Cass SS.UU. sent. 2 agosto 2012 n. 13794 (Pres. Adamo, rel. Chiarini)

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Procedimento civile – Termini per l’impugnazione – Decorrenza – Dal deposito, non dalla pubblicazione

Corte di Cassazione Sez. Unite Civ. – Sent. del 02.08.2012, n. 13794

Presidente Adamo – Relatore Chiarini

 Svolgimento del processo

Con citazione del 6 marzo 2000 G.P. , titolare della ditta “P. G. F.” convenne dinanzi al Giudice di Pace di Marano A.P. , F.P. , V. , R. e L. chiedendone la condanna al pagamento di L. 3.078.000, oltre interessi e rivalutazione dal 4 febbraio 1992, prezzo di acquisto da parte del comune dante causa F.F. di prodotti fitofarmaci. Il Giudice di Pace con sentenza n. 1344 depositata il 16 marzo 2004 e pubblicata il 22 luglio 2004 ha rigettato la domanda e compensato le spese. G.P. , con atto di citazione notificato il 14 giugno 2005 alle controparti ha interposto appello dinanzi al Tribunale di Napoli. Gli appellati hanno interposto appello incidentale sulla compensazione delle spese disposta dal giudice di primo grado. Il Tribunale, con sentenza depositata il 21 dicembre 2009, pubblicata il 19 febbraio 2010, dopo aver dato atto che l’appellante P.G. in comparsa conclusionale aveva affermato di aver notificato la sentenza di primo grado il 4 ottobre 2004 senza tuttavia provarlo, ha dichiarato l’appello comunque inammissibile a norma dell’art. 327, comma 1, cod.proc.civ. – nella formulazione anteriore alla modifica apportata dall’art. 46, comma 17, legge 18 giugno 2009 n. 69, applicabile alle controversie instaurate prima del 4 luglio 2009 (art. 58, primo comma, legge del 2009 n. 69) – essendo decorso il termine di un anno (e quarantasei giorni ai sensi dell’art. 1, primo comma, legge 7 ottobre 1969 n. 742) dalla pubblicazione della sentenza che, a norma dell’art. 133 cod. proc. civ., applicabile al procedimento dinanzi al giudice di pace per il rinvio operato dall’art. 311 cod. proc. civ., avviene mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata e di cui il cancelliere da atto, a norma del secondo comma del medesimo articolo 133 cod. proc. civ., apponendo in calce alla sentenza data e firma, e dandone comunicazione entro cinque giorni alle parti costituite, mediante biglietto di cancelleria. Ma da quest’ultimo adempimento, prosegue il Tribunale, non può decorrere il termine per impugnare perché l’attività partecipativa del cancelliere dell’avvenuta pubblicazione è estranea al relativo procedimento e non integra un elemento costitutivo né integrativo dell’efficacia della sentenza, potendo anche mancare. D’altro canto la lunghezza del termine annuale consente alla parte diligente di informarsi tempestivamente dell’esito del giudizio che la riguarda e perciò è manifestamente infondata la denunzia di contrasto dell’art. 327 cod. proc. civ. con l’art. 24 Costit. che peraltro la Corte Costituzionale (sentenza 584 del 1990) ha dichiarato inammissibile spettando al legislatore l’eventuale modifica del sistema normativo. Applicati questi principi alla fattispecie il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello poiché la sentenza del giudice di pace è stata depositata, come attestato con timbro – datario recante il nome del cancelliere, C. A., e dalla sua sottoscrizione, il 16 marzo 2004, e “pubblicata”, secondo il sottostante timbro – datario, anch’ esso sottoscritto dal cancelliere, il 22 luglio 2004. Perciò questa seconda annotazione dell’ufficio di cancelleria concerne gli adempimenti ad essa incombenti a rilevanza interna, e quindi, impropriamente denominata “pubblicazione della sentenza”, non è idonea a modificare gli effetti della già eseguita ed irrevocabile pubblicazione di essa. Ne consegue che il termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ. è scaduto il 2 maggio 2005, e che la consegna dell’atto di appello all’ufficiale giudiziario il 10 giugno 2005, è tardiva. Dall’inammissibilità dell’appello principale consegue l’inammissibilità degli appelli incidentali tardivi, a norma dell’art. 334, secondo comma, cod. proc. civ. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.G. , con atto consegnato all’ufficiale giudiziario il 24 maggio 2010. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Segnalato il contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione dell’art. 133 cod. proc. civ. nel caso in cui la sentenza presenti una scissione temporale tra deposito e pubblicazione secondo la duplice attestazione del cancelliere, il ricorrente ha chiesto l’assegnazione della causa alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 376 cod. proc. civ. e depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 1.- Con unico motivo il ricorrente deduce: “Falsa applicazione dell’art. 133 c.p.c.. Violazione e falsa applicazione degli artt. 327-311 e 321 c.p.c., art. 360 n. 3 c.p.c.” in quanto l’art. 275 c.p.c. riferentesi al Tribunale in composizione collegiale, dispone che rimessa la causa al collegio, la sentenza è depositata in cancelleria entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di cui all’art. 190 c.p.c. Analogamente dispone l’art. 352 c.p.c. per il giudizio di appello e l’art. 281 quinquies per il Tribunale in funzione monocratica, assegnando il termine di trenta giorni per il deposito mentre per il giudice di pace il termine di deposito – art. 321 c.p.c. – è di quindici giorni. Questa è la normativa che attiene al deposito della sentenza da parte del giudice, mentre la pubblicazione è resa dal cancelliere (organo giudiziario ai sensi dell’art. 745 c.p.c.) mediante deposito (cronologicamente certificato) nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata e di questa attività il cancelliere da atto in calce alla sentenza attribuendole un numero progressivo cronologico e divenendone così il depositario ai sensi degli artt. 744 e 745 cod. proc. civ. Invece con il deposito della sentenza in cancelleria da parte del giudice la sentenza esiste ed ha vita autonoma, tant’è che da quel momento è immodificabile, ma non è pubblica poiché questa attività è successiva ed avviene quando il cancelliere iscrive nel libro – giornale degli atti (cronologico) la sentenza e le conferisce un numero, momento dal quale soltanto la sentenza è giuridicamente esistente per gli interessati e le parti possono chiedere copia ed avere cognizione dell’atto che il cancelliere, divenutone depositario, deve rilasciare, e decorre il termine per l’impugnazione. Una diversa interpretazione sottrarrebbe ingiustificatamente tempo alle parti, non per tutti uguale, per l’impugnazione. Diversa finalità ha la comunicazione alle parti che la sentenza è rinvenibile nei registri di cancelleria, raggiungibile anche con la solerzia della parte.

