Maggio 2016

Pubblicate le linee guida del Processo Tributario Telematico

 

Sono state adottate con Circolare n. 2/DF dell’11 maggio 2016 del Direttore Generale delle Finanze le “Linee guida” in materia di processo tributario telematico (PTT).

La circolare tocca numerosi aspetti del PTT: dalla registrazione degli utenti al sistema alla notifica telematica del ricorso e degli altri atti; dalla procura alle liti alle attestazioni delle comunicazioni, delle notifiche e dei depositi telematici; dai requisiti dei file degli atti telematici e dei relativi allegati alle possibili anomalie nei depositi telematici. Alla circolare sono allegate le immagini esplicative del Sistema Informativo della Giustizia Tributaria.

Circolare n. 2/DF dell’11 maggio 2016

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Cons. Stato, sez. VI, sent. 28 maggio 2015, n. 2682

 
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CONSIGLIO DI STATO

SEZIONE SESTA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato                        
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)               
ha pronunciato la presente    

                                      
                              SENTENZA                           

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 1671 del 2015 proposto da C. snc di C. Pa. e Da. in., rappresentata e difesa dagli avvocati St. Co., Mi. Ba. e Gi. Ma. Ricci, con domicilio eletto presso l’avv. Gi. Ma. R. in Roma, Via ***;

 

contro

Gruppo I. spa, rappresentata e difesa dagli avvocati A. C. e N. N., con domicilio eletto presso l’avv. N. N. in Roma, Via ***;       

                      

                          nei confronti di                           

Istituto Statale d’Istruzione Superiore *** di *** – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via ***;
                                

                           per la riforma                            

della sentenza del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA -TRIESTE, n. nn/AAAA, resa tra le parti, concernente affidamento servizio per fornitura di distributori automatici di snack, bevande calde e fredde presso Istituto scolastico;
visto il ricorso, con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio della Gruppo I. spa e dell’Istituto Statale d’Istruzione Superiore *** di *** e del MIUR;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 14 aprile 2015 il cons. M. B. e uditi per le parti gli avvocati C. e C.;
visti gli articoli 60 e 74 cod. proc. amm.;
accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e ritenuto, a scioglimento della riserva formulata al riguardo, di potere definire il giudizio nel merito con sentenza in forma semplificata e con motivazione abbreviata; sentite sul punto le parti costituite; richiamato quanto esposto dalle parti stesse negli atti difensivi

