Come le persone anche le leggi sono figlie del loro tempo

Avvocato in Milano e formatore PCT

 

Lo sviluppo tecnologico ha comportato una così profonda trasformazione degli strumenti di comunicazione che quanto previsto, in materia di prova documentale, nel 1942 si dimostra oggi anacronistico e lacunoso. Il codice civile denota tutta la sua anzianità laddove contempla solo il telegramma (art. 2705 c.c.), la scrittura privata (art. 2702 c.c.), le riproduzioni o copie di atti e documenti su supporto cartaceo (art. 2716 c.c.), nonché le riproduzioni meccaniche (art. 2712 c.c.), senza traccia alcuna di ammodernamento, se si esclude un fugace accenno alle riproduzioni informatiche (art. 2712 c.c., come modificato, a partire dal 25 gennaio 2011, dall’art. 23 quater del D.lgs 7 marzo 2005 n. 82)

Pertanto se, da un lato, il documento nella sua forma digitale acquista una posizione preponderante nella pratica quotidiana, dall’altro brilla la sua assenza nel codice civile, trovando una specifica collocazione e definizione solamente nel Decreto legislativo n. 82/2005, recante il Codice dell’amministrazione digitale (d’ora in avanti, CAD) e nel Regolamento UE 23 luglio 2014, n. 910, del Parlamento europeo e del Consiglio, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno, c.d. eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature).

È, infatti, solo con il Regolamento eIDAS, entrato in vigore il 1 luglio del 2016, che lo scenario muta, inglobando l’informatica. Secondo eIDAS la strada è ormai tracciata e i solchi sono ben definiti: occorre adottare “un approccio aperto all’innovazione” in “considerazione del ritmo dei mutamenti tecnologici” (considerando n. 26 del Regolamento eIDAS). L’esperienza italiana del CAD è un chiaro esempio di ritardo culturale, adeguamento tardivo del tutto sfasato rispetto ai tempi. L’assenza della e-mail tra i mezzi di prova lo testimonia con evidenza icastica.

Il Codice dell’amministrazione digitale registra costanti e continue modifiche, sempre in affanno nella rincorsa impari tra diritto e tecnologia. È, del resto, noto che nell’odierna epoca altamente tecnologica, ogni riforma corre il rischio di nascere già obsoleta. Il documento informatico – art. 1 lett. p), CAD – cede il posto a quello elettronico – art. 3, n. 35) eIDAS – affidando al giurista l’ingrato compito di orientarsi all’interno di una giustapposizione di sfumature con le quali sembra avere ancora poca dimestichezza. Occorre, quindi, fare chiarezza sulla terminologia, a cominciare dalla nozione di documento elettronico, per impostare l’analisi della natura giuridica della corrispondenza elettronica (e-mail) e, di conseguenza, del suo valore probatorio.

Assurge a natura di documento elettronico “qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisiva”: la e-mail rientra, pertanto, in questa categoria. Questa consapevolezza sottopone al giurista l’interrogativo circa il valore probatorio della stessa, la sua attitudine a integrare idonea prova scritta ai sensi dell’art. 634 c.p.c., nonché il quesito sull’eventualità che la e-mail costituisca documentazione sottoscritta dal debitore così da divenire prova idonea a giustificare la concessione dell’esecuzione provvisoria, ex art. 642, 2° comma, c.p.c.

Il codice dell’amministrazione digitale fuga ogni dubbio in merito al suo valore probatorio, sì da attribuire al “documento informatico, cui è apposta una firma elettronica”, l’idoneità a soddisfare “il requisito della forma scritta e sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità” (art. 21 CAD). Inoltre il regolamento eIDAS arriva a equiparare il documento elettronico a quello cartaceo sancendo che a un documento elettronico non sono negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica” (art. 46 Regolamento 910/14). Occorre, quindi, chiarire la natura giuridica della e-mail e stabilire se sia utilizzabile come prova in giudizio.

È indubbio che la e-mail sia un documento informatico con apposto un insieme di “dati in forma elettronica, acclusi oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici e utilizzati dal firmatario per firmare” (art. 3, n. 10) eIDAS), ovvero una firma elettronica. La corrispondenza elettronica ha, quindi, natura di prova scritta proprio grazie all’apposizione di una firma elettronica.

Già nel CAD, all’art. 1 lettera q), si leggeva una definizione simile, che identificava la firma elettronica nell’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica”. Tuttavia tale principio trovava ben ridotta applicazione, dal momento che tale sottoscrizione in Italia risultava nei fatti accantonata a vantaggio della firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, dotata di per sé, di maggiore forza probatoria. In ogni caso l’art. 1, lett. q), è stato soppresso dal d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179.

Il regolamento comunitario, nella consapevolezza di tale necessità, inaugura un nuovo corso, specificando all’art. 25, comma 1, che “a una firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti per firme elettroniche qualificate”.  Nella prospettiva europea non ricorre alcun preconcetto nei confronti dell’ammissibilità come prova del telegramma, o della scrittura privata; rispetto alla e-mail occorrerà dimostrare la sicurezza, integrità e immodificabilità: pur non rivestendo, nel nostro ordinamento, il valore probatorio pieno della scrittura privata ex art. 2702 c.c. essa non potrà in alcun modo essere ignorata dal giudice.

La corrispondenza elettronica è, quindi, liberamente valutabile, e dev’essere considerata in modo oggettivo, con specifico riferimento alla fattispecie in esame, senza pregiudizio.

Dubbi permangono sull’idoneità a fondare l’istanza della provvisoria esecuzione, ai sensi dell’art. 642, 2° comma, c.p.c.; in particolare, se il riconoscimento di debito effettuato dalla società per e- mail integri documentazione sottoscritta dal debitore. La giurisprudenza di merito non si è ancora stabilizzata su orientamenti uniformi e la disomogeneità dipende forse anche dalla circostanza che spesso la posta elettronica non è presentata come unica prova a supporto dell’istanza

A favore della tesi che propende per la concessione della concessione della provvisoria esecuzione, ai sensi dell’art. 648 c.p.c., si segnala una recente pronuncia (Trib. Milano, sez. V, sent. 17 ottobre 2016 n. 11402 est. Consolandi) con la quale il giudice sulla base della circostanza che “la spedizione da un indirizzo riferibile ad una certa società d’azienda deve essere ritenuto firma elettronica ai sensi delle definizioni contenute nell’articolo 3 del regolamento EIDAS stesso, precedentemente contenute nel codice dell’amministrazione digitale che oggi non le contiene più, proprio per la vigenza del regolamento Europeo”, concede la provvisoria esecuzione.

Sulla scorta di tale orientamento si potrebbe arrivare a sostenere che la e-mail costituisca documentazione sottoscritta dal debitore, idonea a giustificare la concessione della provvisoria esecutività, anche ai sensi dell’art. 642, 2° comma, c.p.c.