App. Milano, sent. 28 febbraio 2014 (est. Curcio)

Sentenza n.

Registro generale n. nn/aaaa   Appello Lavoro

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Milano, sezione lavoro, composta da:

 

Laura CURCIO                  PRESIDENTE rel.

CARLA BIANCHINI            CONSIGLIERE

Angela CINCOTTI             CONSIGLIERE

 

ha pronunciato  la seguente

SENTENZA

[…]

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

 

Con ricorso depositato in data 13.11.2013 il CFA ha proposto reclamo avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando l’ordinanza emessa in data 18 dicembre 2012 dal medesimo Giudice nella fase sommaria , ha accolto il ricorso di FC,  annullando il licenziamento comminatogli dal Centro ed ordinando la reintegrazione del medesimo nel posto di lavoro .

Il Tribunale ha ritenuto che il convenuto non avesse fornito la prova della sussistenza dell’illecito disciplinare contestato al C, medico in turno notturno preso la clinica , a cui era stato addebitato l’abbandono del posto di lavoro durante tale turno.

Il reclamante  ha preliminarmente lamentato la nullità della sentenza per difetto di capacità del giudice che l’ha pronunciata, ai sensi degli att.158 e 161 c.p.c., nel merito, ritenendo comunque errata l’interpretazione data dal  primo giudice alla nozione di “abbandono del posto di lavoro”, ha sostenuto che tale abbandono si sarebbe invece realizzato, atteso che il C, in turno notturno presso l’Ospedale la notte tra il 1° ed il 2 settembre, non aveva risposto alle ripetute chiamate sul cercapersone effettuate dal personale infermieristico, rendendosi irreperibile. Il reclamante ha poi ritenuto errata anche la valutazione del primo giudice delle dichiarazioni del C fornite nel libero interrogatorio che avrebbero contenuto confessorio, avendo egli riconosciuto di non aver risposto alla chiamata. Ha comunque ritenuto, in via subordinata, non applicabile la reintegrazione, ma applicabile il comma 5° dell’art. 18 come riformato dalla legge n.92/2012, che prevede la sola condanna all’indennità risarcitoria.

Il C ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso  per essere la sentenza passata in giudicato in data 19.6.2013, ciò in quanto la parte reclamante  aveva avuto comunicazione, in data 20.5.2013 , da parte della cancelleria del Tribunale di Milano del deposito della sentenza reclamata , ma non aveva proposto il gravame nei trenta giorni successivi,  come previsto dal comma 58 dell’art.1 della legge n. 92 citata , bensì solo in data 13.11.2013. Ha anche eccepito il reclamato  la tardività comunque della notifica del reclamo. Nel merito e in via del tutto subordinata, il reclamato ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.

All’udienza del 22.1.2014 la Corte ha autorizzato la parte reclamante al deposito di note di udienza ed ha quindi concesso termine alla parte reclamata per controdeduzioni in relazione alle questioni processuali preliminari .

All’udienza del 18.2.2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

 

1) Sull’eccezione preliminare di inammissibilità del reclamo

Secondo il C il reclamo del CFA sarebbe inammissibile perché proposto oltre il  termine di  decadenza  di 30 giorni dalla comunicazione di cancelleria , previsto dall’ art.1 comma 58 della legge n.92/2012.

L’eccezione ad avviso di questa Corte non è fondata.

Ed infatti la norma in esame prevede , nell’ ottica di particolare celerità che il legislatore ha voluto imprimere al  procedimento  previsto per i licenziamenti regolati dall’art.18 legge n.300/70 , che la fase di reclamo debba essere introdotta entro un termine breve di 30 giorni ed a tale fine è stata prevista , come equipollente della notifica effettuata dalla parte, anche la comunicazione della sentenza  da parte della cancelleria. Sono quindi possibili due modalità  alternative di conoscenza del provvedimento per far decorrere i termini per l’impugnativa in sede di reclamo . Non a caso la norma stabilisce che tale termine non possa superare in ogni caso i trenta giorni,  sia in caso di comunicazione effettuata dalla cancelleria , sia in caso di notifica effettuata dalla parte vittoriosa , facendo comunque decorrere dalla data di notificazione tale termine  , ove quest’ultima sia effettuata prima della comunicazione di cancelleria.

