Cass., sez. VI-3, ord. 10 aprile 2017 n. 9231 (Pres. Aniendola, rel. Frasca)

 
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Ordinanza di inammissibilità (art. 348-bis c.p.c.) – Comunicazione di cancelleria –  Decorso del termine breve ex art. 348-ter, c. 3, c.p.c. – Mancanza dell’accettazione e della consegna – Insussistenza – Data e ora di invio e consegna – Presenza – Ricevute PEC – Disponibilità nel registro di cancelleria

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE -3

 

Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati:

Dott. ADELAIDE ANIENDOLA – Presidente –

Dott. RAFFAELE FRASCA – Rel Consigliere –

Dott. DANILO SESTINI – Consigliere –

Dott. LINA RUBINO – Consigliere –

Dott. AUGUSTO TATANGELO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso nn-aaaa proposto da:

G. V., elettivamente domiciliato in ROMA, ***, presso lo studio dell’avvocato V.P., rappresentato e difeso dall’avvocato V.B.;

-ricorrente-

contro

U.S.A. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ***, presso lo studio dell’avvocato G. D. , che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

S. G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6831/2013 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 27/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/03/2017 dal Consigliere Dott. Raffaele Frasca

Rilevato che:

1. V. G. ha proposto ricorso per cassazione contro G. S. e la U. S. s.p.a., a stare a quanto si enuncia a pagina 11 del ricorso, sia avverso l’ordinanza ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. del 20 giugno 2014, con cui la Corte d’Appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l’appello da esso deducente proposto contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Napoli nel maggio del 2013, sia contro quest’ultima sentenza.

Peraltro, i motivi discutono di entrambi i provvedimenti, mentre nelle conclusioni si chiede la cassazione della sola sentenza di primo grado.

2. L’intimata U. S. ha resistito con controricorso, mentre l’intimato non ha svolto attività difensiva.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla I. n. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta inammissibilità del ricorso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati notificati agli avvocati delle parti.

4. Le parti hanno depositato memoria.

Considerato che:

1. Il Collegio condivide le valutazioni della proposta del relatore nel senso dell’inammissibilità per tardività.

Dalla documentazione inviata, su richiesta della Cancelleria di questa Corte, dalla Cancelleria della Corte d’Appello di Napoli, consistente nelle copie delle due attestazioni telematiche, con cui venne eseguita la comunicazione del deposito dell’ordinanza emessa dalla corte partenopea ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. ai due difensori della parte ricorrente, Avvocati V. B. ed E. L. , emerge – come ebbe a rilevare la proposta del relatore – che l’ordinanza impugnata venne comunicata lo stesso giorno della sua pronuncia.

Pertanto, poiché la comunicazione fece decorrere il termine breve di sessanta giorni, previsto dal terzo comma dell’art. 348-ter c.p.c. ed operante sia per la sua impugnazione, nei limiti in cui è consentita da Cass. sez. un. n. 1914 del 2016, sia per quella della sentenza di primo grado (in termini, Cass. (ord.) n. 18827 del 2015, secondo cui: «qualora risulti ricorribile per cassazione, l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello, va impugnata con lo stesso ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado e nei termini prescritti dall’art. 348 ter, comma 3, c.p.c., sia perché è logicamente prioritario l’esame dell’impugnazione dell’ordinanza rispetto alla sentenza, sia perché, applicando all’ordinanza il termine lungo dalla comunicazione ex art. 327 c.p.c., il decorso di distinti termini per impugnare i due provvedimenti comporterebbe il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, rendendo incomprensibile la ricorribilità avverso l’ordinanza.»; in senso conforme: Cass. (ord.) n. 25456 del 2016), è palese che il ricorso, notificato nel gennaio del 2015, risulta proposto ben oltre quel termine (che scadeva, dunque, tenuto conto della sospensione dei termini per il periodo feriale dal 1° agosto 2014 al 15 settembre 2014, il giorno 24 settembre 2014), ed è, quindi, tardivo.

E ciò, tanto se lo si intenda proposto contro entrambi i provvedimenti, quanto se lo si intenda proposto contro la sola sentenza di prime cure.

2. Nella sua memoria il ricorrente sostiene, contro il tenore delle due attestazioni, che in esse risulterebbe «che la comunicazione è stata inviata, ma manca l’accettazione dell’atto dal sistema e la consegna dello stesso alla parte».

Senonché, tale assunto, non solo non è spiegato attraverso riferimenti al contenuto delle due attestazioni, ma risulta smentito da esse.

In entrambe risulta, dopo che nella prima pagina si è dato atto che alle ore 11.36 del 20 giugno 2014 la cancelleria ebbe ad inviare il relativo messaggio di posta elettronica certificata, che, per l’Avvocato B. V. , «come emerge dalla ricevuta di consegna rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario identificata con 6901600 è stata consegnata in data 20 giugno 2014 alle ore 11.37» e che, per l’Avvocato L. , «come emerge dalla ricevuta di consegna rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario identificata con 6901551 è stata consegnata in data 20 giugno 2014 alle ore 1.37».

Sotto la dicitura “dati riassuntivi della comunicazione telematica”, presente di seguito in entrambe le attestazioni, risultano ribadite sia le indicazioni di data ed ora di invio sia le indicazioni di data ed ora di consegna, con i rispettivi numeri identificativi, ed in chiusura si dichiara che «si rende noto che il messaggio contenente le ricevute di avvenuta consegna o di mancata consegna è disponibile per la consultazione integrale nel registro di cancelleria» e si attesta l’estrazione dell’attestazione dai registi di cancelleria in data 7 novembre 2016.

Non è dato, dunque, comprendere come parte ricorrente possa sostenere che mancherebbe nelle due attestazioni «la certificazione dell’accettazione e consegna».

Inoltre, atteso che nella memoria si dice che i due difensori avevano indicato nell’atto di appello l’indirizzo di posta elettronico dell’Avvocato B.V. (che, peraltro, è indicato dall’ordinanza ex art. 348-bis), si rileva che la comunicazione telematica al medesimo risulta inviata proprio all’indirizzo di PEC che Egli indica nella memoria.

Risulta, dunque, conclamato (anche nella logica sottolineata da Cass., Sez. Un. n. 25513 del 2016) che l’ordinanza venne comunicata e che decorse il termine di cui al terzo comma dell’art. 348-ter.

Per completezza si rileva che sulla copia dell’ordinanza prodotta dal ricorrente risulta anche che la cancelleria della corte partenopea rilasciò all’Avvocato B.V. copia autentica di essa il 14 luglio 2014. Anche se l’ottenimento di tale rilascio non prova la pregressa comunicazione, tuttavia è singolare che la difesa del ricorrente non abbia ritenuto di precisare che l’estrazione di copia venne richiesta nonostante la mancanza della comunicazione del deposito dell’ordinanza.

3. Risultando il ricorso tardivo per effetto delle emergenze delle attestazioni se ne deve dichiarare l’inammissibilità.

4. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza verso la resistente e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. Non è luogo a provvedere per le spese riguardo al rapporto processuale fra ricorrente e intimato. Ai sensi dell’art. 13 comma 1- quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese giudiziali, liquidate in euro cinquemiladuecentocinquanta, oltre duecento per esborsi, ed oltre alle spese generali al 15% e agli accessori come per legge. Nulla per le spese riguardo al rapporto processuale fra ricorrente e intimato. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3

il 9 marzo 2017.

Il Presidente