Mancata attestazione di conformità del provvedimento notificato a mezzo PEC e improcedibilità del ricorso per Cassazione: alcune riflessioni critiche sulla giurisprudenza di legittimità

Avvocato in Milano e formatore PCT

Lo scorso luglio è stata pubblicata la sentenza n. 17450 della Sezione Terza della Corte di Cassazione.

La Corte ha dichiarato l’improcedibilità di un ricorso su eccezione presentata dal pubblico Ministero, in ragione del mancato deposito, come previsto dall’art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c., “della copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”.

Nel caso in esame, il ricorrente aveva prodotto la mera copia della relata di notificazione relativa al provvedimento impugnato, priva della dichiarazione di conformità da attestarsi ex Lege 53/1994.

Il ricorrente, infatti, ricevuta la notificazione della sentenza sulla propria casella di posta elettronica certificata, si è costituito nel giudizio di legittimità allegando la mera stampa del messaggio di PEC ricevuto nella propria casella, con i relativi allegati, compresa, quindi, la relazione di notificazione.

Neppure la parte resistente ha prodotto copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notifica, mentre agli atti è stata prodotta la copia autentica della sentenza, rilasciata dalla cancelleria della Corte di Appello di Venezia (che ha emesso il provvedimento impugnato).

La Corte, enunciando il principio che di seguito si trascrive,

in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematica ai sensi dell’art. 3-bis della legge n. 53 del 1994, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione ex art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ., il difensore del ricorrente, destinatario della notificazione, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art. 3-bis, comma 5, della legge n. 53 del 1994, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare queste ultime presso la cancelleria della Corte entro il termine stabilito dalla disposizione codicistica,

sanziona dunque con l’improcedibilità il comportamento del difensore che abbia omesso di dichiarare conforme quanto ricevuto a mezzo posta elettronica certificata, per la violazione della legge in materia di notificazioni in proprio a mezzo PEC, con conseguente mancata prova valida della data in cui è avvenuta la notificazione e con impossibilità per la Corte di verificare la tempestività della notifica del ricorso per Cassazione.

Gli elementi della decisione che si prestano ad una critica sono due:

– il primo è relativo alla mancanza di una norma specifica che disciplina le modalità di attestazione di conformità della relazione di notificazione allorquando deve procedere alla sua produzione nel procedimento il difensore ricevente (ed infatti la Corte di Cassazione applica l’art. 9 della L. 53 del 1994, estensivamente);

– il secondo al fatto che esiste, in pieno regime di obbligatorietà, l’impossibilità di dare la prova telematica della notificazione in Cassazione, che non comporta per il difensore alcuna attività certificativa.

La decisione dalla Corte ha destato molte preoccupazioni. Si cita, a tale proposito, la recente determina del Consiglio Nazionale Forense che ha sottolineato come, recentemente, alcune sentenze della Corte di Cassazione (tra cui quella oggetto del presente commento), sarebbero connotate da un eccessivo formalismo che determina sanzioni di improcedibilità non condivisibili e non giustificabili, anche alla luce dei principi del giusto processo (art. 111 Costituzione), dell’articolo 6 p. 1 della CEDU (diritto di accesso al Tribunale), e dell’art. 47 della Carta di Nizza (che impone la ricerca di un punto di equilibrio che, con riguardo ai limiti delle impugnazioni, consenta di bilanciare la esigenza funzionale di porre regole di accesso alle impugnazioni con quella a un equo processo, da celebrare in tempi ragionevoli).

Ora, sono stati i due limiti, normativo e tecnico (non certamente imputabili al difensore), a determinare, a parere di chi scrive, la dichiarazione di improcedibilità: il difensore ricevente non aveva una specifica norma di riferimento (tanto che la Corte di legittimità ha imposto una interpretazione estensiva di quanto disposto per la parte che esegue la notificazione), cosicché ha prodotto la mera copia della relazione, senza attestazione di conformità, nell’impossibilità di procedere con il deposito telematico del messaggio ricevuto sulla propria casella PEC (impossibilità di natura tecnica).

