Giurisprudenza

Trib. Milano, sent. 19 agosto 2016 n. 9728 (Pres. De Sapia, rel. Mennuni)

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 Tribunale Ordinario Di Milano

TERZA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, in composizione collegiale in persona dei sigg. magistrati

dott. Cesare de Sapia    Presidente
dott.ssa Maria Gabriella Mennuni   Giudice rel. est.
dott. Sergio Rossetti   Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul reclamo ex art. 630 c.p.c. proposto da

COND. V.S. n. 8 M. (C.F. ***), rappresentato e difeso dall’avv. V. A. presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Milano ***

RECLAMANTE

CONTRO

D.S. (C.F. )

RECLAMATA

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Condominio reclamante notificava atto di pignoramento immobiliare nei confronti di D. S. reclamata il 28/12/14.

L’atto veniva consegnato al reclamante dall’ufficiale giudiziario il 26/1/2015 e in pari data la procedura per espropriazione veniva iscritta a ruolo (R.G.E. NN/AA) mediante deposito di copie per immagini del titolo esecutivo, del precetto e del pignoramento, senza deposito di attestazione di conformità.

Con provvedimento in data 12/4/2016 il giudice dell’esecuzione dichiarava inefficace il pignoramento compiuto a norma dell’art. 557, co. 3, c.p.c.

Avverso il predetto provvedimento ha proposto tempestivo reclamo il Condominio, sostenendo la mera irregolarità, sanabile ex post dal momento che la norma non prevede un termine perentorio per l’attestazione di conformità degli atti cartacei a mani dei difensori, laddove runico termine sarebbe previsto per il deposito degli atti. Ai fini del decidere valgono le seguenti considerazioni.

Con D.L. 132/2014 convertito in L. 162/2014 il legislatore è intervenuto nel tessuto del libro terzo del codice di procedura civile, prevedendo, tra l’altro, una nuova modalità di formazione del fascicolo dell’esecuzione.

Originariamente, infatti, il disposto di cui all’art. 557 c.p.c. – per limitare il discorso alle espropriazioni immobiliari, ma identiche considerazioni valgono, mutatis mutandis, per le espropriazioni mobiliari presso il debitore e presso terzi – prevedeva che l’ufficiale giudiziario depositasse nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione l’atto di pignoramento e la nota di trascrizione (ove la trascrizione non fosse stata curata dal creditore a norma dell art. 555, co. 2 e 3, c.p.c), mentre spettava al creditore depositare titolo esecutivo e precetto entro dieci giorni dal pignoramento.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte formatasi nel vigore della precedente disciplina, il termine per il deposito del titolo e del precetto non era perentorio (v. ad es. Cass. 2370/64, Cass. 12722/1997, Cass. 5906/06, Cass. 6957/07), il deposito di una mera copia fotostatica del titolo non poteva essere rilevata d’ufficio, ma doveva essere oggetto di opposizione agli atti esecutivi (Cass. 8242/2003), mentre non rilevava {salva l’opposizione agli atti) la mancanza nel fascicolo del titolo esecutivo, purché in possesso del creditore (Cass. 1691/1975, Cass. 13021/1992, Cass. 6957/2007, Cass. 8306/2008). Il titolo esecutivo, pertanto, salvo il rischio di opposizione agli atti con conseguente necessità di sua produzione, doveva essere depositato in originale. L’art. 488, co. 2, c.p.c, poi, autorizzava il creditore al ritiro del titolo dietro deposito di una copia autentica e obbligo di presentare l’originale ad ogni richiesta del giudice. Sul punto si tornerà in seguito. Per evidenti finalità di razionalizzazione del lavoro di cancelleria, il legislatore del 2014 è intervenuto dettando nuove modalità di iscrizione a ruolo della procedura. Nella prassi giurisprudenziale precedente alla riforma, infatti, avveniva che il personale amministrativo dovesse spendere (soprattutto, ma non solo, con riferimento alle procedure di espropriazione presso terzi) una non irrilevante parte del proprio tempo di lavoro per procedere alle formalità necessarie alla formazione dei fascicoli relativi a tutti gli atti di pignoramento che gli ufficiali giudiziari depositavano e ciò in rigoroso ordine cronologico, indipendentemente da una qualsiasi richiesta del creditore procedente il quale, avvenuta la notifica dell’atto poteva decidere, per le più diverse ragioni (il pagamento del debito, un accordo con il debitore etc), di non coltivare la procedura.

Una serie di attività, quindi, sostanzialmente superflue che determinavano solo un inutile dispendio di energie lavorative.

Il legislatore del 2014, pertanto, per le finalità di cui sopra, è intervenuto sulle modalità di formazione del fascicolo dell’esecuzione, anche coordinando la nuova disciplina con nuove disposizioni sul processo civile telematico.

Con specifico riferimento al pignoramento immobiliare, infatti, l’art. 557 c.p.c. nel testo attualmente vigente dispone quanto segue: il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dei titolo esecutivo, del precetto, dell’atto di pignoramento e della nota di trascrizione entro quindici giorni dalla consegna dell’atto di pignoramento. Nell’ipotesi di cui all’articolo 555, ultimo comma, il creditore deve depositare la nota di trascrizione appena restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari.

Il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione. Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie dell’atto di pignoramento, del titolo esecutivo e del precetto sono depositate oltre il termine di quindici giorni dalla consegna al creditore.

Con il medesimo intervento normativo {D.L 132/2014 convertito in L. 162/2014), inoltre, sono stati aggiunti all’art. 16 bis co. 2 D.L. 179/2012 convertito in L. 221/2012 i seguenti ultimi due periodi: “a decorrere dai 31 marzo 2015, il deposito nei procedimenti di espropriazione forzata della nota di iscrizione a ruolo ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nei rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Unitamente alla nota di iscrizione a ruolo sono depositati, con le medesime modalità, le copie conformi degli atti indicati dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma e 557, secondo comma, del codice di procedura civile. Ai fini del presente comma, il difensore attesta la conformità delle copie agli originali, anche fuori dai casi previsti dal comma 9-bis”.

E’ discusso se, a seguito della riforma, sia ancora in vigore il disposto di cui all’art. 488, co. 2 c.p.c. Si dice, infatti, che non essendo più previsto un deposito in originale dei titolo non avrebbe senso richiedere l’autorizzazione al ritiro dell’atto. La disposizione, peraltro, dovrebbe intendersi ancora in vigore almeno nella parte in cui consente al giudice dell’esecuzione di ottenere la presentazione dell’originale dell’atto ad ogni richiesta.

Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, anche nella sua evoluzione storica, prima di esaminare la questione proposta da parte reclamante si devono valutare due questioni preliminari tra loro strettamente connesse.

Tali questioni esulano in parte rispetto alla questione proposta da parte reclamante – ed attinente alle conseguenze relative al tardivo deposito degli atti di cui all’art. 557 co. 2 c.p.c. privi di attestazione di conformità – per abbracciare, più complessivamente, le questioni inerenti alla declaratoria di inefficacia del pignoramento come stabilito dall’art. 557, co. 3, c.p.c.

In particolare, ci si deve domandare, in primo luogo, se la questione dell’inefficacia del pignoramento per tardivo deposito dei documenti indicati all’art. 557, co. 2, c.p.c. sia rilevabile d’ufficio; in secondo luogo, ci si deve chiedere quale sia il rimedio a disposizione della parte che si ritenga leso dal provvedimento che dichiara inefficace il pignoramento compiuto. Sotto tali profili è sufficiente rilevare come il disposto dì cui all’art. 557, co. 3 c.p.c. sanzioni, sostanzialmente, un’inattività della parte che omette di depositare, nel termine stabilito dalla legge, gli atti indicati.

La disposizione ricorda il disposto di cui agli artt. 497 c.p.c. e 156 disp att c.p.c, per i quali la giurisprudenza della Suprema Corte ritiene che si verifichi una vicenda assimilabile all’estinzione del processo per inattività della parte (v. Cass. 9624/2003, Cass. 18366/10, Cass. 18536/2007).

Dal momento che, dopo la riforma di cui alla I, 69/2009 che sul punto ha modificato il disposto di cui all’art. 630, co. 2, c.p.c, i fatti estintivi del processo esecutivo sono rilevabili d’ufficio dal giudice, almeno fino alle udienze 530, 547 e 569, restando poi sanate dalla preclusione di fase (v Cass. SSUU 11178/95), ne risulta che anche l’inefficacia del pignoramento sancita dall’art. 557, co. 3, c.p.c è rilevabile d’ufficio. Siccome, poi, come detto, la previsione di cui all’art. 557, co. 3, c.p.c. sanziona sostanzialmente un’inattività della parte che determina l’estinzione del processo, il rimedio a disposizione del creditore non può che essere individuato nel reclamo al Collegio a norma dell’art. 630 co. 3 c.p.c.

Venendo ora alla questione posta con il reclamo, deve evidenziarsi come la scarna giurisprudenza di merito edita sul punto (Tribunale di Bologna, ordinanza 22.10.2015, Tribunale di Bari, ordinanza 04.05.2016, Tribunale di Caltanissetta, ordinanza 01.06.2016) ha generalmente affermato come meramente irregolari i depositi di titolo, precetto ed atto di pignoramento privi dell’attestazione di conformità.

I giudici che si sono occupati del tema hanno addotto a fondamento di tali decisioni un triplice ordine di ragioni.

Si è evidenziato, in primo luogo, un dato letterale: vero è che l’art. 557 co. 2 c.p.c. parla di copie conformi, ma l’art. 557 co. 3 c.p.c. sanziona con l’inefficacia del pignoramento il mero tardivo deposito di “copie” non ulteriormente qualificate.

Dal punto di vista sistematico si è poi affermato che l’art. 22 co. 3 C.A.D. equipara l’efficacia probatoria delle copie per immagine su supporto informatico ai documenti originali formati in origine su supporto analogico, se tali copie non sono disconosciute

In fine, dal punto di vista teleologico, il deposito di atti non attestati di conformità sarebbe comunque idoneo al raggiungimento dello scopo.

II Tribunale non condivide questi orientamenti.

Deve innanzitutto osservarsi che le copie di cui parla l’art. 557, co. 3, c.p.c. sono sicuramente le “copie conformi” di cui all’art. 557 co. 2 e non le mere copie dei medesimi atti. In tal senso esistono chiari indici testuali.

Da una parte, infatti, come già rilevato, l’art. 16 bis co. 2 D.L. 179/2012 convertito in L. 221/2012, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte con D.L. 132/14 convertito in L. 162/2014, precisa che con modalità telematiche siano depositate “le copie conformi degli atti indicati dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma e 557, secondo comma, del codice di procedura civile”.

Ancora, l’art. 159 ter disp. att. c.p.c. (disposizione introdotta con D.L. 83/15 convertito in I. 132/15) prevede che nell’ipotesi in cui l’iscrizione a ruolo del processo esecutivo avvenga su istanza del debitore, il creditore debba comunque depositare “copie conformi degli atti” nei termini di cui agli artt. 518, 543 e 557.

Sarebbe quindi irragionevole ritenere che solo perché sia il debitore ad iscrivere a ruolo la causa, sussista un onere dì deposito del creditore “rafforzato”.

All’art. 557, co. 3, c.p.c, quindi, quando si richiamano le copie degli atti, si devono intendere le “copie conformi” citate nel comma immediatamente precedente.

Ciò chiarito, l’argomento sistematico e teleologico perdono di spessore.

Come confermato dalla disamina della giurisprudenza formatasi precedentemente alla riforma del 2014, ai fini della completezza del fascicolo della procedura era necessario il titolo esecutivo, l’atto dì precetto e l’atto di pignoramento in originale, ovvero in copia conforme.

Nel vigore della precedente disciplina, però, la carenza di tali atti non era rilevabile d’ufficio dal Giudice, ma doveva essere oggetto di opposizione agli atti esecutivi.

Il legislatore del 2014, nel ridisegnare completamente la fase di iscrizione a ruolo e formazione del fascicolo d’ufficio ha ritenuto di onerare – a pena di inefficacia del pignoramento – il creditore di depositare copie conformi degli atti di cui si discute.

Il creditore, quindi, non deve limitarsi a depositare una copia degli atti richiamati dal disposto di cui all’art. 557 co. 2, ma deve depositare una copia conforme di tali atti.

Come più sopra evidenziato, del resto, originariamente doveva essere depositato l’originale del titolo che poteva essere sostituito con copia autentica dello stesso a norma dell’art. 488, co. 2, c.p.c.