Fatto                         

1. Nell’agosto del 2014 l’Istituto Superiore d’Istruzione Statale *** di *** ha indetto una gara, con il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la fornitura quinquennale del servizio di distribuzione automatica di snack e di bevande calde e fredde presso i locali dell’Istituto medesimo, prevedendo l’assegnazione di un massimo di 50 punti per l’offerta tecnica e di 30 per l’offerta economica.
Nell’ambito dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica era prevista, per quanto rileva in questo grado d’appello, l’attribuzione di “max punti 5” per “tempi di intervento per rifornimento “, e di “max punti 5” per “tempi di intervento per guasto “.
Alla gara hanno partecipato due concorrenti, la ditta C. e il Gruppo I.
La commissione ha assegnato 10 punti (5 + 5) per le voci suddette sia alla C., sia al Gruppo I., attribuendo al termine delle operazioni alla C. 50 punti per l’offerta tecnica e 23 per quella economica, per un totale di 73 punti, e alla società Gruppo I. 50 punti per l’offerta tecnica e 17 per quella economica, per un punteggio complessivo di 67.
All’esito della gara il contratto è stato dunque aggiudicato alla C..
2. Il Gruppo I. ha impugnato dinanzi al Tar Friuli Venezia Giulia aggiudicazione e atti presupposti e connessi, deducendo svariati motivi e chiedendo la declaratoria d’inefficacia del contratto eventualmente “medio tempore” stipulato e il diritto della ricorrente all’aggiudicazione ovvero al subentro nel contratto medesimo ai sensi degli articoli 121 e ss. cod. proc. amm..
Con la sentenza in epigrafe il Tar, nella resistenza dell’Amministrazione e della C. ha, per quanto qui più rileva:
– respinto l’eccezione d’irricevibilità del ricorso per “tardiva notifica” dello stesso, formulata dalla C.;
– rigettato tutti i motivi fatta eccezione per quello attinente al dedotto “eccesso di potere. Manifesta illogicità e erroneità dei presupposti di fatto”, relativo proprio ai 10 punti assegnati dalla commissione alla C. per le due voci dell’offerta tecnica relative ai tempi d’intervento per il rifornimento e ai tempi d’intervento per il guasto. L’impegno assunto dalla C. a intervenire, sia per il rifornimento, sia per il caso di guasto, in pochi secondi, è stato considerato in sentenza non serio, “perché la prestazione non può di certo essere adempiuta nello spazio temporale indicato dall’offerente, nemmeno volendo ipotizzare che personale e mezzi siano costantemente in attesa al di fuori dei locali dell’Istituto scolastico. Per di più si tratta di un’ipotesi assolutamente irragionevole, perché – secondo nozioni di comune conoscenza – non sostenibile economicamente…”. Venendo in discussione “un obbligo non suscettibile di essere adempiuto. Il che incide sulla affidabilità di colui che formula siffatta offerta…ne discende la illegittimità della scelta tecnico -discrezionale dell’Amministrazione di attribuire un punteggio, per di più un punteggio massimo, a un’offerta che lo stesso offerente, già a priori, sapeva sarebbe rimasta quanto a tempistica inadempiuta. L’inattendibilità della valutazione operata dalla commissione di gara emerge così pacificamente dalla documentazione versata in atti, che non può che conseguirne l’annullamento… “. Il giudice di primo grado, “ben conscio dei limiti del proprio sindacato nei confronti di atti di esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione”, ha giudicato la valutazione in parola “non semplicemente opinabile, ma assolutamente errata e illogica” nell’avere ritenuto “seria e affidabile” ” una tempistica di intervento che non può assolutamente essere attuata”.
Accolto il ricorso in relazione al terzo motivo e annullata l’aggiudicazione alla C., la sentenza ha dichiarato l’inefficacia del contratto tra l’Istituto e la controinteressata “limitatamente alle prestazioni ancora da eseguirsi ” e ha disposto il subentro del Gruppo I. “nell’esecuzione della concessione”, non comportando, all’evidenza, “la sostituzione di un fornitore di snack e bevande…particolari difficoltà tecnico -organizzative”, entro 15 giorni.
3.Appella la C., con due motivi.
Resiste il Gruppo I..
L’Avvocatura dello Stato ha concluso per l’accoglimento dell’appello e l’annullamento della sentenza impugnata.
4. L’appello va respinto.
Entrambi i motivi dedotti sono infondati.
4.1. E’anzitutto infondato, e perciò il Collegio può esimersi dal sottoporre a disamina le obiezioni svolte in rito sul punto dall’appellato Gruppo I., il motivo d’appello della C. imperniato sull’affermata irricevibilità del ricorso al Tar del Gruppo I. a causa della tardività della notifica -asseritamente nulla, in quanto effettuata per mezzo della posta elettronica certificata (PEC)- mancando, così si sostiene nell’appello, la prova del momento e della regolarità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (che risulta depositato presso la segreteria del Tribunale amministrativo soltanto il 23 ottobre 2014, ovverosia oltre il termine di 30 giorni di cui all’art. 120, comma 5, del c.p.a.), in assenza dell’autorizzazione presidenziale di cui all’art. 52, comma 2, del c.p.a., alla notificazione del ricorso via PEC.
L’appellante muove dall’assunto che l’art. 46 del d. l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni nella l. 11 agosto 2014, n. 114, nell’aggiungere all’art. 16-quater del d. l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221, aggiunto dall’articolo 1, comma 19, l. 24 dicembre 2012, n. 228, un nuovo comma 3-bis, in base al quale “le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano alla giustizia amministrativa”, avrebbe sancito l’inapplicabilità, al processo amministrativo, del meccanismo della notificazione in via telematica -a mezzo PEC dell’atto introduttivo del giudizio da parte degli avvocati (in mancanza dell’espressa autorizzazione presidenziale di cui all’art. 52, comma 2, del c.p.a.). In particolare, nell’appello si enuncia la tesi per cui nel processo amministrativo il legale non può certificare la conformità delle copie di documenti spediti per via telematica e che la notifica per il destinatario del ricorso non si perfeziona nel momento in cui si genera la ricevuta, dato che regole tecniche e procedure utilizzate nel processo civile e disciplinate dal regolamento approvato con il d. m. 3 aprile 2013, n. 48, “non si applicano alla giustizia amministrativa”, che ne è stata espressamente esclusa.
La premessa interpretativa e le conclusioni non convincono.
In realtà, il sopra citato art. 46 esclude l’applicazione, al processo amministrativo, dei commi 2 e 3 non della l. 21 gennaio 1994, n. 53, ma dell’art. 16-quater del d. l. n. 179 del 2012, conv. con mod. nella l. n. 221 del 2012 il quale, al comma 2, demanda a un decreto del Ministro della giustizia l’adeguamento alle nuove disposizioni delle regole tecniche già dettate c. 1 d. m. 21 febbraio 2011, n. 44, mentre al comma 3 stabilisce che le disposizioni del comma 1 “acquistano efficacia a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto di cui al comma 2”.
La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a. non può considerarsi ostativa alla validità ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (e, in particolare, per quanto qui più interessa, gli articoli 1 e 3-bis della legge stessa), nel testo modificato dall’art. 25 comma, 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale […] a mezzo della posta elettronica certificata”.
Nel processo amministrativo telematico (PAT) -contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. – è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a., disposizione che si riferisce a ” forme speciali ” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile (sull’ammissibilità e sull’immediata operatività della notifica del ricorso a mezzo PEC nel processo amministrativo vanno segnalate le recentissime sentenze del Tar Campania -Napoli, n. 923 del 6 febbraio 2015 e del Tar Calabria -Catanzaro, n. 183 del 4 febbraio 2015).
Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico -operative resta il DPCM al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato al c.p.a., ciò non esclude però l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC.
Sulle regole tecnico -operative applicabili, viene in rilievo il d.P.R. n. 68 del 2005, al quale fa riferimento l’art. 3-bis della l. n. 53 del 1994.
Nel caso in esame le norme di legge suddette, e l’art. 136 del c.p.a., risultano essere state osservate dal Gruppo I..
Considerato dunque che:
– risultano rispettate le previsioni di cui alla l. n. 53 del 1994 e all’art. 136 del c.p.a.;
– i risultati della procedura comparativa erano stati pubblicati nel sito web dell’Istituto il 2 settembre 2014 e la notifica del ricorso di primo grado alla C. risulta regolarmente eseguita il 15 ottobre 2014;
– trova applicazione anche al “rito appalti”, in mancanza di disposizioni di segno contrario, la norma di carattere generale sulla sospensione feriale dei termini di cui all’art. 1 della l. n. 742 del 1969;
il primo motivo d’appello va respinto.
4.2. Nel dedurre, c. 1 secondo motivo, svariati profili del vizio di eccesso di potere che, peraltro, ruotano essenzialmente attorno al rilievo per cui il Tar avrebbe sostituito propri apprezzamenti e valutazioni a quelli della commissione, invadendo la sfera delle attribuzioni della P. A., la C. rimarca in particolare che dalla relazione tecnica sui tempi d’intervento (doc. 4 fasc. app.) si evince come la ditta intenda impegnarsi ” in un servizio giornaliero di assistenza tecnica e ricarica dei distributori se necessario 2 volte al giorno” e come in aggiunta la ditta precisava che, su richiesta, era in grado d’intervenire in pochi secondi per il rifornimento e in caso di guasti, cosicché il punteggio assegnato all’offerta, “come complessivamente esposta nella relazione”, non era sindacabile in sede giurisdizionale e l’offerta tecnica non poteva essere considerata inattendibile o priva di serietà se valutata nel suo complesso. La sentenza di primo grado, nell’estrapolare e analizzare una parte soltanto dell’offerta della C., e nel non tener conto che anche i cinque minuti dichiarati dal Gruppo I. per gli interventi risultano “inattuabili illogici e inattendibili “, sarebbe incorsa in un’inammissibile invasione della sfera riservata all’azione della P. A.. L’uguale punteggio -massimo- assegnato dalla commissione sia alla C. sia al Gruppo I., se considerato sotto un profilo comparativo, non appare né irragionevole né affetto da macroscopici vizi logici o da errori manifesti o da disparità di trattamento. L’apprezzamento compiuto dalla commissione, rientrante nelle attribuzioni esclusive di quest’ultima, non poteva essere sostituito da un giudizio con il quale il Tar ha attribuito zero punti alla C. lasciando invariati i 10 punti riconosciuti al Gruppo I..
Il motivo è infondato, La sentenza del Tar è corretta e va confermata.
In via preliminare e generale dev’essere rammentato che “costituisce jus receptum che le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte tecniche presentate dalle imprese concorrenti, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano manifestamente illogiche, irrazionali, irragionevoli, arbitrarie ovvero fondate su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti (Cons. St., sez. V 26 marzo 2014, n. 1468; sez. III, 13 marzo 2012, n. 1409) ovvero ancora salvo che non vengono in rilievo specifiche censure circa la plausibilità dei criteri valutativi o la loro applicazione (Cons. St., sez. III, 24 settembre 2013, n. 4711). È stato al riguardo precisato anche (Cons. St., sez. VI, 7 maggio 2013, n. 2458) che gli atti amministrativi espressione di valutazioni tecniche sono suscettibili di sindacato giurisdizionale esclusivamente nel caso in cui l’amministrazione abbia effettuato scelte che si pongono in contrasto con il principio di ragionevolezza tecnica, aggiungendosi che non è sufficiente che la determinazione assunta sia, sul piano del metodo e del procedimento seguito, meramente opinabile, in quanto il giudice amministrativo non può sostituire – in attuazione del principio costituzionale di separazione dei poteri – proprie valutazioni a quelle effettuate dall’autorità pubblica, quando si tratti di regole (tecniche) attinenti alle modalità di valutazione delle offerte…” (Cons. Stato, sez. V, n. 257 del 2015).
Ciò posto, e guardando adesso più da vicino il caso in esame, nell’offerta tecnica la C. aveva dichiarato in maniera testuale, sui tempi di intervento per rifornimento, che “è nostra volontà impegnarci in un servizio giornaliero di assistenza tecnica e ricarica dei distributori se necessario 2 volte al giorno. Se richiesto si interviene in pochi secondi”; e, relativamente ai tempi di intervento per guasto, che ” ciò che ci contraddistingue maggiormente è la garanzia al cliente di un’assistenza tempestiva ed efficiente utilizzando le più avanzate tecnologie, segnalando la chiamata al nostro automezzo più vicino a voi per l’intervento tecnico richiesto, in caso di guasto siamo presenti sul luogo entro pochissimi secondi essendo presenti in zona tutti i giorni…”.
La Gruppo I. (v. p. 4.3. dell’offerta tecnica -tempi di intervento tecnico per guasto e per rifornimento) aveva dichiarato che “avendo una sede per il reparto tecnico in ***, in caso di intervento tecnico urgente derivato da chiamata del cliente o dell’operatore addetto ai rifornimenti siamo in grado di intervenire entro 5 minuti dalla chiamata, in quanto i nostri distributori automatici possono essere dotati di telemetria remota. I rifornimenti sono garantiti giornalmente dal lunedì al sabato e i nostri operatori possono essere presenti entro 5 minuti dalla chiamata in quanto dotati di computer palmare e la chiamata arriva in tempo reale, oltremodo siamo sempre presenti dato che serviamo quasi tutti gli Istituti scolastici in *** “.
La commissione, come detto, ha attribuito a entrambe le concorrenti punteggi identici (10 punti = 5 +5, il massimo previsto dalla “lex specialis “).
Senonchè, bene ha fatto il Tar, nell’evidenziare i passaggi salienti dell’offerta tecnica della C. sul punto, a sottolineare come “non si tratti di un impegno serio, perché la prestazione non può di certo essere adempiuta nello spazio temporale indicato dall’offerente, nemmeno volendo ipotizzare che personale e mezzi siano costantemente in attesa al di fuori dei locali dell’Istituto scolastico. Per di più si tratta di un’ipotesi assolutamente irragionevole, perché – secondo nozioni di comune conoscenza – non sostenibile economicamente… “; mettendo poi in rilievo che l’assunzione, da parte della concorrente, di un “obbligo non suscettibile di essere adempiuto, il che incide sull’affidabilità di colui che formula siffatta offerta”, comporta la conseguente illegittimità della scelta tecnico -discrezionale “di attribuire un punteggio, per di più un punteggio massimo, a un’offerta che lo stesso offerente, già a priori, sapeva sarebbe rimasta quanto a tempistica inadempiuta”; valutazione della commissione palesemente inattendibile, “assolutamente errata e illogica” e non ” semplicemente opinabile ” laddove ” ritiene seria e affidabile, e come tale meritevole di punteggio (per di più nella misura massima prevista dalla “lex specialis” di gara), una tempistica di intervento che non può assolutamente essere attuata”.
La struttura motivazionale della sentenza, che non si concreta in una sostituzione indebita alla commissione nell’esercizio di poteri valutativi riservati a quest’ultima e che non sconfina nel merito delle valutazioni rimesse alla commissione, essendosi il giudice di primo grado limitato a sindacare la (non) manifesta irragionevolezza degli apprezzamenti compiuti dalla commissione medesima, resiste alle critiche sollevate nel gravame.
Sotto un primo profilo, la sentenza ha giustamente posto in risalto quello che oggettivamente appare essere il nucleo essenziale, l’elemento preminente e caratterizzante l’offerta tecnica sotto l’aspetto dei “tempi di intervento”, vale a dire la tempistica d’intervento a richiesta “in loco”, asseritamente in “pochi secondi” per il rifornimento, e, in caso di guasti, “entro pochissimi secondi”.
Sotto un secondo profilo, se da un lato la tempistica d’intervento che “contraddistingue” l’offerta C. è oggettivamente inverosimile, e tale è stata giustamente considerata in sentenza, con il conseguente accertamento giudiziale della illegittimità della relativa attribuzione di punteggi, senza sconfinamenti nella sfera delle attribuzioni riservate alla P. A.; dall’altro, il tempo d’intervento dichiarato dal Gruppo I. (cinque minuti dalla chiamata), qualificato dal medesimo, in sede difensiva, come “adeguato alle sue possibilità e potenzialità imprenditoriali”, risulta comunque non manifestamente inattendibile, per come plausibilmente motivato nell’offerta tecnica mediante i già visti riferimenti al reparto tecnico in *** (a un km. di distanza dall’Istituto) e alla costante presenza ” in loco ” di addetti dato che Gruppo I. serve “quasi tutti gli Istituti scolastici in ***”.
Inoltre la C. ha contestato per la prima volta in appello l’attendibilità dell’offerta tecnica del Gruppo I. per ciò che attiene alla tempistica d’intervento quando invece l’odierna appellante avrebbe dovuto dedurre la ipotetica ” inattuabilità illogicità e inattendibilità ” dell’elemento dell’offerta dei “cinque minuti dalla chiamata” dichiarati dal Gruppo I. quale “tempo d’intervento tecnico per guasto e rifornimento” proponendo, in modo speculare, ricorso in via incidentale.
In questa situazione, diversamente da quanto rimarcato dall’appellante, emerge il carattere abnorme dell’offerta tecnica ” in parte qua “e la conseguente, palese inattendibilità della valutazione compiuta dalla commissione alla quale ha fatto seguito l’attribuzione, alla C., del punteggio in discussione, atti giustamente censurati dal giudice di primo grado senza che residuino spazi per rivalutazioni comparative.
Le conclusioni cui è pervenuto il Tar sono motivate in maniera puntuale e vanno condivise, fondandosi su considerazioni di carattere oggettivo ed evidente, senza che sia configurabile “l’invasione di campo” denunciata dall’appellante.
Il ricorso va dunque respinto e la sentenza impugnata confermata.
Le spese del grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo, nei confronti dell’appellato Gruppo I.
Spese compensate nei riguardi dell’Amministrazione, tenuto conto della posizione difensiva assunta dalla stessa.