Il motivo è infondato.

1.1 – La sentenza del giudice esiste giuridicamente e tutti ne hanno scienza legale con la pubblicazione, a cura del cancelliere.

1.2 – Le fasi che precedono la formazione della sentenza sono la deliberazione del giudice ed il deposito in cancelleria del documento che la contiene se la decisione è scritta. Alla decisione del giudice di pace si applicano (art. 311 cod. proc. civ.) le norme stabilite per la decisione del Tribunale in composizione monocratica (capo terzo – bis, inserito, con efficacia dal 2 giugno 1999, dall’art. 68 D.lgs 19 febbraio 1998 n. 51), che può avvenire a seguito di trattazione scritta o mista – art. 281 quinquies cod. proc. civ., analogo all’art. 275 cod. proc. civ. per la deliberazione collegiale del Tribunale – o a seguito di discussione orale (art. 281 sexies cod. proc. civ.). Se la decisione è scritta il giudice può consegnare la minuta al cancelliere per la redazione dell’originale – o per il completamento di alcune parti della sentenza (art. 132 nn. 1, 2 e 3) – secondo l’iter disciplinato per la deliberazione del Tribunale in composizione collegiale (art. 132, ultimo comma, cod. proc. civ. come sostituito dall’art. 6 legge 8 agosto 1977, n. 532, da coordinare con gli artt. 275 e 276 cod. proc. civ.) dall’art. 119 delle disposizioni di attuazione del cod. proc. civ., approvato con R.D. 18 dicembre 1941 n. 1368 che infatti dispone: “L’estensore deve consegnare la minuta della sentenza da lui redatta al presidente del tribunale o della sezione. Il presidente, datane lettura, quando lo ritiene opportuno, al collegio, la sottoscrive insieme con l’estensore (art. 132, ultimo comma, cod. proc. civ.) e la consegna al cancelliere, il quale scrive il testo originale o ne affida la scritturazione al dattilografo di ruolo sotto la sua direzione, a norma dell’art. 132 del codice. Il presidente e il giudice relatore, verificata la corrispondenza dell’originale alla minuta consegnata al cancelliere, sottoscrivono la sentenza”. Secondo l’art. 57 cod. proc. civ. primo comma, cod. proc. civ. che prescrive: “Il cancelliere documenta a tutti gli effetti, nei casi e modi stabiliti dalla legge, le attività proprie e degli organi giudiziari”, questa attività del giudice è attestata con l’apposizione della data e della firma del cancelliere, previa specificazione sul documento che esso contiene la minuta della sentenza. Ma tale fase, successiva alla deliberazione, è ancora interna al relativo procedimento e perciò la decisione contenuta nella minuta può esser modificabile (Cass. 5245 del 2009), e deve esser modificata nel caso di ius superveniens applicabile, processualmente o sostanzialmente, al rapporto controverso (Cass. 5855 dei 2000).

Qualora invece alla redazione integrale della sentenza provveda direttamente il giudice estensore – ormai solitamente in formato elettronico, anche in previsione dell’entrata in vigore delle regole e specifiche tecniche dettate (artt. 15, 16 e 34) dal regolamento contenuto nel D.M. della Giustizia 2011 n. 44 emanato per l’adozione nel processo civile delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione del Dlgs 7 marzo 2005 n. 82 e succ. mod. ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, del D.L. 29 dicembre 2009 n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24 –