La questione della conformità del titolo all’originale è strettamente connesso al possesso del titolo esecutivo quale presupposto processuale dell’azione esecutiva.

Ove il creditore difettasse del possesso del titolo, infatti, l’ufficiale giudiziario non potrebbe eseguire il pignoramento. Nel corso della procedura, poi, la perdita del possesso del titolo determina rilevanti conseguenze in quanto lascia presumere o che il credito incorporato nel titolo sia stato ceduto (v. ad es. art. 1262 oc.) o che sia stato pagato (v. ad es. art. 1199 ce). Per tale ragione, in mancanza dell’esibizione del titolo in originale, quando richiesto, il giudice dell’esecuzione non potrebbe compiere l’atto esecutivo richiesto dal creditore sprovvisto del possesso materiale del titolo.

L’attestazione di conformità, in tale prospettiva, non costituisce una mera formalità in quanto il difensore del creditore, per potere attestare che la copia è conforme all’originale, deve avere avanti a sé l’originale da collazionare con la copia. In altri termini, deve avere il possesso de! titolo. In mancanza del deposito dell’attestazione di conformità, pertanto, ciò che il giudice dell’esecuzione non è messo in grado di conoscere è se il creditore abbia o meno il possesso del titolo o sia o meno legittimato all’esercizio del diritto incorporato nel titolo. Tale questione e cioè il difetto di possesso del titolo, come più sopra detto, era originariamente demandata ad un’opposizione agli atti esecutivi, mentre oggi è rilevabile d’ufficio e sanzionata con l’inefficacia del pignoramento compiuto.

La tesi del raggiungimento dello scopo dell’atto, allora, non risulta razionalmente perseguibile. Innanzitutto deve rilevarsi che la teorica relativa al raggiungimento delio scopo dell’atto attiene alla categoria della nullità e non dell’inefficacia dell’atto per il suo mancato tempestivo

In secondo luogo, una volta che il legislatore abbia fissato un termine preclusivo per il deposito di un atto, non ha alcun senso affermare che lo stesso abbia raggiunto il suo scopo, se è stato depositato tardivamente.

In altri termini, ciò che conta non è il disposto di cui all’art. 156 c.p.c, quanto piuttosto il disposto di cui all’art. 153 c.p.c. che preclude alla parte la possibilità di svolgere l’attività processuale conseguente (il deposito dell’istanza di vendita, nel caso di specie), ove non sia stata tempestivamente svolta l’attività processuale precedente (il deposito nei termini di legge di copie conformi degli atti di cui all’art. 557, co. 2, c.p.c).

Per esemplificare, così come non ha senso chiedersi se abbia raggiunto il suo scopo l’istanza di vendita depositata scaduti i termini di cui all’art. 497 c.p.c, ugualmente non ha senso chiedersi se abbia raggiunto il suo scopo il deposito tardivo delle copie conformi degli atti di cui all’art. 552 epe.

Sotto diverso angolo prospettico – qualora fosse possibile scindere gli atti di cui parla l’art, 557 c.p.c. dalla loro necessaria attestazione dì conformità – lo scopo del deposito degli atti attestati di conformità dovrebbe essere individuato in quello di consentire un ordinato svolgersi del processo esecutivo, senza inutili rallentamenti o situazioni di quiescenza. Tali finalità sono quelle prese in considerazione dall’art. 111 Cosi, c.p.c e sono bene tenute presente nell’ambito del processo esecutivo: basti pensare, oltre al già citato art. 497 c.p.c, all’art. 567, co. 3, c.p.c. che sanziona con l’inefficacia del pignoramento il mancato deposito della documentazione ipocatastale, ovvero (allorquando sarà in vigore la relativa normativa) il disposto di cui all’art. 631 bis c.p.c. (introdotto con D.L. 83/2015 conv. in L. 132/15) che sanziona con l’estinzione del processo esecutivo il mancato pagamento de! contributo previsto per la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche.

Il mancato deposito degli atti muniti di attestazione di conformità determinano un rallentamento nello svolgimento del processo esecutivo e, complessivamente, dell’attività dell’amministrazione della giustizia, rischiando di incidere sulla ragionevole durata del processo per espropriazione.

Il giudice dell’esecuzione, infatti, in mancanza della dichiarazione di conformità degli atti prodromici all’esecuzione e dell’atto di pignoramento non potrebbe procedere con il conferimento dell’incarico di stima dei beni staggiti e, successivamente, con la vendita dei cespiti pignorati, non avendo certezza alcuna circa il possesso di un titolo esecutivo in capo al creditore. Ciò determinerebbe la necessità di ordinare il deposito dell’attestazione, con conseguente quiescenza del processo. Eppure, dal 2005 in avanti, le riforme del legislatore vanno tutte nella chiara direzione di evitare che il processo per espropriazione possa subire ritardi non giustificati.

Se di scopo della norma (ma non dell’atto) si vuole parlare, allora, non vi è che da concludere nel senso per cui il novellato disposto di cui all’art. 557, co. 3, c.p.c. intende sanzionare il negligente comportamento della parte processuale che, pur potendo mettere l’ufficio dell’esecuzione in grado di svolgere ordinatamente e tempestivamente il proprio compito, vi frapponga un ostacolo, mancando di depositare agli atti telematici un documento equipollente agli originali a sue mani (di cui cioè abbia il possesso)

Nel proprio reclamo, inoltre, il creditore afferma che vi sarebbero state incertezze in ordine alle modalità di attestazione della conformità degli atti in mancanza delle specifiche tecniche stabilite dal responsabile per i sistemi automatizzati del Ministero della giustizia. La deduzione è inconferente in quanto le specifiche tecniche richiamate dal creditore sono quelle previste a seguito del D.L. 83/2015 convertito in L. 132/2015 dall’art. 16 (dec/es e) undecies del D.L. 179/2012 convertito in L. 221/2012, mentre, come detto, il potere di attestazione della conformità degli atti di cui all’art. 557, co. 2, c.p.c. è previsto dall’art. 16 bis del D.L. 179/2012 convertito in L. 221/2012, come modificato con D.L 132/14 convertito in L. 162/14 e per l’esercizio di tale potere non era previsto alcun rimando a normative di natura tecnica.

Conclusivamente il reclamo proposto deve essere rigettato e le spese sostenute da parte reclamante, in mancanza di attività difensiva svolta da parte reclamata devono dichiararsi irripetibili.