Diritto                        

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante a rifondere alla Gruppo I. le spese, i diritti e gli onorari del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi € 3.000,00 (euro tremila/00), comprensivi del rimborso delle spese generali, oltre a IVA e a CPA..
Spese del grado di giudizio compensate nei riguardi dell’Amministrazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Giulio Castriota Sc., Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
Depositata in segreteria il 28 maggio 2015. 

Cons. Stato, sez. VI, sent. 28 maggio 2015, n. 2682 Leggi tutto »

T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, sent. 15 aprile 2016, n. 1864

 
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T.A.R. NAPOLI

SEZIONE QUARTA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta)                           
ha pronunciato la presente

                                  
                              SENTENZA                           

 

sul ricorso numero di registro generale *** del 2014, proposto da: Convento di ***, in persona del legale rapp.te  p.t.,rappresentato e difeso dagli  avv.  E. V.  ed  O. M., con  domicilio  eletto  presso  quest’ultimo  in  Napoli,  Via ***;

contro

Comune di ***, in persona del Sindaco p.t., n.c.;                                    

per l’ottemperanza

al giudicato formatosi sulla sentenza n. 362/2008 resa dalla Corte di Appello di Napoli di parziale conferma  della  sentenza  n.  nn/AAAA emessa dal Tribunale di Torre Annunziata.                            
Visti il ricorso e i relativi allegati;                              
Viste le memorie difensive;                                          
Visto l ‘art. 114 cod. proc. amm.;                                   
Visti tutti gli atti della causa;                                    
Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2016 il  dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i  difensori  come  specificato nel verbale;                                                         
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto                         

Parte ricorrente (Convento ***) premette:
– di aver ottenuto dalla Corte di Appello di Napoli la decisione n. nn/AAAA, di parziale conferma della sentenza n. nn/AAAA emessa dal Tribunale di Torre Annunziata, che ha condannato il Comune di *** a pagare in suo favore, a titolo di risarcimento, la somma di euro 6.308,65, oltre interessi e rivalutazione dal 6.11.2001 al soddisfo (come già statuito in primo grado), nonché ad eseguire le opere di ripristino del fondo di sua proprietà come descritte nella CTU dell’ing. Ol., e, in favore del suo difensore antistatario, le spese, i diritti e gli onorari di giudizio, come nella medesima sentenza quantificate;
– che la suddetta sentenza è divenuta definitiva per non essere stata proposta impugnazione per Cassazione;
– per ottenere l’adempimento parte ricorrente ha notificato la decisione in forma esecutiva ed è elasso il termine di 120 giorni ai sensi dell’art. 14 del d.l. n. 669/1996;
– che a tutt’oggi l’Amministrazione non ha effettuato il pagamento del dovuto, né ha provveduto alle opere di ripristino e messa in sicurezza.
Chiede, quindi, al presente T.A.R. di disporre l’esecuzione della decisione in epigrafe, nominando a tal fine un commissario ad acta che provveda al pagamento ed all’esecuzione delle opere, a cura e spese dell’Amministrazione intimata, nonché l’irrogazione delle penalità di mora ed il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione di tali opere, consistenti nella mancata utilizzabilità del fondo agricolo. A tal fine chiede disporsi una ctu per la determinazione di tale risarcimento.
L’amministrazione comunale non si è costituita in giudizio.
All’udienza camerale del 6 aprile 2016, previo avviso di parziale inammissibilità ai sensi dell’art. 73 c.p.a., il ricorso è trattenuto in decisione.