La previsione del  termine   breve di 30 giorni per proporre reclamo anche in caso di comunicazione  deve necessariamente  richiedere allora che con tale atto la cancelleria comunichi  non solo l’avvenuto deposito della sentenza, ma anche il  provvedimento in maniera integrale. Tale interpretazione del resto è suffragata da quanto statuito dal comma 61 dell’art.1della legge  citata, che testualmente dispone :” in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza , si applica l’art.327 c.p.c.”.

Tali previsioni  ad avviso della Corte  sono specificamente contenute   nella legge 92/12 che comprende non solo disposizioni sostanziali, ma anche processuali relativamente allo specifico rito previsto.

Ma anche facendo riferimento alle nuove regole processuali in tema di comunicazioni,  deve ricordarsi che il DL 18.10.2012 n.179  convertito nella legge n.221/2012 ha apportato significative modificazioni all’art.45 delle disposizioni di attuazione che regola le comunicazioni effettuate mediante il cd “biglietto di cancelleria” di cui all’art.136  c.p.c. . In particolare la nuova formulazione del citato art.45 prevede ora, al secondo comma,  che  il biglietto di cancelleria deve contenere  in ogni caso “ il nome delle parti ed il testo integrale del provvedimento comunicato” .

Al caso in esame  si applica certamente questa  nuova disciplina , entrata in vigore il 20.10.2012 e  comunque al più tardi il 13.2.2013 (a seconda delle diverse date di entrata a regime delle comunicazione a mezzo PEC) , perché la sentenza reclamata è stata emessa il 17 maggio 2013 e comunicata ai difensori il 20.5.2013. Risulta dai documenti allegati e peraltro non  è contesto tra le parti che la comunicazione della cancelleria  effettuata ai difensori ,  entrambi  muniti di indirizzo PEC regolarmente comunicato,  non conteneva il testo integrale della sentenza, ma esclusivamente un’ indicazione di “accoglimento parziale” del ricorso in opposizione.

Tale comunicazione,  dunque, sia con riferimento alle norme prima ricordate della legge n.92/2012, sia con riferimento al citato art.45 delle disposizioni di attuazione al c.p.c. , non era idonea a raggiungere lo scopo di una piena  conoscenza della  sentenza da parte dei destinatari , presupposto necessario per far decorrere  il termine breve  ed inderogabile di trenta giorni per la proposizione del reclamo (come  previsto dalla legge 92/12,   nel combinato disposto di cui ai commi 58 e comma 61 dell’art.1 citato).

Conseguentemente il deposito del reclamo effettuato dal CFA entro il termine di sei mesi di cui all’art.327 c.p.c  deve ritenersi regolare . La diretta  previsione   di applicazione del termine ordinario di cui al citato art.327   comporta , ad avviso della Corte , la non necessità  di una  domanda specifica del reclamante  diretta a far dichiarare la nullità della comunicazione, perché appunto l’effetto  in qualche modo “sanzionatorio” della mancata comunicazione anche della sentenza è già automaticamente previsto dalla legge.

Il reclamo deve , pertanto,  ritenersi ammissibile.

Va poi  rilevato che  se è vero che la notifica del reclamo si è perfezionata solo in data 17.12.2013 , come eccepito dalla difesa del C, è vero anche che  tra la notifica del reclamo e la data dell’udienza del 22.1.2014 risultano comunque ampiamente rispettati  i 25 gg liberi di cui all’art.435 c.p.c , avendo peraltro il reclamante richiesto la notifica in tempo utile in data 6.12.2013.

