale disposto dell’art. 112, comma 3, c.p.a., che prevede l’intentabilità in sede di giudizio di ottemperanza dell’azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione, debba necessariamente coordinarsi con gli ordinari criteri di riparto di giurisdizione e, nello specifico caso, con quanto disposto dal legislatore in materia di giurisdizione sui rapporti di pubblico impiego.
L’azione di “risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato..” (art. 112, comma 3, c.p.a.), ha carattere di cognizione, in quanto l’azione, che viene definita risarcitoria dallo stesso Codice, non è rivolta all'”attuazione” di una precedente sentenza o provvedimento equiparato, ma trova in questi ultimi solo il presupposto.
6.2. Si tratta, a tutta evidenza, di una azione nuova, esperibile proprio perché è l’ottemperanza stessa che non è realizzata, e in ordine alla quale la competenza a giudicare è, per evidenti ragioni di economia processuale e quindi di effettività della tutela giurisdizionale (a prescindere dal rispetto del doppio grado di giudizio), attribuita al giudice dell’ottemperanza (Consiglio di Stato, ad. plen., 15/01/2013, n. 2).
A tale riguardo il Collegio ben conosce che qualunque sia la ragione dell’impossibilità di esecuzione (sia essa oggettiva o riconducibile ad una attività o comportamento inerte dell’Amministrazione), oggetto del risarcimento per equivalente monetario è la lesione stessa della posizione sostanziale accertata dal giudice del cognitorio e coperta dal passaggio in giudicato della relativa decisione e non la sola attività positiva o inerte dell’amministrazione a seguito della sentenza da ottemperare. Non a caso l’art. 112, comma. 3 c.p.a. evidenzia un danno “connesso” alla impossibilità dell’esecuzione e non già “conseguente” a tale impossibilità; dunque non si tratta, necessariamente, di un danno “nuovo”, bensì (anche) del danno accertato con la sentenza passata in giudicato, non più riparabile nelle forme ivi indicate. A questo primo aspetto del danno risarcibile può aggiungersi, qualora questo ricorra in concreto e laddove sia debitamente provato, l’ulteriore danno derivante ex se dall’attività dell’Amministrazione, ad esempio derivante dal provvedimento adottato in elusione o violazione di giudicato e dichiarato nullo dal giudice dell’ottemperanza. Il danno risarcibile consiste quindi nella originaria ed accertata in cognitorio lesione della posizione giuridica sostanziale (Cons. Stato, sez. IV, 16.1.2013, n. 259; Cons. Stato Sez. IV, 16.1.2013, n. 258; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 8.7.2013, n. 3526).
6.3. Anche nel caso di specie, il danno non è meramente conseguente alla mancata attuazione del giudicato, determinandosi al momento dell’atto illegittimo o illecito e in conseguenza della sua illegittimità o illiceità, consistendo la mancata ottemperanza del giudicato non nell’evento generativo del danno ma solo una causa di ulteriore protrarsi degli effetti dannosi.
In questa ipotesi, l’azione risarcitoria è indubbiamente concessa ma deve essere portata davanti al giudice munito di giurisdizione sulla materia sostanziale, in questo caso il rapporto dominicale fra proprietari confinanti, risultando in caso contrario il giudice chiamato ad operare il proprio sindacato su un rapporto ove difetta di giurisdizione.
La ricostruzione della controversia proprietaria a fini risarcitori, con accertamento dei successivi possibili sviluppi e della redditività potenziale del fondo agricolo si sostanzia in una attività del giudice di accertamento dei diritti inerenti al rapporto dominicale e di condanna che presuppone la cognizione piena sulla materia sottostante, che appartiene pacificamente al giudice ordinario, in funzione di giudice dei diritti soggettivi.
Consentire tale accertamento in sede di giudizio di ottemperanza, sia pure a fini risarcitori, comporterebbe una “cognitio” piena del giudice amministrativo sulla vicenda sostanziale con l’effetto che quest’ultimo attraverso il giudizio d’ottemperanza recupererebbe l’ormai ceduto sindacato sul rapporto di pubblico impiego ove difetta di giurisdizione.
6.4. Al riguardo, peraltro, l’esigenza di evitare tale ingerenza sostanziale e il “recupero” di giurisdizione in materie affidate al giudice ordinario è ben presente nella giurisprudenza amministrativa che, come già indicato, richiama tale argomento nel sottolineare il ruolo meramente esecutivo del giudice dell’ottemperanza nei casi di richiesta di esecuzione di giudicati del giudice ordinario (Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2009, n. 561; (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2001, n. 1143).