Diritto    

1. Il ricorso per ottemperanza è fondato e va accolto per le ragioni e nei termini che seguono, mentre l’azione risarcitoria è inammissibile per difetto di giurisdizione.
1.1. In via preliminare deve rilevarsi l’ammissibilità della notifica del ricorso, effettuata ex lege 53/1994, a mezzo PEC: il Collegio, pur consapevole dei recenti contrasti giurisprudenziali in materia di notificazione a mezzo p.e.c. nel processo amministrativo, ritiene che la possibilità per gli avvocati di notificare gli atti a mezzo pec sussiste già da tempo e prescinde dall’introduzione e piena attuazione del processo telematico, fondandosi tale facoltà su autonome e specifiche disposizioni di legge quali l’art. 3 della Legge n. 53 del 1994 (come modificato dalla legge n. 263 / 2005), l’art. 25 Legge n. 183 del 2011 e, quindi, sul D.L. n. 179 del 2012, che ha introdotto un apposito articolo (il 3-bis) nel corpo della Legge n. 53 del 1994, che consente all’avvocato la notifica a mezzo pec avvalendosi del registro cronologico disciplinato dalla stessa Legge n. 53.
1.2. L’ammissibilità di tale forma di notificazione è stata affermata pure dal Giudice d’appello, che -citando anche pronunzie di primo grado- ha affermato: “nel processo amministrativo telematico (PAT) – contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. – è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a. , disposizione che si riferisce a “forme speciali” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile” (C.d.S., Sez. VI, 28 maggio 2015 n. 2682).
1.3. Ancora in via preliminare il Collegio indica come l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione (Cons. Stato, sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; 17 ottobre 2000, n. 5512) e che detta verifica – che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (Cons. Stato, sez. V, 9 maggio 2001, n. 2607; sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1964) – comporta da parte del giudice dell’ottemperanza una delicata attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum” (Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1963; sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1075).
1.4. In sede di giudizio di ottemperanza non può essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (Cons. Stato,, sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 247), non potendo essere neppure proposte domande che non siano contenute nel “decisum” della sentenza da eseguire (Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2001 n. 49; 10 agosto 2000, n. 4459; Cons. Stato, sez. V, 18 agosto 2010 , n. 5817).
1.5. In particolare, il giudice amministrativo dell’ottemperanza, a fronte di statuizioni giudiziali rese dal giudice civile, deve svolgere un’attività meramente esecutiva senza possibilità d’integrare la sentenza civile, (Cons. Stato, sez. VI, 8 settembre 2008 , n. 4288), né quella di effettuare accertamenti di merito, tipici del giudizio di cognizione, dovendosi limitare all’accertamento dell’esistenza di un comportamento omissivo od elusivo e all’attuazione del disposto della pronuncia del giudice civile passata in giudicato e trovando in esso un limite invalicabile.
1.6. Nel giudizio di ottemperanza a sentenze di un giudice appartenente ad altro ordine giurisdizionale, il giudice dell’esecuzione deve, difatti, limitarsi ad usare poteri sostitutivi di “stretta esecuzione”, in quanto l’esercizio di poteri di attuazione che modificassero il giudicato verrebbe ad incidere su situazioni soggettive estranee all’ambito della sua giurisdizione (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2001, n. 1143).
In particolare, il giudice amministrativo, qualora gli si riconoscesse una “cognitio” piena, con possibilità di modificare ed integrare la sentenza del giudice ordinario in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, recupererebbe attraverso il giudizio d’ottemperanza il ceduto sindacato sul rapporto di pubblico impiego (arg. da Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2009, n. 561) ove difetta di giurisdizione
2. Ciò premesso nel caso di specie ricorrono tutti i presupposti necessari per l’accoglimento della richiesta di ottemperanza, essendo la decisione in questione divenuta definitiva in seguito alla mancata proposizione di impugnazione in Cassazione. Deve essere accolta la domanda di esecuzione della decisione della Corte di Appello e deve, pertanto, essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione tanto alla condanna al pagamento in favore di parte ricorrente della somma di euro 6.308,65, oltre interessi e rivalutazione dal 6.11.2001 al soddisfo (come già statuito in primo grado), quanto alla esecuzione delle opere di ripristino del fondo di sua proprietà come descritte nella CTU dell’ing. Ol. (1) completamento del tratto di muro mancante e sostituzione della porzione in muratura con muratura in cemento armato; 2) pulizia del costone e dell’area sbancata; 3) riempimento dello spazio retro posto al muro con scheggiosi di cava drenante e completamento con riporto di terreno vegetale; 4) realizzazione di terrazzamenti arretrati rispetto al muro di cemento armato).
2.1. Per quanto riguarda le spese successive alla decisione azionata, e come tali non liquidate nello stesso, in sede di giudizio di ottemperanza non può riconoscersi l’obbligo di corresponsione alla parte ricorrente di quelle relative ad atti di precetto (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III Sent., 28/10/2009, n. 1798; T.A.R. Sardegna, 29/09/2003, n. 1094), ma esclusivamente, oltre agli interessi sulle somme liquidate in giudicato, delle spese accessorie in quanto funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, che vengono liquidate, in modo omnicomprensivo, nell’ambito delle spese di lite del presente giudizio, fatte salve le eventuali spese di registrazione del titolo azionato il cui importo, qualora dovuto e versato, non può considerarsi ricompreso nella liquidazione omnicomprensiva delle suindicate spese di lite.
3. L’Amministrazione darà quindi esecuzione alla predetta decisione entro giorni sessanta dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora il Commissario ad acta indicato in dispositivo, che entro l’ulteriore termine di centoventi giorni dalla comunicazione dell’inottemperanza (a cura di parte ricorrente) darà corso al pagamento di quanto dovuto , nonché procederà all’esecuzione delle opere sopra descritte, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.
4. Le spese per l’eventuale funzione commissariale andranno poste a carico dell’Amministrazione in epigrafe e vengono sin d’ora liquidate nella somma complessiva indicata in dispositivo.
Il commissario ad acta potrà esigere la suddetta somma all’esito dello svolgimento della funzione commissariale, sulla base di adeguata documentazione fornita all’ente debitore.
5. Parte ricorrente ha richiesto anche in applicazione dell’art. 114 comma 4 lettera e) del c.p.a., che venisse fissata la misura di denaro dovuta dal Comune per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ulteriore ritardo nell’esecuzione.
Osserva in proposito il Collegio che l’applicabilità dell’istituto in questione all’ottemperanza delle sentenze recanti condanna al pagamento di somme di denaro, in coerenza con quanto già statuito dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr. decisione n. 15/ 2014), è oramai espressamente riconosciuta dall’art. 114, comma 4, c.p.a., come novellato dall’art. 1, comma 781, della l. n. 208 del 2015.
Deve quindi affermarsi che, anche con la sentenza di ottemperanza, può essere fissata, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e in assenza di ulteriori ragioni ostative, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato, con una statuizione costituente titolo esecutivo.
5.1. Nel caso di specie risultano sussistenti i presupposti stabiliti dall’art. 114 cit. per l’applicazione della sanzione: la richiesta di parte, formulata con il ricorso, l’insussistenza di profili di manifesta iniquità e la non ricorrenza di altre ragioni ostative.
Quanto alle concrete modalità di applicazione della penalità di mora, ai sensi dell’art. 114, comma 4, citato la cd. astreinte può trovare applicazione dal giorno della comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; mentre si ritiene congruo fissare la data di scadenza al momento dell’insediamento del Commissario ad acta (Tar Campania, Napoli, sez. VIII, n. 959/2012), .
La misura della sanzione va ora effettuata, in presenza di una specifica disposizione sul punto da parte del codice del processo amministrativo, nella misura degli interessi legali, da corrispondere per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza dopo la comunicazione o notificazione della presente sentenza per lo spontaneo pagamento, e non oltre lo scadere del termine (di trenta giorni) per l’insediamento del Commissario ad acta.
6. La domanda risarcitoria si rivela inammissibile per difetto di giurisdizione.
6.1. Il Collegio rileva, infatti, come il generale disposto dell’art. 112, comma 3, c.p.a., che prevede l’intentabilità in sede di giudizio di ottemperanza dell’azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione, debba necessariamente coordinarsi con gli ordinari criteri di riparto di giurisdizione e, nello specifico caso, con quanto disposto dal legislatore in materia di giurisdizione sui rapporti di pubblico impiego.
L’azione di “risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato..” (art. 112, comma 3, c.p.a.), ha carattere di cognizione, in quanto l’azione, che viene definita risarcitoria dallo stesso Codice, non è rivolta all'”attuazione” di una precedente sentenza o provvedimento equiparato, ma trova in questi ultimi solo il presupposto.
6.2. Si tratta, a tutta evidenza, di una azione nuova, esperibile proprio perché è l’ottemperanza stessa che non è realizzata, e in ordine alla quale la competenza a giudicare è, per evidenti ragioni di economia processuale e quindi di effettività della tutela giurisdizionale (a prescindere dal rispetto del doppio grado di giudizio), attribuita al giudice dell’ottemperanza (Consiglio di Stato, ad. plen., 15/01/2013, n. 2).
A tale riguardo il Collegio ben conosce che qualunque sia la ragione dell’impossibilità di esecuzione (sia essa oggettiva o riconducibile ad una attività o comportamento inerte dell’Amministrazione), oggetto del risarcimento per equivalente monetario è la lesione stessa della posizione sostanziale accertata dal giudice del cognitorio e coperta dal passaggio in giudicato della relativa decisione e non la sola attività positiva o inerte dell’amministrazione a seguito della sentenza da ottemperare. Non a caso l’art. 112, comma. 3 c.p.a. evidenzia un danno “connesso” alla impossibilità dell’esecuzione e non già “conseguente” a tale impossibilità; dunque non si tratta, necessariamente, di un danno “nuovo”, bensì (anche) del danno accertato con la sentenza passata in giudicato, non più riparabile nelle forme ivi indicate. A questo primo aspetto del danno risarcibile può aggiungersi, qualora questo ricorra in concreto e laddove sia debitamente provato, l’ulteriore danno derivante ex se dall’attività dell’Amministrazione, ad esempio derivante dal provvedimento adottato in elusione o violazione di giudicato e dichiarato nullo dal giudice dell’ottemperanza. Il danno risarcibile consiste quindi nella originaria ed accertata in cognitorio lesione della posizione giuridica sostanziale (Cons. Stato, sez. IV, 16.1.2013, n. 259; Cons. Stato Sez. IV, 16.1.2013, n. 258; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 8.7.2013, n. 3526).
6.3. Anche nel caso di specie, il danno non è meramente conseguente alla mancata attuazione del giudicato, determinandosi al momento dell’atto illegittimo o illecito e in conseguenza della sua illegittimità o illiceità, consistendo la mancata ottemperanza del giudicato non nell’evento generativo del danno ma solo una causa di ulteriore protrarsi degli effetti dannosi.
In questa ipotesi, l’azione risarcitoria è indubbiamente concessa ma deve essere portata davanti al giudice munito di giurisdizione sulla materia sostanziale, in questo caso il rapporto dominicale fra proprietari confinanti, risultando in caso contrario il giudice chiamato ad operare il proprio sindacato su un rapporto ove difetta di giurisdizione.
La ricostruzione della controversia proprietaria a fini risarcitori, con accertamento dei successivi possibili sviluppi e della redditività potenziale del fondo agricolo si sostanzia in una attività del giudice di accertamento dei diritti inerenti al rapporto dominicale e di condanna che presuppone la cognizione piena sulla materia sottostante, che appartiene pacificamente al giudice ordinario, in funzione di giudice dei diritti soggettivi.
Consentire tale accertamento in sede di giudizio di ottemperanza, sia pure a fini risarcitori, comporterebbe una “cognitio” piena del giudice amministrativo sulla vicenda sostanziale con l’effetto che quest’ultimo attraverso il giudizio d’ottemperanza recupererebbe l’ormai ceduto sindacato sul rapporto di pubblico impiego ove difetta di giurisdizione.
6.4. Al riguardo, peraltro, l’esigenza di evitare tale ingerenza sostanziale e il “recupero” di giurisdizione in materie affidate al giudice ordinario è ben presente nella giurisprudenza amministrativa che, come già indicato, richiama tale argomento nel sottolineare il ruolo meramente esecutivo del giudice dell’ottemperanza nei casi di richiesta di esecuzione di giudicati del giudice ordinario (Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2009, n. 561; (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2001, n. 1143).
6.5. Ritiene il Collegio che l’art. 112, comma 3, c.p.a., non possa essere considerato norma sulla giurisdizione e che il suo dettato debba necessariamente interpretarsi alla luce dei generali criteri di riparto di giurisdizione che attribuiscono la materia del pubblico impiego al giudice ordinario.
Qualora si verta su materie sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo, quest’ultimo, anche qualora adito in sede di ottemperanza con azione risarcitoria per mancata esecuzione del giudicato, non potrà estendere la sua cognizione sino ad impingere sulla vicenda sostanziale sottostante.
Il giudice amministrativo dell’ottemperanza infatti non potrà portare il suo scrutinio su una domanda risarcitoria che non si basi sul pregiudizio derivante dal mero ritardo nell’esecuzione, così come pienamente desumibile dalla sentenza azionata, ma presupponga, come nel caso di specie, l’accertamento di aspetti riservati al giudice ordinario, quali l’ipotetica ricostruzione della potenziale redditività del fondo agricolo.
Diversamente opinando, non si comprende come l’azione risarcitoria qualora intentata ab origine, prima dell’intervento del giudicato, risulti indubbiamente di competenza del giudice ordinario mentre, a seguito del giudicato, l’interessato possa scegliere tra proporre azione risarcitoria dinanzi al giudice ordinario, avente giurisdizione sul rapporto, o dinanzi a quello amministrativo in sede di ottemperanza.
6.6. Se tale scelta è possibile per l’azione meramente esecutiva di ottemperanza delle sentenze del g.o., ove il comando da eseguire è perfettamente ed esaustivamente formato dal giudice avente cognizione (il giudizio di ottemperanza è infatti del tutto alternativo all’esecuzione in sede civile), la stessa cosa non è ammissibile per un’azione cognitoria, come quella risarcitoria, dove il giudice non deve a limitarsi a prendere atto ed eseguire quanto contenuto nella sentenza azionata ma deve operare autonomi e spesso complessi accertamenti, non meramente consequenziali rispetto alla sentenza azionata, che presuppongono una piena cognitio della materia sottostante.
6.7. Il Collegio rileva, infine, come possano indubbiamente esistere delle apprezzabili ragioni di economia processuale nel senso, recepito dal codice di procedura amministrativa, di concentrare presso un unico giudice l’azione di ottemperanza e l’azione risarcitoria nel caso in cui l’esecuzione in forma specifica non possa andare a buon fine.
Tali ragioni non possono, però, comportare lo scardinamento degli ordinari criteri di riparto di giurisdizione, né la giurisdizione può essere derogata, secondo la prevalente giurisprudenza, per motivi di connessione (da ultimo in tal senso la recente sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 6/2014 che riporta tale orientamento maggioritario) e, conseguentemente, in presenza di un giudicato del giudice ordinario, l’art. 112, comma 3, c.p.a., deve essere interpretato entro i limiti suindicati (cfr. Tar Napoli, IV, n. 2041 del 2014).
6.8. Sussiste quindi il difetto di giurisdizione dell’adito Giudice Amministrativo sulla domanda risarcitoria formulata, in favore della giurisdizione del Giudice Ordinario, davanti al quale il giudizio potrà essere riassunto, ai sensi dell’art. 11, comma 2, del codice del processo amministrativo, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza, salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda e ferme restando le eventuali preclusioni e le decadenze intervenute.
7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, venendo poste a carico dell’inadempiente Amministrazione, e si liquidano come da dispositivo.                   