2.- Anche nel codice di procedura civile approvato con R.D. 25 giugno 1865 n. 2366 la minuta della decisione pronunziata dai Tribunali civili e dalle Corti di Appello era consegnata al cancelliere per la redazione dell’originale della sentenza secondo il disposto dell’art. 266: “i motivi della sentenza sono dal giudice incaricato stesi di seguito al dispositivo e indi presentati al presidente, il quale dopo averne data lettura al tribunale ed avervi scritto a margine l’oggetto del giudizio… li sottoscrive unitamente al compilatore, e li consegna al cancelliere. Il cancelliere scrive immediatamente l’originale della sentenza e lo presenta al presidente il quale, verificatane la perfetta concordanza colla minuta, lo fa sottoscrivere da tutti i votanti”), e al cancelliere era demandata la pubblicazione della sentenza, che avveniva in forma solenne mediante lettura dei nomi, del domicilio o della residenza delle parti, e del dispositivo (art. 360 numeri 1, 2, 3, 7 e 8 cod. proc. civ. e art. 198 Reg. Decr. n.2600/1865), in apposita udienza se la sentenza era pronunziata dal Pretore (art. 437, primo comma, cod. proc. civ.) e “non più tardi della prima udienza successiva al giorno in cui fu sottoscritta” [da tutti i giudici che l’hanno pronunziata e dal cancelliere (art. 360 n. 9)] se la sentenza era pronunziata dai giudici dei Tribunali o di Corte di Appello, “anche in udienza successiva alla deliberazione (art. 357, secondo comma,cod. proc. civ.)”, senza necessità che a detta udienza fossero presenti gli stessi giudici che l’avevano pronunziata. Per il codice del 1865 però dalla pubblicazione della sentenza derivava la sua esistenza giuridica, immutabilità per il giudice, conoscenza legale per tutti, ma non decorrevano i termini per impugnarla (art. 465 cod. proc. civ.) essendo a tal fine necessaria la notifica (artt. 367 e 467 cod. proc. civ., salvo per le sentenze dei pretori o conciliatori pubblicate alla presenza delle parti: art.437, secondo comma cod. proc. civ.), ad iniziativa di parte o a cura del cancelliere (al domicilio eletto o dichiarato o in mancanza al procuratore, e se mancante alla cancelleria: art. 396 primo e secondo comma cod. proc. civ. G). Avvenuta la pubblicazione della sentenza il cancelliere aveva l’obbligo di:
a) partecipare, per mezzo dell’usciere di servizio, il dispositivo ai procuratori delle parti (art. 268 R.D. n.2600/1865); b) apporre alla sentenza la data e un’altra sottoscrizione; c) annotare “immediatamente nel registro dei processi (art. 192 n. 1 regolamento cod. proc. civ.) se tutte le parti siano state presenti alla pubblicazione, indicando, ove occorra, il nome e cognome degli assenti” (art. 198, secondo comma, regolamento), e annotarla in quello delle sentenze (art, 192, primo comma n. 4, per le sentenze del Pretore e art. 275 n. 4 del regolamento gen. giud. per le sentenze dei Tribunali e delle Corti di appello); d) rilasciare copie della medesima (art.55 cod. proc. civ.).
2.1- La mancanza di una norma sulla prescrizione del diritto ad impugnare le sentenze, nel codice del 1865 costituiva fonte di dibattito in dottrina e giurisprudenza perché sussisteva l’esigenza di tutelare l’interesse pubblico alla stabilizzazione degli effetti della sentenza sui rapporti giuridici secondo il dictum imperativo del giudice (res iudicata pro veritate accipitur) e perciò, anche secondo qualche pronuncia di legittimità (Cass. 30 settembre 1955 n. 2729), poteva prendersi a riferimento la costituzione piemontese secondo cui la sentenza era inoppugnabile decorsi trent’anni dalla pubblicazione.
Era quindi ormai improcrastinabile individuare un momento oggettivo ed uguale per tutti a decorrere dal quale, se la sentenza non era impugnata entro un ragionevole lasso di tempo predeterminato, diveniva immutabile, a prescindere dalla scienza effettiva derivante dalla sua comunicazione o notificazione, con conseguente irrilevanza degli eventuali vizi delle relative attività, ovvero del termine breve di impugnazione dalla notifica della stessa, se successiva allo spirare del termine lungo. Pertanto nel nuovo codice di rito, approvato con R.D. 28 ottobre 1940 n. 1443, stimato congruo in diversi progetti di studiosi il termine di decadenza di un anno, fu individuata la pubblicazione della sentenza come dies a quo (art. 327, primo comma, cod. proc. civ.) per proporre l’appello, il ricorso per cassazione, la revocazione per i motivi indicati nei nn. 4 e 5 dell’art. 395 cod. proc. civ., e, tra le varie forme di pubblicazione proposte, prevalse quella più semplice dell’attestazione del deposito della sentenza da parte del cancelliere (art. 133 cod. proc. civ.), rimettendo così alla diligenza che il difensore deve in “rebus suis” l’onere di informarsi dell’esito del giudizio, di cui conosce la data della deliberazione, in tal modo garantendo l’indispensabile esigenza di stabilità delle decisioni senza vulnerare il diritto di difesa (Cass. S.U. primo dicembre 1994 n. 954, Corte Costituzionale sentenze nn. 584 del 1990 e 297 del 2008 e ordinanza n. 129 del 1991).

3.- La disposizione contenuta nell’art. 133 cod. proc. civ., consta di due proposizioni: “La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata. Il cancelliere da atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma”.