Va peraltro osservato che il reclamato, pur avendo eccepito  la violazione del più ampio termine previsto per la procedura del gravame di cui all’art.1  comma 58  citato  (che in realtà si limita ad un frettoloso  richiamo delle norme contenute nei commi 51,52,53  che regolano i termini di notifica del ricorso e di costituzione dell’opposto in primo grado ) ,  ha  comunque svolto le sue difese anche nel merito. Inoltre la Corte all’udienza del 22.1.2013  ha disposto un rinvio  autorizzando il reclamato  al deposito di memoria di replica  alle note prodotte dal reclamante ,  sul punto nella memoria  non è stata riproposta alcuna eccezione. Pertanto ad avviso della Corte si deve  ritenere validamente instaurato il contraddittorio.

 

2) Eccepita nullità della sentenza per difetto di capacità del giudice .

Il reclamante lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 158 e 161 c.p.c. per difetto di capacità del giudice l’ ha pronunciata , che avrebbe dovuto astenersi , avendo  emesso l’ordinanza della prima fase del giudizio, poi opposta.

Sul punto si  rileva  che l’odierno reclamante pur avendo presentato nel corso del giudizio di opposizione un’istanza  al Presidente del Tribunale sezione Lavoro di riassegnazione ad altro giudice della causa , richiamando l’art.51 n.4 in tema di obbligo del giudice di astensione , non ha di fatto presentato istanza di ricusazione ai sensi dell’art.52 c.p.c. . 

La mancata istanza di ricusazione non consente di eccepire la  nullità della sentenza come  motivo di gravame , come già osservato da questa Corte nella  sentenza n.339/1013 est. Cincotti , in cui si  precisa :  “ il motivo di astensione di cui all’art.51 comma 1 n. 4  c.p.c. , che la parte non abbia fatto valere in via di ricusazione del giudice  ai sensi dell’art.52 c.p.c.  non può essere invocato in seguito in sede di gravame , non trovando deroga neppure qualora venga dedotta la tardiva conoscenza della composizione dell’organo giudicante”.

Tale conclusione  tiene conto dell’orientamento consolidato della Suprema Corte secondo cui la violazione dell’obbligo di astensione può essere fatto valere solo con  relativa istanza di ricusazione ex art.52 c.p.c. e non come motivo di nullità della sentenza ex art.161 c.p.c. , tranne nel caso in cui si faccia valere la nullità della sentenza per interesse proprio e diretto in causa da parte del giudice ( così Cass. N.12263/2009).

 

3) Sui motivi di merito

Il reclamante lamenta un’erronea interpretazione da parte del primo giudice  della nozione di abbandono del posto di lavoro e la violazione dell’art.11 del ccnl  applicato al rapporto , come anche un’ erronea valutazione delle risultanze istruttorie e un’erronea valutazione delle dichiarazioni confessorie del medesimo C nel libero interrogatorio.

In particolare il reclamante sostiene che il primo giudice abbia erroneamente ritenuto non sussistere la fattispecie di illecito disciplinare contestato, per non essersi allontanato dal nosocomio , mentre invece la condotta tenuta dal medico non avrebbe potuto che ricondursi a tale mancanza , in quanto egli si era reso del tutto irreperibile , sebbene più volte ricercato dagli infermieri, durante l’intero turno notturno. Secondo il reclamante poi nessuna rilevanza avrebbe avuto, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, la circostanza della esistenza di una stanza messa a disposizione del personale medico, di notte, per riposo in caso di assenza di chiamate.

Tali motivi sono infondati.

Con la lettera di contestazione del 19.9.2019 il CFA ha contestato al dottor C la specifica mancanza disciplinare di cui all’art.11 del ccnl, lettera f) , che si riferisce all’abbandono del posto di lavoro durante il turno notturno. Si precisa nella contestazione che dalle 2,30 egli, contattato con cerca-persone , non ha risposto alla chiamata dell’infermiere , il quale  l’aveva cercato anche in reparto , senza riuscire a trovarlo , sino alla fine del turno.

Questo il fatto contestato , sia nella sua materialità , sia nella sua definizione giuridica collegata alla ipotesi disciplinare prevista dal contratto.