PQM

Definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa,

rigetta il reclamo proposto;

dichiara irripetibili le spese sostenute da parte reclamata.

Così deciso nella camera di consiglio del 29.6.2016

Il giudice est.

M. Gabriella Mennuni

Il Presidente

Cesare de Sapia

Trib. Milano, sent. 19 agosto 2016 n. 9728 (Pres. De Sapia, rel. Mennuni) Leggi tutto »

Cass., sez. II, ord. 12 aprile 2019 n. 10365 (Pres. San Giorgio, rel. Scarpa)

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Procedimento civile – Termini per l’impugnazione – Decorrenza – Redazione della sentenza in formato elettronico – Data di pubblicazione – Attestazione del cancelliere – Sussiste – Trasmissione alla cancelleria da parte del giudice – Esclusione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta da:

MARIA ROSARIA SAN GIORGIO – Presidente –

ANTONELLO COSENTINO – Consigliere –

ANTONIO SCARPA – Rel. Consigliere

CHIARA BESSO MARCHEIS – Consigliere –

LUCA VARRONE – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso NN-AA proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente-

contro

C. L. E C SRL, rappresentata e difesa dall’avvocato F. R.;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositato il 13/10/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Ministero della Giustizia ha presentato ricorso articolato in un unico motivo avverso il decreto del 13 ottobre 2016 della Corte di appello di Venezia, con cui è stata respinta l’opposizione avanzata dallo stesso Ministero contro il decreto del giudice designato del 12 maggio 2016, che aveva condannato

l’Amministrazione al pagamento della somma di C 2.800,00 a favore della C. L. E C SRL, a titolo di indennizzo per l’eccessiva durata del giudizio presupposto.

La C. L. E C SRL si difende con controricorso.

A sostegno dell’opposizione, il Ministero aveva dedotto che il decreto di accoglimento della domanda di equa riparazione, depositato in cancelleria in data 12 maggio 2016, era stato notificato soltanto in data 27 giugno 2016, violando l’art. 5, comma 2, legge n. 89/2001, secondo cui “il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento”, con conseguente inefficacia dello stesso.

La Corte di Appello di Venezia ha osservato come “il decreto di liquidazione e contestuale ingiunzione di pagamento dell’indennizzo di cui si tratta, è stato effettivamente inoltrato per il deposito attraverso il sistema telematico in data 12 maggio 2016; e tuttavia, come risulta palese dal registro cronologico delle operazioni eseguite sul fascicolo telematico, cosiddetto “storico” del procedimento, al quale si accede dal fascicolo telematico, è stato posto in lavorazione dalla cancelleria soltanto in data 27 maggio 2016. In detta data il decreto è stato “scaricato” dal server del Ministero ed è stato comunicato alla parte resistente. Poiché è incontestato che la notifica del decreto all’Avvocatura distrettuale è stata avviata in data 27 giugno, la notifica deve ritenersi tempestivamente avvenuta, e pertanto il decreto efficace. La discrasia delle date dipende invece unicamente dalla metodologia utilizzata dal sistema informatizzato del Ministero per il deposito dei provvedimenti del giudice”.

L’unico motivo di ricorso del Ministero della Giustizia denuncia la violazione dell’art. 5, legge n. 89/2001, dell’art. 113 c.p.c., degli artt. 1, 12 e 15 delle preleggi, nonché dell’art. 15, < D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, ovvero del Regolamento contenente le regole tecniche per il processo civile telematico, in quanto la Corte di Appello di Venezia, nel considerare la notifica in oggetto tempestiva, avrebbe prescelto un’interpretatio

abrogans della normativa primaria di cui sopra, dando peso a quanto stabilito dal Regolamento richiamato, il quale costituirebbe normativa di rango inferiore rispetto a quella concernente le formalità di pubblicazione dei provvedimenti giurisdizionali dettata dal codice di rito, come rispetto alla disciplina speciale contenuta nella legge n. 89/2001.

Con il controricorso la società C. L. E C SRL, dopo aver eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso, richiede che, nel caso di accoglimento dell’impugnazione, le venga concessa la rimessione in termini, ai sensi dell’art. 153 c.p.c., essendo stato il decreto opposto visibile alle parti solo in data 27 maggio 2016.

Non sussiste l’inammissibilità eccepita dalla controricorrente, in quanto il ricorso soddisfa il requisito imposto dall’articolo 366, comma 1, n. 3, c.p.c., indicando le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda il decreto impugnato e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito.

Il ricorso è comunque manifestamente infondato. Questa Corte ha già chiarito, con interpretazione cui il Collegio intende dare continuità, che, sebbene l’art. 5, comma 2, della legge n. 89 del 2001 preveda che il decreto diventi inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento, deve ritenersi che tale termine decorra, in realtà, dalla comunicazione del decreto stesso alla parte ricorrente. Ciò si desume sia dal quarto comma della stessa norma, in base al quale il decreto che accoglie la domanda è altresì comunicato al Procuratore Generale della Corte dei Conti e ai titolari dell’azione disciplinare, sia dalla sostanziale continuità normativa rispetto al testo precedente del medesimo art. 5, che, prima delle modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012, disponeva espressamente che il decreto fosse comunicato, oltre che alle parti, alle suddette autorità. Avvalora tale interpretazione l’ulteriore circostanza che, mentre l’inefficacia del decreto ingiuntivo (che costituisce il modello di riferimento del procedimento ex I. n. 89 del 2011) non notificato nel termine di cui all’art. 644 c.p.c., determina una situazione rimediabile (salvo prescrizione o decadenze sostanziali) attraverso la riproposizione della domanda, non altrettanto avviene nel caso della mancata notifica del decreto di accoglimento della domanda di equa riparazione, non più riproducibile per l’espresso divieto contenuto nel medesimo art. 5, comma 2 (Cass. Sez. 6 – 2, 21/03/2017, n. 7185).

Più in generale, si è anche spiegato come, in tema di redazione del provvedimento in formato elettronico, la relativa data di pubblicazione, ai fini del decorso del termine di impugnazione, coincide non già con quella della sua trasmissione alla cancelleria da parte del giudice, bensì con quella dell’attestazione del cancelliere, giacché è solo da tale momento che la sentenza diviene ostensibile agli interessati

(Cass. Sez. 2 , 09/10/2018, n. 24891).