Quindi l’attività del cancelliere per la pubblicazione della sentenza è ricognitiva della completezza del documento, in originale, che la contiene, vincolata nel quomodo – mediante apposizione di data e firma in calce – e nel quando, dovendo egli dare atto del deposito, e perciò nel luogo e nella data in cui avviene (attestazione assistita dalla presunzione di veridicità fino a querela di falso: art. 2700 cod. civ., Cass. 22 aprile 2009 n. 9622 e 23 luglio 2009 n. 17290). E poiché la norma dispone “la sentenza è resa pubblica mediante deposito”, la pubblicazione è effetto legale della certificazione da parte del cancelliere della consegna ufficiale della sentenza, ed in tal modo egli completa il procedimento di pubblicazione che la norma prevede senza soluzione di continuità tra la consegna ed il deposito non avendo il legislatore accolto il progetto secondo cui doveva essere mantenuto l’annuncio del cancelliere in udienza previsto nel codice del 1865 attesa la gravità degli effetti derivanti dalla pubblicazione, volendo privilegiare l’interesse a realizzare immediatamente e direttamente, erga omnes, in modo oggettivamente e legalmente certo – mediante la firma del pubblico ufficiale fidefacente – il fine pubblico della conoscibilità del provvedimento giurisdizionale.

3.1- Similmente, per la mancanza di scansione temporale tra l’attività del giudice e quella del cancelliere, avviene nel caso di decisione a seguito di trattazione orale – art. 281 sexies cod. proc. civ. – in cui la sentenza – documento (semplificata poiché al termine della discussione il giudice da lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione) “si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene” “ed è immediatamente depositata in cancelleria”, e quindi il deposito deve avvenire subito dopo l’esternazione della sentenza. E poiché la lettura del provvedimento in udienza e la sottoscrizione del verbale che lo contiene da parte del giudice equivalgono alla pubblicazione prevista dal precitato art. 133 cod. proc. civ., esonerano il cancelliere dalla comunicazione alle parti, presumendosi iuris et de iure il provvedimento conosciuto dalle stesse (Cass. 24 luglio 2007 n. 16304, 23 settembre 2010, n. 20092), e da questa data decorre il termine lungo per impugnarla (Cass. 22 novembre 2010 n. 22659). Dunque il cancelliere non ha la facoltà di scindere l’unitario procedimento di pubblicazione della sentenza segmentando in fasi successive l’attività di deposito da parte del giudice della sentenza completa ed originale, dalla sua attività di pubblicazione della stessa.

3.2- Tuttavia talvolta, negli uffici giudiziari particolarmente oberati di lavoro, il cancelliere dapprima attesta, ai fini e per gli effetti di cui agli artt. 2699 cod. civ. e 57 cod. proc. civ., la data di deposito della sentenza, originale, completa, non necessitante di integrazione alcuna e successiva collazione; successivamente dichiara, in altra data da egli autonomamente determinata, che la sentenza “è pubblicata”. Quindi il cancelliere provvede da quest’ultima data a: a) documentare mediante iscrizione nel registro cronologico e di repertorio, per gli atti soggetti a registrazione, l’esistenza e la data dei provvedimenti del giudice “appena formati se compilati dal cancelliere o compiuti con il suo intervento”, con numerazione progressiva annuale (da riportare a margine dell’atto: art. 34 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile approvato con R.D. 18 dicembre del 1941 n. 1368); b) dare notizia del deposito della sentenza “entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il dispositivo” “alle parti che si sono costituite” (artt. 133, seconda parte cod. proc. civ. e 45 disp. att. cod. proc. civ.); c) trasmettere all’Ufficio del Registro gli originali delle sentenze per la registrazione a carico dei soggetti obbligati (artt. 10, n. 3 e 13, terzo comma 14 decreto Presidente della Repubblica del 26 del 26 aprile 1986 n. 131). Le persone dal medesimo autorizzate (D.M. Giustizia del 27 marzo 2000 n. 264, sulla tenuta dei registri di cancelleria, art. 16), al momento del deposito, devono inoltre: 1) fare la copia digitale, da conservare nell’archivio di cui all’articolo 15, comma 1; 2) acquisire nell’archivio digitale ogni annotazione riportata sull’originale del provvedimento; 3) autenticare la copia informatica del provvedimento e le successive annotazioni mediante la firma digitale”, divenendone così depositane ai sensi degli artt. 744 e 745 cod. proc. civ.

