Il perfezionamento del deposito telematico: una rilettura giurisprudenziale sull’onere probatorio dopo Cass. 15801/2025

di Elisabetta Zimbè Zaire – Avvocato in Busto Arsizio


Il Processo Civile Telematico (PCT) ha introdotto una rivoluzione nella giustizia italiana, con importanti ricadute sul piano della celerità ed efficienza. Tuttavia, la sua struttura digitale ha generato nuove problematiche, soprattutto in caso di rifiuto del deposito da parte della Cancelleria. In questo contesto si colloca l’Ordinanza n. 15801 del 13 giugno 2025 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione: una pronuncia destinata a ridefinire l’onere probatorio in capo al difensore, nei casi in cui un deposito telematico non si perfezioni. L’ordinanza punta a tutelare l’effettività del diritto di difesa, impedendo che la forma diventi ostacolo alla sostanza.

Il caso: un onere probatorio “diabolico”

La controversia nasce da un giudizio di opposizione allo stato passivo, nell’ambito di una procedura concorsuale. Il difensore di un consorzio, in data 14 marzo 2016, effettuava il deposito telematico di un atto. Tuttavia, il 18 marzo 2016, la Cancelleria ne respingeva la ricezione, notificandone l’esito tramite la quarta PEC.

Il creditore, agendo con sollecitudine, presentava l’atto in formato cartaceo il 30 marzo 2016 e chiedeva la rimessione in termini il 1° aprile 2016. Tuttavia, il Tribunale di Teramo rigettava l’istanza, ritenendo che, pur in presenza delle quattro ricevute PEC (accettazione, consegna, esito controlli e rifiuto), mancasse la prova della tempestività e regolarità del primo deposito. In particolare, secondo il giudice di merito, l’onere della parte si sarebbe esteso alla produzione dell’intero pacchetto informatico originariamente inviato, con allegati e dati tecnici.

Esempio pratico: quando il sistema rifiuta senza colpa

Si immagini l’avvocato Rossi che, nel rispetto dei termini di legge, invii un ricorso per decreto ingiuntivo tramite PCT il 15 settembre. Riceve:

  • PEC di accettazione alle ore 15:02,
  • PEC di consegna alle ore 15:03,
  • PEC sull’esito dei controlli alle 15:04, con esito positivo.

Tuttavia, il giorno seguente, la Cancelleria invia la quarta PEC, che rifiuta il deposito per “assenza dell’allegato procura”, nonostante l’avvocato abbia effettivamente incluso il file .pdf firmato digitalmente.

Rossi, accortosi dell’anomalia, deposita nuovamente l’atto il 16 settembre, corredato da istanza di rimessione in termini. In giudizio, allega le quattro PEC, specifica che la procura era presente nel pacchetto originario e contesta l’errore della Cancelleria.

Prima dell’ordinanza 15801/2025, il giudice avrebbe potuto rigettare la richiesta, ritenendo necessario che Rossi producesse anche il pacchetto informatico originale con annessi file XML, .pdf e segnature di protocollo. Ora, invece, grazie al nuovo principio, la sua condotta reattiva e la produzione delle PEC risultano sufficienti ad assolvere all’onere probatorio.

Cosa scrivere nella nota di deposito (o nell’istanza di rimessione in termini)?

“Il primo deposito del [data] è stato rifiutato dalla Cancelleria per ‘formato allegati non conforme’, come da PEC di rifiuto prot. [numero]. Si provvede ora a nuovo deposito con allegati in formato corretto, contestando la validità del rifiuto iniziale in quanto dovuto a mera irregolarità formale sanabile.”

 Quale documentazione serve?

Solo due elementi:

  • la PEC di rifiuto, che dimostra la causa del mancato deposito;
  • il nuovo deposito, formalmente corretto.

E l’onere della prova?

Non ricade sull’avvocato.
Non deve dimostrare che il primo formato fosse conforme, né spiegare le ragioni tecniche dell’errore. Spetta alla controparte, se intende sollevare eccezioni, dimostrare che il primo atto era affetto da vizi ben più gravi, come un difetto di contenuto, una mancanza essenziale o un’irregolarità insanabile.