Così, a norma dell’art. 4 del d.l. n. 193 del 2009, convertito nella legge n. 24 del 2010, nonché dei principi generali del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni, applicabili anche nel processo civile con valore di legge ordinaria, e degli artt. 11 e 15 del Regolamento di cui al D.M. n. 44 del 2011, l’atto del processo, redatto in formato elettronico dal magistrato, soggetto abilitato interno, e sottoscritto con firma digitale, è depositato telematicamente nel fascicolo informatico; tuttavia, solo dal momento in cui il documento è trasmesso in formato elettronico per via telematica alla cancelleria il procedimento della decisione si completa e si esterna, e dalla relativa data il provvedimento diviene irretrattabile dal giudice che l’ha pronunziato (Cass. Sez. U, 01/08/2012, n. 13794; Cass. Sez. 6 – L, 23/08/2016, n. 17278).

Nella specie, il decreto di accoglimento della domanda di equa riparazione, redatto in formato elettronico dal magistrato designato della Corte d’Appello di Venezia il 12 maggio 2016, è stato “lavorato” dalla cancelleria e comunicato alla parte ricorrente soltanto in data 27 maggio 2016, il quale lo ha a sua volta notificato all’Avvocatura dello Stato lunedì 27 giugno 2016, ovvero tempestivamente rispetto al termine di trenta giorni ex art. 5, comma 2, I. n. 89/2001.

Il ricorso va quindi rigettato. Al rigetto del ricorso consegue la regolamentazione delle spese secondo soccombenza, nell’ammontare liquidato in dispositivo, con distrazione in favore del difensore ilcredite, della controricorrente ai sensi dell’art. 93 c.p.c. Ric. 2017Essendo la ricorrente Amministrazione dello Stato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater441I’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 900,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese forfetarie nella misura del 15%, con distrazione in favore del difensore ai sensi dell’art. 93 c.p.c.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 14 febbraio 2019.

Il Presidente

Maria Rosaria San Giorgio

Cass., sez. II, ord. 12 aprile 2019 n. 10365 (Pres. San Giorgio, rel. Scarpa) Leggi tutto »

Cass., sez. I, sent. 10 aprile 2019 n. 10102 (Pres. Giancola, rel. Tricomi)

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Impugnazioni – Cassazione – Controricorso – Notifica presso la cancelleria della Corte – Validità – Esclusione – Indicazione dell’indirizzo PEC nel ricorso – Sussiste

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

MARIA CRISTINA GIANCOLA-Presidente

MARIA GIOVANNA C. SAMBITO-Consigliere

LAURA TRICOMI-Consigliere – Rel.

LAURA SCALIA-Consigliere

ALBERTO PAZZI-Consigliere

SENTENZA

sul ricorso NN/AA proposto da:

P. C., elettivamente domiciliato in R. , V.le … , presso lo studio dell’avvocato Mariella Stefano, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati M. T. D. S., U. R., giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del prefetto pro tempore, domiciliato in R. , Via … , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, ope legis

– resistente –

avverso la sentenza n. NN/AA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il NN/NN/AA ; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del NN/NN/AA da T. L. udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale S. F. , che ha concluso per l’accoglimento

FATTI DI CAUSA

C. P. ricorre con un mezzo per la revocazione della sentenza di questa Corte n. NN/AA del NN.NN.AA , che – nel dichiarare inammissibile il ricorso da lui proposto per ottenere la cassazione dell’ordinanza del Tribunale di Treviso che aveva dichiarato estinto il giudizio di opposizione al verbale di accertamento dell’infrazione al C.d.S. che gli era stata contestata – lo ha condannato al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero dell’Interno, sua controparte processuale.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorso, esaminato dalla Sezione civile Sesta-Prima, è stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. NN/AA.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. A sostegno della domanda di revocazione, P. deduce, con l’unico motivo, la violazione degli artt.370, 366, secondo comma, e 91 cod. proc. civ. , assumendo che il controricorso, notificatogli dal Ministero presso la cancelleria della Corte anziché all’indirizzo di posta elettronica certificata del suo procuratore domiciliatario, indicato in ricorso, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

Rileva, pertanto, che, poiché il Ministero non ha svolto attività difensiva in udienza, la statuizione di condanna alle spese è frutto di un errore materiale.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

3. Le SS.UU., con la sentenza n. NN/AA, hanno infatti affermato che, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 cod. proc. civ., apportate dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 cod. proc. civ. per gli atti di parte e dall’art. 366 cod. proc. civ. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine.

È stato inoltre puntualizzato che il ricorrente soccombente non può essere condannato al pagamento delle spese di lite in favore della controparte, qualora quest’ultima non abbia fornito prova dell’avvenuta notifica per via telematica del controricorso (Cass. n. NN del NN/NN/AA ).

Ne consegue che nel caso di specie, in cui il procuratore della ricorrente ha indicato l’indirizzo PEC, il controricorso avrebbe dovuto essere notificato a tale indirizzo e che, in difetto, la notifica presso la cancelleria della Corte avrebbe dovuto ritenersi nulla, con conseguente rilievo dell’inammissibilità del controricorso.

Non risulta, inoltre, che il Ministero abbia svolto attività difensiva all’udienza pubblica, di guisa che alcuna statuizione sulle spese avrebbe dovuto essere assunta.

La statuizione di condanna del P. al pagamento delle spese processuali, fondata sull’erroneo presupposto dell’ammissibilità del controricorso, va pertanto revocata.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso e revoca la sentenza n. NN/AA limitatamente al capo relativo alla condanna alle spese del giudizio di legittimità;

– Condanna il Ministero dell’Interno alla refusione delle spese del presente giudizio che liquida in €.1.500,00=, oltre €.200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, accessori di legge.

Così deciso in Roma, il giorno 12 febbraio 2019.

