Cass., sez. I, sent. 23 maggio 2017 n. 12939 (Pres. Didone, rel De Chiara)

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FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Rovigo, giudicando in sede di rinvio a seguito della cassazione di precedente decreto con cui aveva respinto l’opposizione allo stato passivo del fallimento *** s.r.l. proposta da I.B. s.p.a., a causa della ritenuta inammissibilità della produzione di nuovi documenti (il CD-ROM contenente la digitalizzazione dei contratti di leasing, da cui risultava la data certa dei medesimi), ha nuovamente respinto l’opposizione. Ha ritenuto, questa volta, che il requisito della data certa difettasse in quanto essa risultava dalla marca temporale apposta in sede di digitalizzazione dalla società certificatrice, ai sensi dell’art. 1 cod. amm. digitale (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82), ma l’opponente non aveva dimostrato il rispetto, da parte di detta società, delle regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme digitali, validazione temporale del documento informatico, formazione e conservazione del medesimo ai sensi del D.P.C.M. 30 marzo 2009.

2. I.B. ha proposto ricorso per cassazione, cui il curatore del fallimento ha resistito con controricorso.

Il ricorso, avviato alla procedura camerale su relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stato poi rimesso dal Collegio alla pubblica udienza.

Entrambe le parti hanno presentato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, denunciando vizio di motivazione e violazione di norme di diritto, si deduce: a) che con il decreto poi cassato il Tribunale aveva implicitamente ammesso che la società certificatrice A. s.p.a. aveva rispettato le regole tecniche di cui sopra, essendosi limitato a statuire che l’apposizione della marca temporale sui documenti digitalizzati non garantiva che anche la sottoscrizione degli stessi fosse anteriore alla dichiarazione del fallimento, e su tale ammissione si era formato il giudicato interno; b) che soltanto in sede di costituzione nel giudizio di rinvio – dunque tardivamente – la curatela aveva eccepito il mancato rispetto delle predette regole tecniche da parte della società certificatrice; c) che quest’ultima risulta iscritta nel Pubblico Registro dei Certificatori previsto dall’art. 39 D.P.C.M. 30 marzo 2009, cit., che è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed è liberamente consultabile da chiunque, sicchè essa opponente aveva documentalmente provato tutto ciò che occorreva provare.

1.1. – Il ricorso è fondato nei sensi che seguono.

Se è vero che l’art. 20, comma 3, cod. amm. digitale prevede che la data e l’ora del documento informatico sono opponibili ai terzi solo “se apposte in conformità alle regole tecniche sulla validazione temporale”, è anche vero che l’accreditamento e la conseguente iscrizione della società certificatrice nell’apposito elenco pubblico tenuto dal CNIPA, ai sensi dell’art. 29 cod. cit. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte con il D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 179) comporta necessariamente una presunzione di conformità della sua attività a dette regole – che, ai sensi del comma 2 del predetto articolo, chi richieda l’accreditamento deve impegnarsi a rispettare – in ciò risiedendo appunto l’utilità di un accreditamento da parte della pubblica autorità.

Conseguentemente, è onere di chi intenda contestare che una certificazione sia avvenuta nel rispetto delle regole tecniche, allegare e provare che il certificatore non le abbia invece rispettate. E tale allegazione in fatto non può, ai sensi dell’art. 394 c.p.c., u.c., essere effettuata per la prima volta nel giudizio di rinvio.

Va aggiunto che quanto sopra non contrasta con il principio enunciato da Cass. Sez. U. 20/02/2013, n. 4213 – della rilevabilità di ufficio del difetto di data certa dei documenti prodotti dal creditore a dimostrazione del proprio credito insinuato al passivo fallimentare, perchè qui l’atto attributivo di certezza alla data non difetta: esso esiste, mentre è in discussione la sua veridicità, sulla quale incide la presunzione di cui si è detto sopra.

Il Tribunale ha perciò errato nell’addossare alla creditrice opponente l’onere della prova del rispetto delle regole tecniche sulla validazione temporale, ai sensi del richiamato art. 20, comma 3, cod. amm. digitale, e conseguentemente sono fondate le censure della ricorrente sopra sintetizzate sub b) e c).

La censura sub a) è invece infondata, non essendovi ragione per ritenere che quanto statuito dal Tribunale nella prima fase del giudizio di opposizione implicasse l’accertamento della conformità dell’apposizione della marca temporale alle regole tecniche di cui si è detto.

In conclusione, il ricorso va accolto e il decreto impugnato va cassato con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al seguente principio di diritto: è onere della parte interessata a negare la certezza della data – e dunque, nel giudizio di opposizione a stato passivo, è onere del curatore fallimentare allegare e provare la violazione delle regole tecniche sulla validazione temporale, al rispetto delle quali l’art. 20, comma 3, cod. amm. digitale subordina l’opponibilità ai terzi della data (e dell’ora) apposta al documento informatico da certificatore accreditato e iscritto nell’elenco di cui all’art. 29, comma 6, cod. cit. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 179 del 2016), e tale allegazione in fatto non può essere effettuata per la prima volta nel giudizio di rinvio.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Rovigo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017