Condivide il collegio quanto ritenuto dal primo giudice ,secondo cui , la mancanza disciplinare addebitabile al C non corrisponde all’illecito previsto dalla lettera F ) dell’art.11 del ccnl prima ricordata.

Va invero osservato che , trattandosi di una clausola contrattuale, non può essere interpretata se non nei limiti di ciò che le parti collettive  hanno voluto effettivamente intendere per abbandono del posto di lavoro. Non può ,pertanto , soccorrete al fine di una corretta interpretazione il riferimento che il reclamante fa al concetto di abbandono del posto di servizio di cui all’art.72 delle legge n.121/81 , in tema di appartenenti alla Polizia di stato.

Nel caso di specie ad avviso della Corte le parti hanno intesto riferirsi proprio alla circostanza di fatto del sanitario che abbandona, recandosi all’esterno della struttura, il suo posto di lavoro, quindi diventando irreperibile  , nell’ambito del turno notturno.

Dall’interrogatorio libero della procuratrice speciale del CFA  è emerso che la mattina del 2 settembre vi era stato un normale passaggio di consegne tra il dottor C ed il medico diurno in turno, come anche è emerso che il C non  aveva risposto  al cerca persone, ma che nessuno dei due infermieri che lo avevano   cercato si erano recati presso il locale messo a disposizione dei  medici di turno per il risposo anche la notte. Lo stesso C infatti ha dichiarato di essere stato reperito in questa stanza in altra occasione di turno notturno, in cui era stato chiamato senza fortuna al cercapersone.

Proprio esaminando le mancanze disciplinari di cui al ccnl può evincersi che per abbandono del posto di lavoro le parti hanno inteso un allontanamento fisico del medico.

Ed infatti la lettera a) dell’art.11 prevede quali illeciti disciplinari sanzionabili con provvedimento conservativo il non presentarsi  ingiustificatamente  al lavoro e l’abbandono del posto di lavoro anche temporaneo. Tali illeciti si riferiscono certamente a mancata presenza nella struttura dove si svolge l’attività lavorativa.

Quando tale assenza si verifica durante il turno notturno , i contraenti collettivi hanno ritenuto la condotta molto  più grave e dunque  passibile di sanzione espulsiva.

Nel caso in esame certamente il comportamento del C è stato inadempiente ma tale non da configurare l’ipotesi disciplinare contestata di un abbandono del posto di lavoro.

La sua irreperibilità al cerca persone infatti ha comportato in realtà una grave sospensione del lavoro senza giustificato motivo, rientrante nella ipotesi di cui alla lettera b)dell’art.11 del ccnl , sanzionabile con la sospensione.

Conseguentemente, rientrando il fatto contestato tra le condotte punibili con una sanzione conservativa  non può accogliersi neanche il motivo di reclamo relativo alla erronea non applicazione, da parte del primo giudice , del comma 5° dell’art.18 riformato , che prevede il diritto al pagamento della sola indennità risarcitoria.

 Infine , quanto al motivo di reclamo relativo alla omessa pronuncia sull’aliunde perceptum si osserva che la condanna di cui all’ordinanza di reintegrazione è intervenuta dopo due mesi e mezzo circa dal licenziamento ed il dottor C aveva dichiarato in udienza di non aver lavorato dal licenziamento. Quanto al periodo successivo all’orine di reintegrazione, questo pacificamente non rientra nella previsione legislativa di cui al citato art.18 comma IV riformato.

La sentenza deve quindi essere confermata nel merito.

Le spese del presente grado vanno compensate nella misura della metà , stante la novità della questione  processuale  affrontata, condannandosi il reclamante alla rifusione dell’ulteriore metà che liquida ai sensi del DM n.140/2012  in euro 2000, 00 oltre oneri di legge

 P.Q.M.

conferma la sentenza  del Tribunale di Milano n. nn /aaaa del Tribunale Di Milano. Compensa le spese del grado nella misura della metà condannando il CFA  alla rifusione dell’ulteriore metà che liquida   in euro 2000, 00 oltre oneri di legge.

Milano , 28.2.2014

 Laura Curcio

Presidente  est.