Il consigliere estensore                                                                                    Il Presidente

      (Laura Triconi)                                                            (Maria Cristina Giancola)

Cass., sez. I, sent. 10 aprile 2019 n. 10102 (Pres. Giancola, rel. Tricomi) Leggi tutto »

Cass., sez. VI-1, ord. 9 aprile 2019 n. 9897 (Pres. Di Virgilio, rel. Campese)

ATTENZIONE

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Notifica ex art. 15 l.f. – Ricevuta di avvenuta consegna – Validità – Fino a querela di falso – Esclusione – Opponibilità ai terzi – Sussiste – Presenza degli allegati – Contestazione – Deduzione di errori tecnici o della non corrispondenza tra i file attestati come allegati e file realmente pervenuti – Mancanza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE -1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott.ssa ROSA MARIA DI VIRGILIO-Presidente

Dott. ANDREA SCALD.AFERRI-Consigliere

Dott.ssa MARIA ACIERNO-Consigliere

Dott. GUIDO MERCOLINO-Consigliere

Dott. EDUARDO CAMPESE-Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 386-2018 proposto da:

C. R. D. , nella qualità di titolare della ditta individuale C, D. di C. R. D.,.elettivamente domiciliato in R. , VIA … , presso lo studio dell’avvocato M. Z., rappresentato e difeso dall’avvocato A. C. D. G.;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA DITTA C. D. DI C. R. , in persona del Curatore fallimentare, elettivamente domiciliata in R. , VIA …, presso lo studio dell’avvocato V. C. , rappresentata e difesa dall’avvocato V. P. ;

– controriorrente –

avverso la sentenza n. NN/AA della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il NN/NN/AA ;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del NN/NN/AA dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.

FATTI DI CAUSA

1. R. D . C. , titolare della ditta individuale C. D. , ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del NN/NN/AA , reiettiva del reclamo da lui proposto, in proprio e nella indicata qualità, contro la dichiarazione di fallimento della menzionata C. D. di R. D. C. , pronunciata dal Tribunale di Marsala su ricorso della H. S. I. s.r.l. .Resiste, con controricorso, la curatela fallimentare, mentre non ha spiegato difese, in questa sede, la creditrice istante ex art. 6 1.fall..

1.1. Per quanto ancora di interesse, quella corte, nel disattendere le corrispondenti doglianze del reclamante, ritenne che dalla documentazione in atti emergesse: i) «la regolarità della notifica effettuata dalla cancelleria del Tribunale di Marsala mediante PEC del NN/NN/AA. In particolare, dall’attestazione telematica prodotta dalla curatela fallimentare risulta che la cancelleria ha provveduto ad eseguire la notifica, ai sensi dell’art. 15, comma 3, 1.fall., trasmettendo all’indirizzo PEC dell’impresa debitrice: il ricorso per la dichiarazione di fallimento; il provvedimento di designazione del giudice relatore; il decreto di fissazione dell’udienza del NN/NN/AA»; il superamento del requisito di cui all’art. 15, ultimo comma,l.fall..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) «violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 3, 1.fall., in relazione agli artt. 136 e ss. cod. proc. civ.». Si ascrive alla corte distrettuale di aver erroneamente considerato ritualmente instaurato, nei confronti della parte debitrice, il procedimento prefallimentare, atteso che la ricevuta di avvenuta consegna (RAC) – generata, automaticamente, dal sistema informatico di gestione della posta elettronica – relativa alla notificazione eseguita, ex art. 15, comma 3, 1.fall., dalla cancelleria del Tribunale di Marsala, forniva la dimostrazione, peraltro superabile da prova contraria, solo dell’avvenuta ricezione del corrispondente messaggio, ma non anche dell’effettiva presenza, in esso, dei documenti che ivi risultavano indicati come allegati. Si ribadisce, che unico allegato a quel messaggio era stato il decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare;

II) «violazione e falsa applicazione dell’art. 101 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 136 e ss. cod. proc. civ. e 15, comma 3, 1.fall.». Si sostiene che, non risultando il ricorso di fallimento tra gli allegati di cui al suddetto messaggio, la fallenda non aveva avuto conoscenza della circostanza che la creditrice istante ex art. 6 1.fall. aveva inteso avvalersi delle risultanze dell’allegata visura protesti al fine di dimostrare la sussistenza del requisito di cui all’art. 15, ultimo comma,l.fall..

2. Le descritte doglianze, esaminabili congiuntamente perché chiaramente connesse, sono manifestamente infondate.

2.1. Invero, pure sottacendosi l’evidente profilo di inammissibilità del ricorso per inosservanza, in esso, dell’onere, ex art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., di indicazione specifica degli atti e dei documenti su cui si fonda (fr., wnplius, Cass. n. NN del AA ) – non è ivi riprodotto, infatti, il contenuto del file che, solo, si assume essere stato allegato al messaggio di notificazione ex art. 15, comma 3, 1.fall., proveniente dalla cancelleria del Tribunale di Marsala, asseritamente recante solo il decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare, e non anche il ricorso per dichiarazione di fallimento proposto dalla H. S. I. s.r.l. contro la C.

D. di R. D. C. , né si dice se e dove tale file sarebbe esaminabile in quanto prodotto in questo giudizio di legittimità, senza, peraltro, che, per evitarne la produzione ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., si sia inteso fare riferimento alla presenza nel fascicolo d’ufficio (alla stregua di Cass., SU, n. NN del AA) – va, comunque, rimarcato che ciò di cui oggi sostanzialmente si duole il ricorrente non è la mancata ricezione del messaggio suddetto (rectius: la mancata consegna dello stesso presso la sua casella di posta elettronica certificata), quanto, piuttosto, l’assenza, tra i suoi allegati, diversamente da quanto, in contrario, desumibile dalla corrispondente attestazione di cancelleria del Tribunale di Marsala, del menzionato ricorso della H. S. I. s.r.l. circostanza, quest’ultima, che gli avrebbe impedito di difendersi adeguatamente, nemmeno avendo avuto conoscenza del fatto che la creditrice istante ex art. 6 1.fall. aveva inteso avvalersi delle risultanze dell’allegata visura protesti al fine di dimostrare la sussistenza del requisito di cui all’art. 15, ultimo comma,1.fall..

2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, come è noto, nell’ambito dei procedimenti per la dichiarazione di fallimento introdotti, come quello oggi in esame, dopo il NN/NN/AA, ai sensi dell’art. 15, comma 3, 1.fall., come sostituito dall’art. 17, comma 1, lettera a), del d.l. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, la cancelleria procede direttamente alla notifica al debitore del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, mediante trasmissione di tali atti in formato digitale all’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del destinatario risultante dal registro delle imprese, ovvero dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata. Solo nel caso in cui ciò risulti impossibile, o se la notifica abbia avuto esito negativo, della stessa viene onerato il creditore istante che dovrà procedervi a mezzo di ufficiale giudiziario, il quale, a tal fine, dovrà accedere di persona presso la sede legale del debitore con successivo deposito nella casa comunale, ove il destinatario non sia li reperito.