3.3 – La data di deposito della sentenza diversa da quella di pubblicazione ha dato origine al contrasto tra due diversi orientamenti di legittimità che queste Sezioni Unite sono chiamate a comporre: il primo e maggioritario secondo cui, per effetto dell’art. 133 cod. proc. civ., la sentenza è resa pubblica mediante il deposito risultante dall’annotazione apposta dal cancelliere in calce alla sentenza, con conseguente irrilevanza della diversa attestazione del cancelliere “sentenza pubblicata” in data successiva a quella in cui la sentenza risulta depositata in cancelleria (ex multis Cass. 732 del 1990, 2382 del 1994, n. 17290 del 2009 cit., 2740 e 24178 del 2011), perché la suddetta norma prescrive, se al cancelliere è consegnata la sentenza originale e ufficiale, che egli, accertatane la rispondenza ai requisiti prescritti dall’art. 132 cod. proc. civ., da atto del deposito, ed è in questa data che la sentenza “è resa pubblica” (Cass. 2084 del 1992, n. 20858 del 2009), con la conseguenza che l’eventuale successiva data di “pubblicazione”, non può attestare un evento già legalmente verificatosi.
L’altro, minoritario, secondo cui se sulla sentenza pubblicata appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l’altra, successiva, di “pubblicazione”, indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest’ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine lungo per l’impugnazione dovendosi considerare la prima data come se fosse stata depositata la minuta della sentenza (Cass. 12681 del 2008, 14862 del 2009, 13179 del 2011). Ma in tal modo questo secondo orientamento, quoad ad effectum, non distingue tra la consegna al cancelliere della sentenza in originale e completa in ogni sua parte, dalla consegna della minuta per la redazione del testo della sentenza – ovvero per il suo completamento perché ancora da “controfirmare” dal Presidente ovvero da integrare con “l’intestazione” (cioè con l’epigrafe e le conclusioni delle parti, a cura della cancelleria)” – e rimette al cancelliere di stabilire quando termina la fase endoprocedimentale che secondo l’art. 119 disp. att. cod. proc. civ. finisce con il perfezionamento documentale della sentenza secondo il modello di cui all’art. 132 cod. proc. civ. e la sua consegna ufficiale in cancelleria, e di decidere quando dare atto del deposito “nel senso proprio di cui all’art. 133″, sì da poter scandire i tempi di compimento delle successive attività amministrative che le norme gli prescrivono compatibilmente con il carico di lavoro dell’ufficio (Cass. 17613 del 2011, in motivazione). Invece le norme che disciplinano il deposito della sentenza attribuiscono al giudice la responsabilità di stabilire il momento di compimento dell’attività giurisdizionale di decisione della causa – art. 281 quinquies primo comma: “Il giudice… deposita la sentenza in cancelleria,.”; art. 281 sexies: “.. il giudice pronuncia la sentenza.. che si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene..”; art. 321 secondo comma cod. proc. civ.: “La sentenza è depositata in cancelleria..”; artt. 132, ultimo comma, e 119 disp. att. cod. proc. civ.: “il Presidente e il giudice estensore sottoscrivono la sentenza” (Cass. 8979 del 2011, in motivazione), e non lasciano nessun margine di discrezionalità al cancelliere sulla data in cui darne atto. Quindi l’orientamento minoritario, inconciliabile con l’interpretazione letterale, teleologia e storica dell’art. 133, correlato all’art. 327 primo comma cod. proc. civ., non può avere seguito neppure per “non sottrarre alle parti una frazione, che può essere anche molto consistente, giungendo in situazioni patologiche ad alcuni mesi, del tempo utile per l’impugnazione”. Infatti, come innanzi evidenziato, il difensore ha l’obbligo di svolgere il mandato con la diligenza in rebus suis e perciò non soltanto di informarsi periodicamente dell’esito della causa, ma anche, allorché è reso edotto che il deposito della sentenza è avvenuto, di compiere da questa data tutte le attività che reputa nell’interesse del cliente, senza confidare su un’interpretazione dell’art. 133 cod. proc. civ. secondo la quale il dies a quo decorre dalla pubblicazione, se successivamente avvenuta, ovvero attendere che questa venga attestata autonomamente dal deposito della sentenza.

