di Elisabetta Zimbè Zaire – Avvocato in Busto Arsizio
A circa dieci anni dall’introduzione dell’obbligatorietà di deposito telematico l’arrivo delle nuove specifiche tecniche, in vigore già dal 30 settembre 2024, è il segno che il Processo Civile Telematico (PCT) è in continua evoluzione. Per provvedere al deposito di atti e documenti processuali è necessario “confezionarli” e spedirli in una “busta” secondo specifiche regole tecniche, più precisamente il procedimento di creazione della “busta” informatica contenente l’atto firmato digitalmente e i documenti prevede che il professionista inserisca i dati di corredo e selezioni le opzioni che consentono al software redattore di confezionare il plico nel formato ammesso dalle specifiche ministeriali; ciò garantisce il corretto instradamento ed elaborazione della busta all’interno dei sistemi informatici degli Uffici Giudiziari. L’utilizzo del PCT, non sempre agevole per molti avvocati, ha celato insidie e criticità portando alla creazione di frequenti errori materiali di deposito telematico. Ipotesi riguardanti anomalie conseguenti ad errate indicazioni di dati nella redazione della “busta”, ascrivibili ad errore del mittente e indipendenti da problemi squisitamente tecnici relativi al dispositivo di firma digitale o al “redattore”. Ma cosa succede se un deposito viene eseguito ad un indirizzo PEC non più attivo? O se il deposito viene eseguito nel fascicolo telematico errato? O nel caso di deposito eseguito in un registro di cancelleria errato? In merito a queste e ad altre problematiche troviamo pronunce giurisprudenziali e contributi dottrinari.
Coerentemente con le specifiche tecniche ministeriali il software “redattore” richiede, nel caso di deposito di atto in corso di causa, l’inserimento del numero di ruolo del procedimento. Nell’ipotesi in cui il mittente indichi il numero di ruolo (all’interno dello stesso registro) in maniera non corretta, l’“esito dei controlli automatici” (la c.d. “terza PEC”) riporta una “descrizione esito” di questo tenore: “Numero di ruolo non valido: Il mittente non ha accesso al fascicolo. Sono necessarie verifiche da parte della cancelleria”. Anomalia che ricade nella categoria “ERROR” indicata nella Circolare 28/10/2014 del Dipartimento Affari di Giustizia, punto 7, che così enuncia: “Le cancellerie, in presenza di anomalie del tipo WARN o ERROR, dovranno sempre accettare il deposito, avendo cura, tuttavia, di segnalare al giudicante ogni informazione utile in ordine all’anomalia riscontrata.” In mancanza di una norma di legge che sanzioni come invalido l’atto recante un’errata indicazione del numero di R.G. il cancelliere deve provvedere d’ufficio alla correzione del dato errato: l’operazione, oltretutto, è esplicitamente consentita dagli applicativi di cancelleria purché all’interno dei singoli registri. Allo scopo di scongiurare l’errore è opportuno, prima di procedere all’invio telematico, consultare i registri informatici verificando di poter correttamente visualizzare il fascicolo tra quelli “personali”. Ma se la cancelleria non conosce il fascicolo corretto in cui inserire l’atto, essa non è tenuta a forzare l’accettazione del deposito, potendo limitarsi a rifiutare il deposito e a comunicarne l’esito negativo, per questo ultimo punto si era espresso anche il Tribunale Torino, Sez. VII, con l’Ordinanza del 10/04/2016 : «È inammissibile il deposito telematico di un atto giudiziario (nella specie una memoria ex art. 183, 6° co., n. 2 c.p.c.) che rechi un numero di R.G. errato, in quanto trattasi di errore o svista ascrivibile al depositante e rimediabile con l’impiego dell’ordinaria diligenza e, comunque, di errore in relazione al quale la cancelleria non è tenuta a forzare l’accettazione del deposito, potendo limitarsi a rifiutarlo e a comunicarne l’esito negativo. L’istanza di rimessione in termini presentata dalla parte incorsa in tale errore deve essere, pertanto, rigettata», stabilendo che laddove, per l’effetto della indicazione di un numero di ruolo errato, il difensore incorra dunque in decadenza rispetto al termine perentorio fissato, non è ammissibile la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c..
Può accadere, tuttavia, che il deposito telematico di un atto venga effettuato ad un indirizzo, generato automaticamente dal software utilizzato dall’avvocato, non più attivo perché sostituito da altro. Ebbene, secondo la Cassazione, l’errore nel deposito telematico dell’atto – eseguito ad un indirizzo PEC non più attivo – deve ritenersi scusabile se è provocato da un software e l’utente non è in grado di prevenirlo o intercettarlo con l’ordinaria diligenza esigibile da un individuo medio, non potendosi pretendere un grado di competenza tecnica specialistica in un settore ancora connotato da forte tecnicismo e difficile intuizione delle relative modalità di funzionamento (Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 13/06/2024, n. 16552).