La fattispecie a formazione progressiva del deposito telematico

Per comprendere la portata dell’ordinanza, occorre considerare la struttura del deposito telematico, che si compone di una sequenza articolata di quattro PEC:

  1. PEC di accettazione: conferma che il messaggio è stato accettato dal gestore PEC del mittente.
  2. PEC di avvenuta consegna (RdAC): attesta la ricezione nella casella PEC dell’ufficio giudiziario.
  3. PEC sull’esito dei controlli automatici: comunica l’esito dei controlli tecnici (formato, dimensione, mittente, ecc.).
  4. PEC della Cancelleria: conferma o rifiuta l’acquisizione dell’atto nel fascicolo telematico.

Nel caso in esame, il rifiuto è giunto con la quarta PEC, mentre le tre precedenti erano regolarmente generate. Il punto controverso era se, in presenza di queste ricevute, fosse legittimo pretendere ulteriori elementi probatori.

Il principio della Cassazione: addio all’onere “diabolico”

Accogliendo il ricorso, la Corte ha stabilito un principio di diritto innovativo, ridimensionando gli obblighi probatori del difensore. La Suprema Corte ha chiarito che:

  • L’assenza o il rifiuto della quarta PEC non determina automaticamente la decadenza.
  • La parte è tenuta ad attivarsi con immediatezza, mediante:
    • un nuovo deposito, in continuità con quello rifiutato;
    • ovvero un’istanza di rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c.

È dirimente la precisazione secondo cui la parte adempie l’onere probatorio allegando le ragioni del rifiuto contenute nella quarta PEC e contestandone la fondatezza. Non è più richiesto produrre i file originari, i contenuti degli allegati, né i dati tecnici del fascicolo.

Al contrario, spetta alla controparte dimostrare che il deposito era viziato da profili diversi da quelli esplicitati nella quarta PEC. Il Tribunale di Teramo ha quindi errato nel richiedere prove tecniche sproporzionate, una volta provata la sequenza PEC e la tempestiva reazione del difensore.

Massima dell’ordinanza 15801/2025

«Nell’ipotesi in cui la quarta p.e.c. dia esito non favorevole, la parte ha l’onere di attivarsi con immediatezza per rimediare al mancato perfezionamento del deposito telematico; la reazione immediata si sostanzia, alternativamente e secondo i casi, in un nuovo tempestivo deposito, da considerare in continuazione con la precedente attività, previa contestazione delle ragioni del rifiuto; in una tempestiva formulazione dell’istanza di rimessione in termini ove la decadenza si assuma in effetti avvenuta ma per fatto non imputabile alla parte. Nel primo caso, a fronte di un’apparente regolarità della dinamica comunicatoria, la parte assolve l’onere di completezza delle proprie deduzioni allegando le ragioni del rifiuto indicate dalla cancelleria all’interno della quarta p.e.c. e contestando la fondatezza delle stesse, mentre spetta alla controparte promuovere e fornire la prova di eventuali contestazioni diverse da quelle che hanno giustificato il rifiuto.»

Considerazioni sistematiche: equilibrio tra forma e difesa

L’ordinanza si colloca in un filone giurisprudenziale volto a riequilibrare forma e sostanza, tecnicismo e giusto processo (art. 24 Cost.). Il deposito non perfezionato non equivale a inesistenza o nullità dell’attività, se vi è stata concreta diligenza difensiva.

La Corte, in linea con la tutela effettiva dei diritti, rifiuta che l’avvocato sia soggetto a un onere “impossibile”, consistente nella ricostruzione tecnica forense del malfunzionamento. L’attenzione si sposta sulla tempestività della reazione e sulla effettività della condotta processuale, e non sulla produzione di elementi estranei alla disponibilità del difensore.

Implicazioni pratiche: una nuova guida per l’avvocato telematico

Questa decisione offre indicazioni preziose per la prassi:

  • Strategia difensiva più snella: Non è più necessario produrre l’intero pacchetto atto, ma è sufficiente contestare le ragioni del rifiuto.
  • Attivazione immediata: È fondamentale agire tempestivamente, con nuovo deposito o istanza ex art. 153 c.p.c.
  • Centralità delle PEC: Le prime tre PEC costituiscono presunzione di corretto inoltro; solo la quarta PEC può interrompere il perfezionamento, ma va motivata e contestata.

La Cassazione, dunque, restituisce centralità al comportamento processuale effettivo dell’avvocato, valorizzando la diligenza e liberandolo da oneri probatori sproporzionati, in un’ottica coerente con i principi del processo equo.