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta) accoglie il ricorso indicato in epigrafe nei termini e limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, dichiara l’obbligo del Comune di *** di dare esecuzione in favore della parte ricorrente alla decisione azionata di cui in epigrafe nei termini indicati in parte motiva.
Nel caso di ulteriore inottemperanza, nomina Commissario ad acta il Dirigente dell’Area 15 (Lavori pubblici, opere pubbliche, attuazione, espropriazione) della Regione Campania, con facoltà di delega, che provvederà ai sensi e nei termini di cui in motivazione al compimento degli atti necessari all’esecuzione della predetta sentenza.
Determina fin d’ora in euro 1.400,00 (millequattrocento) il compenso, comprensivo di ogni onere e spesa, da corrispondere a tale Commissario ad acta per l’espletamento di detto incarico, qualora si dovesse rendere necessario lo svolgimento della funzione sostitutoria.
Condanna il Comune suddetto, ex art. 114, comma 4, del codice del processo amministrativo, a corrispondere al ricorrente una somma agli interessi legali per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza nei termini e con le modalità di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Vico Equense al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento), oltre IVA e CPA come per legge, da attribuirsi al procuratore dichiaratosi antistatario.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Anna Pappalardo, Presidente FF
Michele Buonauro, Consigliere, Estensore
Maria Barbara Cavallo, Primo Referendario
Depositata in segreteria il 15 aprile 2016.