Altro caso affrontato è quello di un avvocato che, depositata la memoria istruttoria ex art. 183, comma VI, numero 2 c.p.c., aveva omesso di allegare al deposito alcuni documenti citati all’interno dell’atto e nell’elenco dei documenti posto in calce a quest’ultimo. Secondo l’avvocato l’omesso inserimento di tale documentazione nel fascicolo informatico non poteva essere a lui imputabile ma da ascrivere alla Cancelleria e al giudice del Tribunale, per l’effetto di un mancato controllo formale ad opera dell’addetto alla ricezione dell’atto giudiziario. La Corte d’Appello ha tuttavia ritenuto tale errore materiale imputabile all’avvocato. La modalità telematica comporta infatti che la produzione e trasmissione telematica dei documenti lasci sempre una traccia nel fascicolo telematico, senza bisogno di intervento alcuno da parte del Cancelliere. Lo stesso, non dovendo più garantire la conformità tra quanto prodotto e quanto esistente nel fascicolo processuale, non è dunque più tenuto a verificare l’afflusso di allegati all’atto difensivo e, al contempo, viene rafforzato il dovere di autoresponsabilità dell’avvocato, il quale ha l’onere di verificare la completezza del proprio fascicolo e la regolarità del deposito di atti e documenti. Accertata l’infondatezza della pretesa, la Corte ha dunque rigettato la richiesta di acquisire i documenti in questione per la prima volta in appello (Corte d’Appello di Palermo, sentenza n. 1774/2021).Laddove l’avvocato esegua un deposito telematico presso un registro di cancelleria diverso da quello pertinente (nei casi di specie, volontaria giurisdizione anziché affari contenziosi, nel primo caso e contenzioso anziché lavoro nella seconda ipotesi), l’istanza di rimessione in termini formulata dal depositante deve essere accolta. Secondo la Cassazione l’errore che affligge il deposito integra infatti una mera irregolarità, difettando una espressa comminatoria di nullità e potendo comunque dirsi raggiunto lo scopo dell’attività di deposito (consistente nella presa di contatto tra parte e ufficio giudiziario e nella conoscibilità dell’atto ad opera delle controparti e del giudice) una volta che l’atto depositato sia stato comunque inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario (Cass. 12 maggio 2022, n. 15243)
In tema di deposito telematico di un atto processuale che abbia avuto come esito un messaggio di errore fatale nella c.d. “quarta PEC”, la valutazione della imputabilità della decadenza processuale determinatasi non può fondarsi esclusivamente sulla circostanza costituita dallo stesso messaggio di errore fatale, atteso che quest’ultimo non necessariamente è dovuto a colpa del mittente, ma esprime soltanto l’impossibilità del sistema di caricare l’atto nel fascicolo telematico, e la valutazione circa la tempestività della successiva formulazione dell’istanza di rimessione in termini, ammissibile se presentata entro un lasso di tempo contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del processo, deve avvenire tenendo altresì conto della necessità di svolgere accertamenti e verifiche presso la cancelleria. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva ritenuto tardiva un’istanza di rimessione in termini presentata a distanza di soli undici giorni dalla definitiva verifica dell’esito negativo del tentativo di deposito) – Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 12 Gennaio 2024, n. 1348.
E’ spesso capitato che un avvocato abbia depositato una comparsa di risposta e, successivamente, ritenendo di voler inserire una domanda riconvenzionale (o una citazione di terzo) non formulata nella prima comparsa, abbia provveduto a farlo depositando una seconda comparsa completa, nei termini previsti dall’art. 167 c.p.c. Secondo la Cassazione, la condotta del convenuto non lederebbe il diritto di difesa dell’attore, il quale ha un riferimento temporale specifico ancorato al termine di cui all’art. 167 c.p.c., decorso il quale la parte attrice può nutrire un pieno affidamento in ordine all’operatività delle preclusioni dalla norma medesima previste. Il diritto di reazione difensiva attoreo, del resto, trova piena facoltà di esercizio sia in sede di udienza di prima comparizione (articolo 183 c.p.c., comma 5) sia – seppur più limitato-nelle successive memorie (articolo 183 c.p.c., comma 6), da ciò derivando che l’eventuale deposito di una seconda comparsa di costituzione e risposta (nella quale sia inserita, a differenza della prima, una domanda riconvenzionale o una chiamata in causa di terzo) in nulla compromette le facoltà difensive e non arreca alcun vulnus all’affidamento della parte attrice. Il deposito di una seconda comparsa di risposta – ad opera del medesimo difensore o del nuovo difensore eventualmente subentrato al primo – è quindi ammissibile, purché il deposito medesimo sia avvenuto nel rispetto del termine di cui all’articolo 167 c.p.c. e salvi i casi in cui sia ravvisabile uno specifico abuso dello strumento processuale, non potendosi ravvisare una consumazione del potere di difesa della parte convenuta sino al momento del maturarsi della barriera preclusiva di cui all’articolo 167 c.p.c. (Cass. Civ., Sentenza, 2 settembre 2022, n. 25934).