Equità necessaria, valore indeterminato e impugnabilità: la Cassazione rilegge l’art. 339, co. 3 c.p.c. con l’ordinanza n. 8972/2025

di Elisabetta Zimbè Zaire – Avvocato in Busto Arsizio


Con l’ordinanza n. 8972 del 4 aprile 2025, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata ad affrontare un tema di rilevante interesse sistematico: la determinazione del valore della causa ai fini della impugnabilità delle sentenze del Giudice di Pace rese secondo il criterio dell’equità “necessaria”, ex art. 113, comma 2, c.p.c., in combinato disposto con l’art. 339, comma 3, c.p.c.

Il quadro normativo: tra equità e diritto

L’art. 113, comma 2, c.p.c. dispone che il Giudice di Pace giudica secondo equità nelle cause di valore non eccedente euro 1.100, salva diversa previsione legislativa. A sua volta, l’art. 339, comma 3, c.p.c. prevede l’inappellabilità delle sentenze pronunciate secondo equità, salvo che ricorra la violazione di norme costituzionali o dell’ordinamento europeo.

La ratio del divieto di appello risiede nella particolare natura del giudizio equitativo, ritenuto, tradizionalmente, fisiologicamente refrattario al sindacato del giudice superiore. Tuttavia, resta centrale il problema interpretativo della corretta qualificazione della causa come “equitativa” o “di diritto” e, conseguentemente, della sua impugnabilità.

Il fatto: il ruolo della clausola di riserva generica

Nel caso sottoposto alla Corte, Autocarrozzeria – quale cessionaria del credito di un danneggiato – conveniva in giudizio la compagnia assicurativa Assicurazioni S.p.A. e la conducente del veicolo antagonista, chiedendo:

  • € 301,50 per danni materiali al veicolo;
  • € 268,40 per il noleggio di autovettura sostitutiva;
  • € 530,00 per spese di assistenza stragiudiziale.

L’importo complessivo richiesto ammontava, dunque, a € 1.099,90, al di sotto del limite previsto per l’applicazione dell’equità necessaria. Tuttavia, l’atto di citazione conteneva la clausola generica con cui si domandava «ogni diversa somma, maggiore o minore, che sarà ritenuta di giustizia».

Il Giudice di Pace respingeva in parte la domanda. La parte attrice proponeva appello, che veniva dichiarato inammissibile dal Tribunale, sul presupposto della natura equitativa della decisione e, quindi, della sua inappellabilità.

La decisione della Corte: il valore indeterminato prevale

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la decisione impugnata, in linea con un orientamento ormai consolidato (tra le altre, Cass. civ., n. 9432/2012; n. 22759/2013; n. 11739/2015; n. 3290/2018), secondo cui:

«Ove l’attore abbia formulato dinanzi al Giudice di Pace una domanda inferiore a € 1.100, ma l’abbia accompagnata con la richiesta della diversa ed eventualmente maggiore somma che sarà ritenuta di giustizia, la causa deve ritenersi – in difetto di tempestiva contestazione ex art. 14 c.p.c. – di valore indeterminato, e la sentenza è appellabile senza i limiti dell’art. 339, comma 3, c.p.c.»

Ne consegue che il valore della causa non può essere rigidamente ancorato alla sommatoria delle poste risarcitorie formalmente quantificate, ma va desunto anche dall’ampiezza semantica della domanda, come risultante dalla sua formulazione complessiva.

Profili sistematici: determinazione del valore e onere di contestazione

La Corte valorizza due elementi:

  • La clausola di riserva generica contenuta nella domanda attorea, che comporta una potenziale espansione dell’oggetto del giudizio oltre il limite numerico;
  • L’inerzia della parte convenuta, che, omettendo di contestare tempestivamente il valore della causa ai sensi dell’art. 14 c.p.c., consente che essa sia qualificata come “di valore indeterminato”.

Tale impostazione si fonda su un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme processuali, in particolare dell’art. 339, comma 3, c.p.c., in funzione del principio di effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e del diritto al doppio grado di giurisdizione.

Conseguenze operative

La pronuncia offre rilevanti spunti applicativi per tutti i protagonisti del processo:

  1. Per l’attore, l’utilizzo della formula “che sarà ritenuta di giustizia” può attribuire alla controversia natura di valore indeterminato, incidendo sulla sua impugnabilità;
  2. Per il convenuto, grava l’onere di eccepire tempestivamente la determinazione del valore onde evitare che la causa sia ritenuta indeterminata;
  3. Per il giudice d’appello, la valutazione sulla proponibilità dell’impugnazione non può limitarsi alla cifra aritmetica, ma deve considerare la complessiva struttura della domanda e il comportamento processuale delle parti.

L’ordinanza n. 8972/2025 ribadisce che, ai fini della individuazione del mezzo di impugnazione, non è sufficiente il solo dato quantitativo, ma occorre tener conto della concreta formulazione della domanda giudiziale.

In presenza di una clausola generica e in assenza di specifica contestazione, la causa assume natura di valore indeterminato, con conseguente inapplicabilità del divieto di appello previsto dall’art. 339, comma 3, c.p.c.

La decisione si inserisce nel solco di una giurisprudenza volta a garantire una giustizia di prossimità che, pur nella semplificazione, non rinuncia alla coerenza sistematica e all’effettività della tutela dei diritti.