T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, sent. 15 aprile 2016, n. 1864 Leggi tutto »

T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 8 marzo 2016, n. 1222

 

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T.A.R. NAPOLI

SEZIONE OTTAVA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava)        
ha pronunciato la presente  

                      
                              SENTENZA                           

 

sul ricorso numero di registro generale nn/AAAA, proposto da: Gi. Ca.,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  S. S.  e G. S., con i quali è legalmente  domiciliato  presso  la segreteria del T.A.R. Campania – Napoli;                            

contro

Ministero  della  Giustizia,  in  persona    del    Ministro    p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura  Distrettuale  dello Stato di Napoli, presso la cui  sede  è  legalmente  domiciliata,  in Napoli, Via ***                                               

                           per l’esecuzione del giudicato                           

formatosi sul decreto decisorio cron. n. *** – R.G. nn/AAAA VG, reso in data 4 novembre 2010 dalla Corte di  Appello  di  Napoli,  II sezione civile – equa riparazione ex lege 89/01 (legge Pinto).       
Visti il ricorso e i relativi allegati;                              
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Distrettuale
dello Stato di Napoli per il Ministero della Giustizia;              
Viste le memorie difensive;                                          
Visto l ‘art. 114 cod. proc. amm.;                                   
Visti tutti gli atti della causa;                                    
Relatore nella camera di consiglio del giorno  24  febbraio  2016  il dott. Michelangelo Maria Liguori e uditi per  le  parti  i  difensori come specificato nel verbale;                                        
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto

1. La Corte di appello di Napoli, col decreto decisorio del 4 novembre 2010 (n. cron. nn/AAAA), concernente l’equa riparazione ex artt. 2 s. della l. n. 89/2001, ha condannato il Ministero della giustizia a pagare in favore di Ca. Gi., a titolo di indennizzo, l’importo di € 7.125,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo.
Il citato decreto è divenuto definitivo per non essere stata proposta impugnazione, e, a tutt’oggi, l’amministrazione non ha effettuato il pagamento dovuto.
2. A fronte di tale situazione, Ca. Gi. ha proposto ricorso in ottemperanza (notificato a mezzo PEC in data 11 aprile 2015, e depositato il successivo 23 aprile) nei confronti del Ministero della Giustizia, chiedendo a questo Tribunale Amministrativo Regionale di disporre l’esecuzione del decreto in epigrafe per la parte di spettanza, dichiarando l’obbligo di provvedere al pagamento in proprio favore della suindicata somma di € 7.125,00, oltre interessi legali dalla domanda, ed altresì nominando, per il caso di ulteriore inottemperanza, un commissario ad acta che provvedesse al pagamento, a cura e spese dell’Amministrazione.
Il ricorrente, contestualmente, ha richiesto anche la condanna dell’Amministrazione al pagamento di una somma di denaro, ai sensi dell’art. 114 cod. proc. amm., per l’ulteriore ritardo nell’esecuzione del giudicato (c.d. astreinte o penalità di mora).
3. L’intimato Ministero della giustizia si è costituito in giudizio con memoria di mero stile.
4. Alla camera di consiglio del 24 febbraio 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.
                     