2.2.1. Su un piano processuale più generale, poi, l’art. 16, comma 4, del menzionato d.l. n. 179 del 2012, ha stabilito che – al termine di un articolato periodo transitorio oggi concluso (art. 16, comma 9, d.l. n. 179 del 2012) – in tutti i procedimenti civili presso i tribunali e le corti d’appello, “le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria” sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

2.2.2. Inoltre, l’art. 16 del d.m. 21 febbraio 2011 n. 44 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione), stabilisce che le comunicazioni e le notificazioni telematiche su iniziativa del cancelliere si intendono perfezionate “nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario”, rinviando, poi, per i relativi effetti giuridici, senz’altro agli artt. 45 e 48 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (cd. Codice dell’amministrazione digitale).

2.2.3. In forza del detto rinvio, allora, deve ritenersi che il documento informatico trasmesso per via telematica “si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore” art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005) e che la trasmissione telematica del documento, salvo che la legge disponga diversamente, equivale “alla notificazione per mezzo della posta” (di-. art. 48, comma 2, d.lgs. n. 82 del 2005), mentre la data, l’ora di trasmissione e quella di ricezione del documento informatico trasmesso via PEC “sono opponibili ai terzi”, quando la notifica sia avvenuta in conformità alle previsioni di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005 n. 68, recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, alle relative regole tecniche (d-r. art. 48, comma 3, del d.lgs. n. 82 del 2005). A sua volta, l’art. 6 del richiamato d.P.R. n. 68 del 2005 sancisce che il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario deve fornire al mittente, presso il suo indirizzo elettronico, la cd. “ricevuta di avvenuta consegna” (RAC), soggiungendo che questa ricevuta “fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario”.

2.3. Questa Corte, infine, ha già ritenuto che, in tema di notifiche telematiche nei procedimenti civili, compresi quelli cd. prefallimentari, la ricevuta di avvenuta consegna (RAC), rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario, costituisce documento idoneo a dimostrare, fino a prova contraria, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario, senza tuttavia assurgere a quella “certezza pubblica” propria degli atti facenti fede fino a querela di falso, atteso che, da un lato, atti dotati di siffatta speciale efficacia, incidendo sulle libertà costituzionali e sull’autonomia privata, costituiscono un numero chiuso e non sono suscettibili di estensione analogica, e, dall’altro, che l’art. 16 del d.m. n. 44 del 2011 si esprime in termini di “opponibilità” ai terzi ovvero di semplice “prova” dell’avvenuta consegna del messaggio, e ciò tanto più che le attestazioni rilasciate dal gestore del servizio di posta elettronica certificata, a differenza di quelle apposte sull’avviso di ricevimento dall’agente postale nelle notifiche a mezzo posta, aventi fede privilegiata, non si fondano su un’attività allo stesso delegata dall’ufficiale giudiziario (dì-. Cass. n. NN del AA; Cass. n. NN del AA). Ha inoltre precisato (r., in motivazione, Cass. n. NN del AA) che, nelle notificazioni telematiche previste in ipotesi specifiche (art. 6, comma 8, del d.lgs n. 150 del 2011; art. 15 1.fall.), il contenuto del messaggio consiste nella menzione espressa del tipo di atto quale «notificazione» e la prova è costituita dalla RAC completa (Specifiche 16/4/2014, – art 17: <da ricevuta di avvenuta consegna è di tipo breve per le comunicazioni e di tipo completo per le notificazioni»).

2.4. Applicando, dunque, i riportati principi alla odierna fattispecie, va rilevato che la curatela ha dedotto e documentato (riproducendo, nel proprio controricorso, il contenuto della corrispondente attestazione di cancelleria), che, il NN/NN/AA, la cancelleria del Tribunale di Marsala aveva inviato il messaggio di posta

elettronica certificata de quo alla C. D. di R. D. C. all’indirizzo di posta elettronica dichiarato da quest’ultima e che tale messaggio era stato consegnato, come emerge dalla ricevuta rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata (oltre ad essere pacifica la relativa circostanza, investendo, come si è già detto, la contestazione del ricorrente, non la ricezione del messaggio, bensì, la presenza, tra i suoi allegati, anche del ricorso di fallimento della H. S. I.  s.r.l.); nella stessa attestazione del cancelliere si è indicato che a detto messaggio risultavano allegati il suddetto ricorso di fallimento, il provvedimento di designazione del giudice relatore del NN/NN/AA ed il decreto di fissazione dell’udienza camerale prefallimentare del NN/NN/AA.

2.4.1. Posto, allora, che, come si è visto, l’ordinamento richiede la formazione della ricevuta di avvenuta consegna del messaggio telematico con espressa attestazione della notificazione eseguita e dei file allegati, deve ritenersi corretto l’assunto della corte palermitana secondo cui la suddetta attestazione di cancelleria fosse, in realtà, espressiva della ricevuta di avvenuta completa consegna degli atti contemplata dalla legge.

2.4.2. Infatti, come già sancito dalla recente Cass. n. 29732 del 2018, la disciplina normativa del processo telematico non consente la contestazione dell’avvenuta notificazione degli atti digitali una volta generata la ricevuta di consegna telematica nelle forme di legge, salva espressa deduzione di errore tecnici, riferibili al sistema informatizzato, ovvero una documentata contestazione della reale corrispondenza tra quanto indicato nella suddetta ricevuta e quanto realmente pervenuto al destinatario nella propria casella di posta elettronica certificata.

2.4.3. Nella odierna fattispecie, però, da un lato, il ricorrente non ha dedotto alcun errore tecnico del sistema telematico; dall’altro, si rivela inammissibile – quanto meno per inosservanza dell’onere ex art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., di indicazione specifica degli atti e dei documenti su cui si fonda (fr., amp/ius, Cass. n. 23452 del 2017) – il suo assunto volto a sostenere la pretesa discordanza, sotto il profilo della loro incompletezza (per mancanza di quello contenente il ricorso di fallimento della H. S. I. s.r.l.), tra la tipologia di files attestati dal cancelliere del tribunale siciliano come allegati nel messaggio inviato tramite PEC e quelli ivi, a suo dire, rinvenuti, nemmeno avendo riprodotto il contenuto del file che, solo, assume essergli stato inviato dalla cancelleria del suddetto tribunale.