6.5. Ritiene il Collegio che l’art. 112, comma 3, c.p.a., non possa essere considerato norma sulla giurisdizione e che il suo dettato debba necessariamente interpretarsi alla luce dei generali criteri di riparto di giurisdizione che attribuiscono la materia del pubblico impiego al giudice ordinario.
Qualora si verta su materie sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo, quest’ultimo, anche qualora adito in sede di ottemperanza con azione risarcitoria per mancata esecuzione del giudicato, non potrà estendere la sua cognizione sino ad impingere sulla vicenda sostanziale sottostante.
Il giudice amministrativo dell’ottemperanza infatti non potrà portare il suo scrutinio su una domanda risarcitoria che non si basi sul pregiudizio derivante dal mero ritardo nell’esecuzione, così come pienamente desumibile dalla sentenza azionata, ma presupponga, come nel caso di specie, l’accertamento di aspetti riservati al giudice ordinario, quali l’ipotetica ricostruzione della potenziale redditività del fondo agricolo.
Diversamente opinando, non si comprende come l’azione risarcitoria qualora intentata ab origine, prima dell’intervento del giudicato, risulti indubbiamente di competenza del giudice ordinario mentre, a seguito del giudicato, l’interessato possa scegliere tra proporre azione risarcitoria dinanzi al giudice ordinario, avente giurisdizione sul rapporto, o dinanzi a quello amministrativo in sede di ottemperanza.
6.6. Se tale scelta è possibile per l’azione meramente esecutiva di ottemperanza delle sentenze del g.o., ove il comando da eseguire è perfettamente ed esaustivamente formato dal giudice avente cognizione (il giudizio di ottemperanza è infatti del tutto alternativo all’esecuzione in sede civile), la stessa cosa non è ammissibile per un’azione cognitoria, come quella risarcitoria, dove il giudice non deve a limitarsi a prendere atto ed eseguire quanto contenuto nella sentenza azionata ma deve operare autonomi e spesso complessi accertamenti, non meramente consequenziali rispetto alla sentenza azionata, che presuppongono una piena cognitio della materia sottostante.
6.7. Il Collegio rileva, infine, come possano indubbiamente esistere delle apprezzabili ragioni di economia processuale nel senso, recepito dal codice di procedura amministrativa, di concentrare presso un unico giudice l’azione di ottemperanza e l’azione risarcitoria nel caso in cui l’esecuzione in forma specifica non possa andare a buon fine.
Tali ragioni non possono, però, comportare lo scardinamento degli ordinari criteri di riparto di giurisdizione, né la giurisdizione può essere derogata, secondo la prevalente giurisprudenza, per motivi di connessione (da ultimo in tal senso la recente sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 6/2014 che riporta tale orientamento maggioritario) e, conseguentemente, in presenza di un giudicato del giudice ordinario, l’art. 112, comma 3, c.p.a., deve essere interpretato entro i limiti suindicati (cfr. Tar Napoli, IV, n. 2041 del 2014).
6.8. Sussiste quindi il difetto di giurisdizione dell’adito Giudice Amministrativo sulla domanda risarcitoria formulata, in favore della giurisdizione del Giudice Ordinario, davanti al quale il giudizio potrà essere riassunto, ai sensi dell’art. 11, comma 2, del codice del processo amministrativo, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza, salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda e ferme restando le eventuali preclusioni e le decadenze intervenute.
7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, venendo poste a carico dell’inadempiente Amministrazione, e si liquidano come da dispositivo.                   

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta) accoglie il ricorso indicato in epigrafe nei termini e limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, dichiara l’obbligo del Comune di *** di dare esecuzione in favore della parte ricorrente alla decisione azionata di cui in epigrafe nei termini indicati in parte motiva.
Nel caso di ulteriore inottemperanza, nomina Commissario ad acta il Dirigente dell’Area 15 (Lavori pubblici, opere pubbliche, attuazione, espropriazione) della Regione Campania, con facoltà di delega, che provvederà ai sensi e nei termini di cui in motivazione al compimento degli atti necessari all’esecuzione della predetta sentenza.
Determina fin d’ora in euro 1.400,00 (millequattrocento) il compenso, comprensivo di ogni onere e spesa, da corrispondere a tale Commissario ad acta per l’espletamento di detto incarico, qualora si dovesse rendere necessario lo svolgimento della funzione sostitutoria.
Condanna il Comune suddetto, ex art. 114, comma 4, del codice del processo amministrativo, a corrispondere al ricorrente una somma agli interessi legali per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza nei termini e con le modalità di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Vico Equense al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento), oltre IVA e CPA come per legge, da attribuirsi al procuratore dichiaratosi antistatario.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Anna Pappalardo, Presidente FF
Michele Buonauro, Consigliere, Estensore
Maria Barbara Cavallo, Primo Referendario
Depositata in segreteria il 15 aprile 2016.