Diritto

1) Preliminarmente, va rilevato che l’atto introduttivo del presente giudizio è stato notificato via PEC, ai sensi della legge n. 53/1994. Ora, sebbene secondo il disposto di cui all’art. 16-quater, comma 3-bis del D.L. 179/12, sia esclusa l’applicabilità alla giustizia amministrativa delle disposizioni idonee a consentire l’operatività nel processo civile del meccanismo di notificazione in argomento (ovvero i commi 2 e 3 del medesimo art. 16-quater), e ciò anche in mancanza di un apposito Regolamento che, analogamente al D.M. 3 aprile 2013, n. 48 concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, detti le relative regole tecniche anche per il processo amministrativo, osserva il Collegio come nel caso in esame l’avvenuta costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata sia idonea a sanare la nullità della notifica, non potendo la notificazione intervenuta a mezzo della posta elettronica certificata essere qualificata come inesistente (in tal senso da ultimo T.A.R. Veneto, sez. III, 27/3/2015 n. 369).
Del resto, la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n. 2682 del 28.5.2015), seppure non univocamente, ha ritenuto utilizzabile tale strumento notificatorio nel processo amministrativo già nell’attuale quadro normativo.
2) Nel merito, il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni e nei termini che seguono.
Il Collegio rileva come nel caso di specie ricorrano tutti i presupposti necessari per l’accoglimento, essendo il decreto in questione divenuto definitivo, in seguito alla mancata proposizione di impugnazione avverso lo stesso, come da attestazione della competente cancelleria prodotta in giudizio, ed essendo trascorso il termine di centoventi giorni dalla data della notifica del decreto decisorio in forma esecutiva, ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.l. n. 669 del 1996 convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30 e successive modifiche ed integrazioni, senza che il Ministero della Giustizia abbia dato esecuzione al dictum del giudice civile..
In tal senso, l’art. 112, comma 2 c.p.a., ha codificato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il decreto di condanna emesso ai sensi dell’art. 3 della legge n. 89 del 2001 ha natura decisoria in materia di diritti soggettivi, ed è, sotto tale profilo, equiparato al giudicato, con conseguente idoneità a fungere da titolo per l’azione di ottemperanza (Cons. Stato, Sez. IV, 16.3.2012, n. 1484; Cons. Stato, Sez. IV, 16.3.2012, n. 1484).
2.1) Nelle more della presente decisione è, tuttavia, sopravvenuta la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cosiddetta legge di stabilità 2016), che, nel comma 777, in vigore dall’1 gennaio 2016, “al fine di razionalizzare i costi conseguenti alla violazione del termine di ragionevole durata dei processi”, ha provveduto a inserire l’art. 5-sexies (Modalità di pagamento) nella legge 24 marzo 2001, n. 89.
Quest’ultimo articolo ha mutato le modalità di pagamento delle somme dovute per condanne ai sensi della stessa legge Pinto, introducendo delle disposizioni che incidono anche sulla proponibilità dei processi di esecuzione di tali pronunce, e, pertanto, anche dei giudizi di ottemperanza.
Viene, infatti, richiesto al creditore di rilasciare una dichiarazione di autocertificazione e sostitutiva di notorietà, attestante la non avvenuta riscossione di quanto dovuto e altri dati e documenti inerenti al pagamento, pena l’impossibilità di ottenere dalla p.a. debitrice il pagamento e di agire in via esecutiva.
Nello specifico, ai sensi del comma 1 dell’indicato art. 5-sexies, al fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate, il creditore deve rilasciare “all’amministrazione debitrice una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta”, nonché deve a trasmettere “la documentazione necessaria a norma dei decreti di cui al comma 3”.
L’indicato comma 3, prevede che “con decreti del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia, da emanare entro il 30 ottobre 2016, sono approvati i modelli di dichiarazione di cui al comma 1 ed è individuata la documentazione da trasmettere all’amministrazione debitrice… Le amministrazioni pubblicano nei propri siti istituzionali la modulistica di cui al periodo precedente”.
La dichiarazione in questione ha validità semestrale e deve essere rinnovata a richiesta della pubblica amministrazione (comma 2).
Nel caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai commi precedenti, l’ordine di pagamento non può essere emesso (comma 4).
L’amministrazione effettua il pagamento entro sei mesi dalla data in cui sono integralmente assolti gli obblighi previsti ai commi precedenti. Il termine di cui al periodo precedente non inizia a decorrere in caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione ovvero della documentazione indicata (comma 5).
La norma dispone, ancora, che prima del decorso di quest’ultimo termine, i creditori non possano procedere all’esecuzione forzata, alla notifica dell’atto di precetto, né proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento (comma 7).
Per quanto riguarda i processi di ottemperanza già instaurati alla data dell’1 gennaio 2016 – momento di entrata in vigore della legge di stabilità 2016 – la disposizione del comma 11 dell’indicato art. 5-sexies, disciplina i termini di applicabilità della normativa in questione, mentre il comma 12 dello stesso articolo risolve la problematica del contenuto degli obblighi (rectius oneri) di comunicazione anche nelle more di adozione dei decreti ministeriali che approveranno i modelli di dichiarazione.
Il comma 11 prevede, infatti, che “nel processo di esecuzione forzata, anche in corso, non può essere disposto il pagamento di somme o l’assegnazione di crediti in favore dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge in caso di mancato, incompleto o irregolare adempimento degli obblighi di comunicazione. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al pagamento compiuto dal commissario ad acta”.
Il riferimento al commissario ad acta comporta la sicura applicabilità della norma in questione anche al giudizio di ottemperanza (oltre che alle esecuzioni processualcivilistiche).
Il comma 12 del medesimo art. 5-sexies, risolve la “questione” dell’immediata operatività degli obblighi di comunicazione anche in assenza dei decreti attuativi, prevedendo che “i creditori di provvedimenti notificati anteriormente all’emanazione dei decreti di cui al comma 3 (quelli del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia che approveranno i modelli di dichiarazione) trasmettono la dichiarazione e la documentazione di cui ai commi precedenti avvalendosi della modulistica presente nei siti istituzionali delle amministrazioni. Le dichiarazioni complete e regolari, già’ trasmesse alla data di entrata in vigore del presente articolo, conservano validità anche in deroga al disposto dei commi 9 e 10”.
La disposizione in questione dispone, quindi, l’immediata operatività degli obblighi di comunicazione trattati e indica quali sono i modelli, presenti sui siti dei Ministeri, a cui fare temporaneo riferimento in attesa dei decreti ministeriali di approvazione dei decreti sulla modulistica “finale” (previsti entro il 30.10.2016), ammettendo la validità delle dichiarazioni trasmesse prima dell’entrata della legge in esame e conformi ai requisiti previsti.
Orbene, ritiene il Collegio che la normativa in esame non precluda la decisione sulla domanda di ottemperanza. Non introduce, infatti, profili di inammissibilità della domanda giudiziaria per carenza dei presupposti – in quanto per questi ultimi si deve fare riferimento al regime vigente al momento della sua proposizione – né una condizione sopravvenuta di improcedibilità.
Le disposizioni in questione, tuttavia, comportano l’esigenza che il pagamento intervenga solo a seguito della verifica, da parte dell’amministrazione compulsata o del commissario ad acta, dell’intervenuta esecuzione degli obblighi di comunicazione previsti dalla legge.
In particolare, tenendosi conto delle disposizioni di cui al comma 11 dell’emendato art. 5-sexies della legge Pinto, la domanda di ottemperanza proposta prima dell’entrata in vigore della novella legislativa può essere accolta, ma l’ordine giudiziale susseguente, volto a disporre le misure necessarie ad assicurare l’esecuzione del giudicato, deve essere emesso nel rispetto delle modalità legali attualmente vigenti, ovverosia considerando il comma 11 che, per i processi di esecuzione in corso, prevede l’assolvimento degli obblighi di comunicazione, e cioè il rilascio da parte dei creditori, anche in assenza dei decreti attuativi, di una “dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta ai sensi del comma 9 del presente articolo…”.
Il Collegio ritiene, inoltre, che, per le esecuzioni in corso, come quella del caso di specie, il riferimento all’assolvimento degli obblighi di comunicazione sia riferibile solo alla presentazione della dichiarazione e non anche al decorso dei sei mesi.
Quest’ultimo termine dilatorio esula del tutto dagli obblighi di comunicazione imposti al creditore.
La disposizione del comma 11 si richiama, infatti, ai soli obblighi di comunicazione e non all’intera procedura di liquidazione, e il riferimento della disposizione a una fase giudiziaria prettamente esecutiva – quale quella del giudizio di ottemperanza o di esecuzione forzata nel processo civile – fa venir meno l’esigenza di garantire uno spatium deliberandi all’amministrazione per pagare, mentre fa salva quella di evitare duplicazioni di pagamento e, in ogni caso, di avere una chiara situazione debitoria.
Tale interpretazione è, peraltro, conforme all’esigenza che il giudicato trovi pronta esecuzione, in linea con il principio costituzionale di pienezza della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., così come con i principi in tema di equità del processo ed effettività della tutela, di cui agli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU.
Inoltre, anche in giurisprudenza è stato da tempo affermato che, in sede di giudizio di ottemperanza, le azioni sostitutive poste in essere dal giudice o, per esso, dal commissario ad acta per eseguire il giudicato, possono anche esulare dal rispetto delle ordinarie procedure cui è tenuta l’amministrazione nell’ambito della sua azione, anche in ipotesi riguardanti il pagamento di somme di denaro (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-quater, 8 giugno 2015, n. 7987; T.A.R. Molise, 17 aprile 2015, n. 147; Cons. Stato, sez. III, 7 giugno 2013, n. 3124; Cons. Stato, sez. V, 1 marzo 2012, n. 1194; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 21 giugno 2012, n. 1763).
La domanda attorea va, quindi, accolta e, per l’effetto, va ordinato all’amministrazione convenuta di eseguire la statuizione giudiziale innanzi riportata e, quindi, di far luogo al pagamento di quanto dovuto all’odierno ricorrente, nel termine di trenta giorni dall’assolvimento da parte di quest’ultimo degli obblighi di comunicazione dinanzi indicati, costituenti inderogabile presupposto per potersi conseguire il ripetuto pagamento.
Quanto all’oggetto dell’accoglimento, il Collegio rileva come, nel caso di specie, il ricorso per l’ottemperanza riguardi solo l’importo liquidato nel decreto decisorio in favore del ricorrente e non le spese legali, in quanto queste ultime sono state dal medesimo decreto attribuite in favore del procuratore antistatario.
3) Per quanto riguarda le spese successive al decreto azionato, e come tali non liquidate nello stesso, il Collegio specifica che in sede di giudizio di ottemperanza può riconoscersi l’obbligo di corresponsione alla parte ricorrente, oltre che degli interessi sulle somme liquidate in giudicato, anche delle spese accessorie (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III Sent., 28/10/2009, n. 1798; T.A.R. Sardegna, 29/09/2003, n. 1094).
Infatti, nel giudizio di ottemperanza, le ulteriori somme richieste in relazione a spese diritti e onorari successivi al decreto sono dovute solo in relazione alla pubblicazione, all’esame ed alla notifica del medesimo, alle spese relative ad atti accessori, in quanto hanno titolo nello stesso provvedimento giudiziale; non sono dovute, invece, le eventuali spese non funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, quali quelle di precetto (che riguardano il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 ss., c.p.c.), o quelle relative a procedure esecutive risultate non satisfattive, poiché, come indicato, l’uso di strumenti di esecuzione diversi dall’ottemperanza al giudicato è imputabile alla libera scelta del creditore (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 11 maggio 2010 , n. 699; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 22 dicembre 2009 , n. 1348; Tar Campania – Napoli n. 9145/05 ; T.A.R. Campania – Napoli n. 12998/03; C.d.S. sez. IV n. 2490/01; C.d.S. sez. IV n. 175/87).
Ciò in considerazione del fatto che il creditore della P.A. può scegliere liberamente di agire, o in sede di esecuzione civile, ovvero in sede di giudizio di ottemperanza, ma una volta scelta questa seconda via non può chiedere la corresponsione delle spese derivanti dalla eventuale notifica al debitore di uno o più atti di precetto (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 14.07.2009, n. 1268).
Le spese, i diritti e gli onorari di atti successivi al decreto azionato sono quindi dovuti solo per le voci suindicate e, in quanto funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, vengono liquidate, in modo omnicomprensivo, nell’ambito delle spese di lite del presente giudizio come quantificate in dispositivo, fatte salve le eventuali spese di registrazione del titolo azionato il cui importo, qualora dovuto e versato, non può considerarsi ricompreso nella liquidazione omnicomprensiva delle suindicate spese di lite.
4) Va altresì accolta, anche alla luce della cennata novella legislativa, la domanda circa la corresponsione della penalità di mora di cui all’art. 114 comma 4, lettera e), c.p.a..
Quest’ultima disposizione, nel disciplinare i poteri del “giudice in caso di accoglimento del ricorso”, stabilisce che lo stesso, “salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo”.
La lett. a), del comma 781, dell’art. 1, della più volte richiamata legge n. 208/2015, ha aggiunto a quest’ultima disposizione dell’art. 114 c.p.a. il seguente periodo”Nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; detta penalità non può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli interessi legali”.
L’indicata novella ha, quindi, espressamente sancito il principio, in realtà già acquisito in via giurisprudenziale (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 giugno 2014, n. 15), secondo cui la penalità di mora è dovuta anche per le condanne al pagamento di somme di denaro, atteso che l’istituto assolve ad una finalità sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto non è volto a riparare il pregiudizio cagionato dalla non esecuzione della sentenza, ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento. Ha, altresì, indicato come non possa considerarsi manifestamente iniqua un’astreinte qualora sia stabilita in misura pari agli interessi legali.
La precisazione legislativa induce il Collegio a rivedere il precedente orientamento giurisprudenziale circa la configurabilità dell’iniquità della debenza dell’astreinte in relazione a condanne pecuniarie dell’Amministrazione, avuto riguardo alle esigenze di bilancio e allo stato di crisi finanziaria della finanza pubblica, non potendo ora la penalità di mora, pur in presenza di condanne pecuniarie derivanti da un contenzioso seriale, considerarsi iniqua per stessa definizione legislativa, laddove rapportata al saggio degli interessi legali, trattandosi di previsione che attua un equo contemperamento degli interessi del creditore e del debitore pubblico.
La quantificazione della relativa penalità d mora deve pertanto essere effettuata in una misura percentuale rispetto alla somma di cui alla condanna, prendendo a riferimento il tasso legale di interesse (in tal senso, già prima della legge di stabilità 2016, cfr. T.A.R. Lazio, Roma Sez. II, 16 dicembre 2014 n. 12739; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 15/01/2015, n. 629)..
L’astreinte verrà calcolata, nella misura indicata dell’interesse legale, sulla somma di cui alla condanna, in aggiunta agli interessi legali dovuti ex lege o, come in questo caso, disposti nella medesima condanna, stante la funzione sanzionatoria della stessa (e non compensativa del danno subito), che deve anche costituire un elemento di coazione indiretta all’adempimento.
Quanto alla data di decorrenza iniziale dell’astreinte la novella introdotta dall’art. 1, L. 28 dicembre 2015, n. 208, all’art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. ha previsto che la penalità d mora debba essere disposta a far data dal giorno della comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza.
Nel caso di specie, tuttavia, come suindicato, la medesima legge di stabilità ha subordinato, anche per i giudizi di ottemperanza in corso, l’adempimento delle obbligazioni derivanti dalle pronunzie di condanna ex legge Pinto al previo assolvimento, da parte del creditore, degli obblighi di comunicazione prima indicati, contestualmente stabilendo che l’Amministrazione non possa procedere al pagamento prima che sia intervenuto tale adempimento, con espresso divieto di legge.
A fronte di tale specifico divieto legislativo va però osservato che l’amministrazione, nelle more dell’adempimento degli oneri di comunicazione da parte del privato, non potrebbe considerarsi ulteriormente inadempiente all’obbligo di ottemperare al giudicato di pagamento, con conseguente venir meno della funzione sanzionatoria (dell’inerzia della p.a. nell’adempiere) e di coazione indiretta all’esecuzione connaturale all’istituto dell’astreinte.
Sarebbero inconfigurabili le stesse violazioni, inosservanze e ritardi che invece proprio l’art. 114, comma 4, lettera e), c.p.a.. pone quali condizioni necessarie per la concessione dell’astreinte.
Anzi, in questi casi, fissare l’operatività della penalità nelle more dell’adempimento da parte del ricorrente degli oneri di comunicazione, significherebbe “rigirare” a scapito della p.a. un adempimento a cui è tenuto il ricorrente, con l’effetto che lo stesso verrebbe a “lucrare” un’astreinte per effetto di un suo ritardo, verificandosi una situazione di manifesta iniquità in presenza della quale non sono dovute le astreinte, ai sensi della stessa disposizione dell’art. 114 c.p.a.
In questo caso specifico, allora, la norma in questione deve essere interpretata nel senso che l’astreinte sarà dovuta dalla data di intervenuta comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza, solo qualora siano già stati integralmente ottemperati gli obblighi di comunicazione suindicati; in caso contrario sarà dovuta dal momento in cui i suddetti obblighi saranno stati adempiuti.
Quanto alla data di decorrenza finale dell’astreinte, la stessa, in conformità con l’orientamento giurisprudenziale attualmente prevalente, sarà dovuta fino all’effettivo soddisfacimento del credito o, in alternativa, sino alla data di insediamento del commissario ad acta (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 3 novembre 2015 n. 5014; T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18 gennaio 2016, n. 464).
5) Deve, pertanto, essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione al decreto in epigrafe, mediante il pagamento in favore del ricorrente dell’importo liquidato in suo favore nel medesimo decreto, a titolo di indennizzo, maggiorato dagli interessi legali dalla data di decorrenza indicata nel decreto stesso e sino al soddisfo, previo tuttavia integrale adempimento da parte del ricorrente degli obblighi di comunicazione previsti ex lege e dianzi indicati.
6) L’Amministrazione darà quindi esecuzione al predetto decreto entro trenta giorni dall’integrale adempimento da parte del ricorrente degli obblighi di comunicazione suindicati; e ciò a decorrere dalla notificazione a istanza di parte o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora Commissario ad acta il Dirigente dell’Ufficio I della Direzione generale degli affari giuridici e legali – Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della Giustizia, che entro l’ulteriore termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’inottemperanza (a cura di parte ricorrente) e previa verifica dell’effettivo intervenuto integrale assolvimento degli obblighi di comunicazione, darà corso al pagamento, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’amministrazione inadempiente.
Il compenso del Commissario ad acta rientra nell’onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti, ai sensi del comma 8 dell’art. 5-sexies (Modalità di pagamento) della legge n. 89/2001, così come previsto dall’art. 1, comma 777, lett. l), della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, venendo poste a carico del Ministero della Giustizia, e si liquidano come da dispositivo, in considerazione della linearità della controversia.
A quest’ultimo riguardo il Collegio precisa che, come già indicato, tra le spese di lite liquidate in dispositivo per il presente giudizio di ottemperanza rientrano, in modo omnicomprensivo, le spese, i diritti e gli onorari relativi ad atti successivi al decreto decisorio e funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, fatte salve le eventuali spese di registrazione del decreto azionato non ricomprese in detta quantificazione.        