3.4 – È da aggiungere che la certificazione del deposito della sentenza è formalità estrinseca all’atto cui accede e perciò la sua mancanza o incompletezza non determina la nullità del provvedimento, neanche sotto il profilo del carente coordinamento con lo scopo di determinare il “dies a quo” del termine di impugnazione, atteso che con l’uso della normale diligenza, è possibile identificare la data di deposito attraverso la consultazione dell’originale del provvedimento o delle annotazioni del cancelliere contenute nel registro cronologico e nel registro di repertorio, ovvero desumerla da atti aventi analoga efficacia di certezza legale, quali l’apposizione della formula esecutiva in calce alla sentenza o la comunicazione alle parti (art. 136 cod. proc. civ.).

3.5 – Qualora poi il giudice dell’impugnazione ravvisi, anche d’ufficio, grave difficoltà per l’esercizio del diritto di difesa determinato dall’aver il cancelliere non reso conoscibile la data di deposito della sentenza prima della pubblicazione della stessa, avvenuta a notevole distanza di tempo ed in prossimità del termine di decadenza per l’impugnazione, la parte potrà esser rimessa in termini ai sensi del vigente art. 153, secondo comma, cod. proc. civ.

3.6 – Deve perciò escludersi, per tutelare l’affidamento generale e a garanzia dell’immediatezza e della certezza degli effetti giuridici che derivano dalla pubblicazione della sentenza, che il cancelliere possa apporre un’attestazione di pubblicazione della sentenza successiva a quella di deposito della stessa, perché nel caso egli debba attestare ai sensi dell’art. 57 cod. proc. civ. il deposito della minuta della sentenza, lo deve espressamente specificare, e va perciò affermato che qualsiasi ultronea “pubblicazione” in data successiva a quella di deposito è arbitraria perché il cancelliere non può aggiungere un’attività di pubblicazione che la legge non prevede separatamente dall’attestazione di deposito, né rendere pubblica la sentenza quando si determina a farlo. Di conseguenza ogni altra data apposta sulla sentenza successivamente a quella di deposito di essa è priva di qualsiasi rilevanza per gli effetti giuridici che la legge fa derivare dalla sua pubblicazione.

4.- Nella fattispecie, avvenuta anteriormente al contrasto tra i due indirizzi di legittimità che queste Sezioni Unite compongono, il giudice di secondo grado ha escluso che G..P. sia decaduto dalla proposizione dell’appello per causa non imputabile (art. 184 bis cod. proc. civ. ratione temporis applicabile), avendo evidenziato che dalla pubblicazione della sentenza, ancorché avvenuta dopo oltre quattro mesi dall’attestazione di deposito della stessa, alla data in cui è stato consegnato l’atto di appello all’ufficiale giudiziario, sono decorsi undici mesi e perciò ha escluso l’affidamento incolpevole dell’appellante secondo i principi affermati da questa Corte (Cass. 17704 del 2010), e sul punto non vi è impugnazione.
Conclusivamente il ricorso va respinto e ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. va enunciato il seguente principio di diritto: “A norma dell’art. 133 cod. proc. civ. la consegna dell’originale completo del documento – sentenza al cancelliere nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata, avvia il procedimento di pubblicazione della sentenza che si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l’apposizione, in calce alla sentenza, della firma e della data del cancelliere che devono essere contemporanee alla data della consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge. È pertanto da escludere che il cancelliere, nell’espletamento di tale attività preposto alla tutela della fede pubblica (art. 2699 cod. civ.), possa attestare che la sentenza, già pubblicata per effetto dell’art. 133 cod. civ. alla data del suo deposito, è pubblicata in data successiva, e se sulla sentenza sono stati apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento depositato contiene la minuta della sentenza, e l’altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono dalla data del suo deposito”. Non si deve provvedere sulle spese non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Depositata in Cancelleria il 02.08.2012