Cass., sez. 6-3, ord. 4 ottobre 2016, n. 19814 (Pres. Amendola, rel. Rossetti)

 

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE -3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADELAIDE AMENDOLA – Presidente –

Dott. ULIANA ARMANO – Consigliere –

Dott. RAFFAELE FRASCA – Consigliere –

Dott. LINA RUBINO – Consigliere –

Dott. MARCO ROSSETTI – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso *** proposto da:

I.E. R.G., in persona del titolare, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato O.R. giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.P.V., in persona del Presidente, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato M.V., che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. nn/aaaa della CORTE D’APPELLO di ROMA del ***, depositata il ***;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato O.R. difensore della ricorrente che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato R.O. (delega avvocato M.V.) difensore della controricorrente che si riporta agli scritti.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. G.R. ha impugnato per cassazione la sentenza gg/mm/aaaa n. nn della Corte d’appello di Roma.

Con tale sentenza è stato rigettato il suo appello contro la sentenza gg.mm.aaaa n. nn del Tribunale di Viterbo.

Con tale ultima sentenza era stata rigettata la domanda del danno proposta da G.R. nei confronti della Provincia di V., avente ad oggetto il risarcimento dei danni patiti dal primo in conseguenza di una insidia stradale ascritta a responsabilità della seconda.

2. Coi due motivi di ricorso G.R. deduce in sostanza che:

(a) la Corte d’appello ha violato l’art. 2051 c.c., perché non ha fatto applicazione della presunzione di responsabilità ivi prevista nei confronti della Provincia;

(b) la Corte d’appello ha violato l’art. 112 c.p.c., perché ha ritenuto tardiva l’invocazione di tale norma da parte dell’attore.

3. Il morso appare inammissibile, perché totalmente estraneo rispetto alla reale ratio decidendi posta dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione.

La Corte d’appello ha infatti confermato la decisione di primo grado in base al rilievo che:

(a) la responsabilità del sinistro andava ascritta a colpa esclusiva della vittima;

(b) la relativa statuizione del Tribunale era stata impugnata in modo aspecifico da G.R., ed era quindi inammissibile, ex art. 342 c.p.c.;

(c) in ogni caso, anche nel caso di responsabilità oggettiva (e quindi anche nel caso di applicazione dell’art. 2051 c.c.), il comportamento colposo della vittima è circostanza di per sé sufficiente ad escludere il nesso di causa tra la cosa in custodia ed il danno (così la sentenza p. 7-8).

Nessuna di queste statuizioni è stata impugnata col ricorso per cassazione.

Pertanto, quale che fisse il giudizio che si volesse dare sulle doglianze formulate dal ricorrente, esse comunque non varrebbero a caducare la sentenza impugnata, la quale ha rigettato la domanda per difetto del nesso di causa.

Ed anche a voler applicare al caso di specie l’art. 2051 c.c., è noto come tale norma sollevi il danneggiato dall’onere di provare la colpa del custode, ma non il nesso di causa tra cosa in custodia e danno.

4. Si propone pertanto il rigetto del ricorso, con condanna alle spese”.

2. La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

3. Il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione.

Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dal ricorrente nella propria memoria.

4. Con tale memoria il ricorrente sig. G.R., dopo avere segnalato che la relazione preliminare, dopo avere prospettato l’inammissibilità del ricorso, conclude chiedendone il rigetto, torna a sostenere che la Corte d’appello di Roma avrebbe violato l’art. 2051 c.c., per avere rigettato la domanda di condanna della pubblica amministrazione sebbene questa non fosse riuscita a fornire alcuna prova liberatoria, né a dimostrare la colpa esclusiva della vittima.

Con la medesima relazione, infine, la parte ricorrente eccepisce la nullità della notificazione del controricorso, perché eseguita a mezzo posta elettronica certificata, ma senza che fosse indicato nell’oggetto del messaggio la dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994”.

5. L’eccezione di nullità della notifica del controricorso – da esaminare per prima ex art. 276 c.p.c., comma 2 – è manifestamente infondata. La L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3 bis, comma 4, stabilisce che quando l’avvocato esegue la notificazione di atti processuali per mezzo della posta elettronica certificata, “il messaggio deve indicare nell’oggetto la dizione: “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994”.

Nel caso di specie, il messaggio inviato dall’avv. M.V. (difensore della Provincia di V.) all’avv. O.R. (difensore del ricorrente) reca nel campo dedicato all’oggetto la dizione: “Notifica controricorso in cassazione”. In calce al testo del controricorso è tuttavia estesa la relazione di notificazione, che è intitolata: “Relazione di notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994”.

5.1. Al cospetto d’una notificazione siffatta, nessuna nullità può essere dichiarata, per due ragioni:

(a) la prima ragione è che la L. n. 53 del 1994, art. 11, là dove commina la nullità della notificazione eseguita personalmente dall’avvocato “se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti” non intende affatto sanzionare con l’inefficacia anche le più innocue irregolarità (come già ritenuto da questa Corte: in tal senso, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13758 del 17/06/2014, Rv. 631724);

(b) la seconda ragione è che, a tutto concedere, anche le nullità di cui alla L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 11, sono sanate, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., dal raggiungimento dello scopo: il quale nel nostro caso è certamente avvenuto, dal momento che lo stesso ricorrente mostra di avere ricevuto la notifica del controricorso ed averne ben compreso il contenuto.

6. Quanto al merito del ricorso, le considerazioni svolte nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., depositata dal ricorrente non sono pertinenti.

Nel presente caso, infatti:

(a) il giudice di primo grado ha ritenuto che il sinistro si sia verificato per distrazione della vittima;

(b) G.R. ha impugnato tale statuizione;

(c) la Corte d’appello ha reputato l’impugnazione “inammissibile per carena del requisito di specificità ex cui art. 342 c.p.c.” (così la sentenza d’appello, p. 3, ultimo cpv.).

Ebbene, tanto nel ricorso, quanto nella memoria, il ricorrente non censura tale statuizione, la quale è di per sè sufficiente a sorreggere la decisione qui impugnata.

Ne consegue, da un lato, che vanamente la Corte d’appello si è soffermata sugli altri motivi di impugnazione, dal momento che la ritenuta genericità del secondo motivo dell’appello sarebbe di per sé bastata a dichiarare inammissibile l’intera impugnazione; e dall’altro lato che altrettanto vanamente in questa sede vengono censurate argomentazioni svolte dalla Corte d’appello, per quanto appena detto, solo ad abundantiam.

7. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

8. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.q.m.

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna G.R. alla rifusione in favore di dell’A.P. di V. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 2.900, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di G.R. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 13 luglio 2016.

Il Presidente

(Adelaide Amendola)

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2016