L’utilizzo della Posta Elettronica Certificata nel Processo Penale: tra estensioni (per le cancellerie) e divieti (per i difensori)

La Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza n. 10334/2019, depositata l’8 marzo, ribadisce il consolidato orientamento secondo il quale non è possibile, per le parti, notificare e depositare istanze a mezzo PEC. La sentenza, infatti, rigetta l’annullamento della condanna per violazione dell’art. 420-ter c.p.p., precisamente per il mancato rinvio dell’udienza per legittimo impedimento del difensore di fiducia. Quest’ultimo aveva inoltrato l’istanza di rinvio a mezzo PEC e, pur avendo ottenuto tutte le ricevute, non avrebbe, a detta della Corte, ottemperato all’onere di verificare che l’istanza fosse effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice procedente e che fosse stata tempestivamente posta alla sua attenzione.
La Corte dichiara espressamente che “la genesi e la complessiva disciplina della posta elettronica certificata depongono, in modo univoco, nel senso di far ritenere che il legislatore abbia voluto limitare, nel processo penale, l’uso dello strumento di comunicazione in parola alle sole cancellerie”.
Proprio in riferimento alle comunicazioni e notificazioni per via telematica da parte delle cancellerie, è di soli 3 giorni prima la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (S.G. n. 54 del 5-3-2019) del decreto 15 febbraio 2019 del Ministero della Giustizia, rubricato appunto “Avvio delle comunicazioni e notificazioni per via telematica presso il Tribunale di sorveglianza di Venezia e l’Ufficio di sorveglianza di Venezia – settore penale”, che ha stabilito che in tali uffici giudiziari “le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale, sono effettuate esclusivamente per via telematica” a partire dal 15esimo giorno successivo alla pubblicazione del presente decreto in G.U.