2.5. La carenza di un’adeguata dimostrazione della incompletezza/parziarietà dei/11es predetti, con conseguente conferma della ritualità, ritenuta dalla corte distrettuale, della instaurazione del contraddittorio, nei confronti della C. D. di R. D. C. , in ordine al ricorso per dichiarazione di fallimento presentato contro quest’ultima dalla H. S. I. s.r.l., rende, infine, evidentemente, priva di fondamento anche l’ulteriore censura del ricorrente di non aver avuto contezza del contenuto di quel ricorso e della volontà della sua creditrice di volersi avvalere delle risultanze della allegata visura protesti al fine di dimostrare la sussistenza del requisito di cui all’art. 15, ultimo comma,1.fall..

3. Alla declaratoria di manifesta infondatezza del ricorso segue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, in favore della sola curatela fallimentare controricorrente, altresì rilevandosi che sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso, e condanna R. D. C. , nella indicata qualità, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla curatela controricorrente, liquidate in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% , agli esborsi liquidati in € 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 12 marzo 2019.

Il Presidente

Dtt.ssa Rosa Maria Di Virgilio

Cass., sez. VI-1, ord. 9 aprile 2019 n. 9897 (Pres. Di Virgilio, rel. Campese) Leggi tutto »

Cass., sez. VI-L, ord. 5 aprile 2019 n. 9562 (Pres. Doronzo, rel. Esposito)

ATTENZIONE

L’attività redazionale di anonimizzazione e di pubblicazione in un formato accessibile dei testi dei provvedimenti richiede un impegno notevole. I provvedimenti sono pubblici e possono essere liberamente riprodotti: qualora vengano estrapolati dal presente sito, si prega di citare quale fonte www.processociviletelematico.it

Impugnazioni – Notifiche a mezzo PEC – Notifica dell’atto di appello – Notifica a difensore costituito in primo grado – Cessazione del rapporto di impiego del difensore (INPS) – Rinnovazione – Notifica a mezzo PEC all’INPS – Invio all’indirizzo risultante dal ReGIndE – Mancata indicazione – Inammissibilità

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE – L

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADRIANA DORONZO – Presidente –

Dott. LUCIA ESPOSITO – Rel. Consigliere –

Dott. GIULIO FERNANDES – Consigliere –

Dott. PAOLA GHINOY – Consigliere –

Dott. LUIGI CAVALLARO – Consigliere –

Ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso NN-AA proposto da:

C. F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati O. L., P. S.;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, ***, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati A. C., V. T., V. S.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1410/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 14/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/12/2018 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA ESPOSITO.

RILEVATO CHE

Il Tribunale di Bari accoglieva l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’Inps nei confronti di C. F.;

la Corte d’appello di Bari, adita a seguito di impugnazione del C., dopo aver disposto il rinnovo della notificazione dell’atto all’Inps presso la sede legale in Roma, a seguito dell’accertata notifica dell’atto d’impugnazione al difensore costituito per l’Istituto in primo grado che era cessato dal rapporto di impiego, dichiarava inammissibile l’impugnazione perché l’appellante aveva rinotificato l’atto presso la sede dell’Inps di Bari;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione C. F. con tre motivi;

l’Inps resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

CONSIDERATO CHE

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 301 c.1 c.p.c., rilevando che la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare quanto disposto nell’art. 301 c.p.c. e dichiarare il processo interrotto;

con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 85, 291 c. 1 e 330 c.p.c., specificamente: 1) in relazione all’art. 85 c.p.c., poiché l’ordinanza con cui era stata disposta la rinotifica doveva ritenersi viziata, non essendovi traccia della cancellazione dall’albo del difensore in primo grado 2) in relazione all’art. 330 c.p.c., poiché l’atto doveva essere ritenuto validamente notificato al domicilio eletto per il giudizio, e ciò sia in caso di persistenza che in caso di perdita dello ius postulandi 3) in relazione all’art. 291 c.p.c., poiché era stata effettuata validamente anche la rinotifica all’Inps di Roma a mezzo pec;

con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., perché era stata omesso l’esame della domanda nel merito in ragione della pronunciata inammissibilità;

il primo motivo di ricorso è inammissibile, poiché ogni questione attinente alle condizioni che avrebbero legittimato l’interruzione del processo risultano superate in ragione della intervenuta concessione di nuovo termine per la notifica;

in ordine al secondo motivo, quanto ai profili sub 1 e 2, oltre a valere il rilievo esposto con riferimento al primo motivo, si evidenzia la carenza di specificità, in mancanza di adeguata allegazione e trascrizione in termini di autosufficienza, specificamente con riferimento alla documentazione da cui risulti l’asserita iscrizione all’albo del difensore costituito per l’Istituto nel giudizio di primo grado (Cass. n. 5478 del 07/03/2018);

in relazione al terzo profilo, va rilevata la carenza di specificità in relazione alla presunta valida notifica mediante PEC, poiché non è stato dedotto che l’indirizzo al quale è stata inviata la notifica sia quello risultante dal Registro Generale degli indirizzi elettronici (ReGindE), né è stata prodotta copia di detto registro (si veda Cass. n. 11574 del 11/05/2018: <In tema di notificazione a mezzo PEC, ai sensi del combinato disposto dell’art. 149 bis c.p.c. e dell’art. 16 ter del d.l. n. 179 del 2012, introdotto dalla legge di conversione n. 221 del 2012, l’indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell’atto è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (Reginde), unicamente quello risultante da tale registro. Ne consegue, ai sensi dell’art. 160 c.p.c., la nullità della notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario>, conforme Cass. n. 13224 del 25/05/2018), ed inoltre non risulta dimostrata la tempestività della notifica rispetto al termine concesso, tanto più che la stessa risulta effettuata il giorno in cui si è tenuta l’udienza;

il terzo motivo resta assorbito a seguito della declaratoria di inammissibilità degli altri due, risultando confermata la decisione in rito della causa, in quanto tale preclusiva della decisione nel merito;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.000,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma il 18/12/2018

Il Presidente

Adriana Doronzo

Cass., sez. VI-L, ord. 5 aprile 2019 n. 9562 (Pres. Doronzo, rel. Esposito) Leggi tutto »