Benché, l’applicazione estensiva, o analogica, della norma sulla prova della notificazione per il difensore del ricevente sia un’apertura interpretativa importante (che consentirebbe l’estensione del potere certificativo dell’avvocato anche a casi diversi da quelli espressamente disciplinati dalla norma), si ritiene che, nel caso di specie, ben si poteva evitare la sanzione dell’improcedibilità, applicando il principio dell’equipollenza, già utilizzato dalla Corte di Cassazione, considerato che, nel caso di specie, non vi era contestazione in merito alla data in cui era avvenuta la notificazione del provvedimento, anzi la parte avversa ha esplicitamente riconosciuto ed ammesso la notificazione in quella data e il difensore ha comunque prodotto la copia del messaggio, seppur privo di dichiarazione di conformità.

Poteva, quindi, ben poter essere argomentato che la copia del messaggio, attestante la notificazione nella data riconosciuta dalla parte avversaria, anche se priva di dichiarazione, fosse idonea a provare la notificazione della sentenza in quella data, rilevando altresì che quanto indicato come data nella relata è inutile sotto il profilo del momento di perfezionamento della notifica: solo nella copia del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto è attestata, infatti, la data in cui il messaggio completo dei suoi allegati è stato messo a disposizione nella casella di posta elettronica del destinatario.

La mera copia cartacea del messaggio ricevuto dal destinatario della notificazione ben poteva altresì essere considerata valida anche in base ai principi generali del CAD – Codice Amministrazione Digitale – secondo il quale, all’art. 23 comma 2, le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta.

In conclusione, la certificazione dell’avvocato poteva ritenersi non necessaria se si fosse considerato che la prova della notificazione del provvedimento impugnato è costituito da un file, che altro non è se non un documento informatico conforme alle vigenti regole tecniche.

Tale interpretazione risulterebbe anche conforme ai principi più volte espressi dalla stessa Corte di Cassazione relativamente al diritto al giusto processo, richiamati dallo stesso Presidente del CNF. Nella sentenza n. 26338 del 7 novembre 2017, Sezioni Unite, si legge, espressamente:

“La giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di inammissibilità o improcedibilità dei ricorsi è da tempo interessata da un’impronta coerenziatrice di questo segno.

Essa è ispirata dall’art. 6 § 1 della Convenzione EDU, che tutela il «diritto a un Tribunale», di cui il diritto di accesso costituisce un aspetto particolare. Secondo la giurisprudenza della Corte EDU, nell’ambito del margine di apprezzamento (cfr CEDU, 18.2.1999, Waite c. Gov. Germania Federale), che ha uno Stato, le regole formali non possono limitare l’accesso della parte in causa in maniera o a un punto tali che il suo diritto a un tribunale venga leso nella sua stessa sostanza.

Ogni limitazione si concilia con l’art. 6 § 1 soltanto se tende ad uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito (cfr Corte eur. DU 16.6.2015 ric. Mazzoni N. 20485/06; e ancora la sentenza 15.9.2016 sul ricorso n. 32610/07 in causa Trevisanato, sull’art. 366 bis c.p.c.).

Giova pertanto ricordare l’ordinanza 1081/16 e la successiva Cassazione SU 25513/2016, che hanno censito altre pronunce della Corte EDU, nell’ottica di bilanciare la esigenza funzionale di porre regole di accesso alle impugnazioni con quella a un equo processo, da celebrare in tempi ragionevoli, come prescritto dall’art. 47 della Carta di Nizza.

Mette conto menzionare esempi di temperamento razionale che hanno rivisitato la disciplina del giudizio di Cassazione alla luce dell’art. 111 Costituzione e delle normative sovrannazionali, quali Cass. 22726/11 e SU 23329/09 in tema di oneri di cui all’articolo 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.”.

Appare dunque tutto già scritto: si tratta solo di stabilire, in seno a ciascun processo, quale sia il diritto da garantire e quale la limitazione da attuare, e giudicarne la giusta proporzionalità.

Nel caso trattato dalla terza sezione della Cassazione, pare davvero difficile considerare prevalente il formalismo dell’attestazione di conformità, posta l’assenza di eccezioni, il riconoscimento da parte del soggetto che ha effettuato la notificazione, la mancanza di una norma specifica che imponga il formalismo medesimo, espressamente attribuito al solo difensore del mittente e non del ricevente la notificazione.

Non resta quindi che auspicare una modifica di indirizzo, sulla base dei principi già espressi dalla stessa Corte di Cassazione.