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava) accoglie il proposto ricorso nei termini e limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, dichiara l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione in favore della parte ricorrente al decreto azionato.
Nel caso di ulteriore inottemperanza, nomina quale Commissario ad acta il Dirigente dell’Ufficio I della Direzione generale degli affari giuridici e legali – Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della Giustizia, che provvederà ai sensi e nei termini di cui in motivazione al compimento degli atti necessari all’esecuzione del predetto decreto.
Condanna il Ministero della Giustizia del pagamento, in favore della parte ricorrente, delle spese di giudizio, che liquida in euro 800,00 (ottocento), oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dei difensori di parte ricorrente, dichiaratisi antistatari.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Michelangelo Maria Liguori, Presidente FF, Estensore
Fabrizio D’Alessandri, Consigliere
Rosalba Giansante, Primo Referendario
Depositata in segreteria in data 8 marzo 2016

T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 8 marzo 2016, n. 1222 Leggi tutto »

Cons. Stato, sez. III, sent. 20 gennaio 2016, n. 189

 

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CONSIGLIO DI STATO

SEZIONE TERZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato                        
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)               
ha pronunciato la presente    

                                      
                              SENTENZA                           

 

sul ricorso numero di registro generale nn/AAAA, proposto da:  Ministero ***, ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e
domiciliato presso  gli  ufficii  della  stessa,  in  Roma,  via  ***

contro
                                               

T.I. S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to  E.G.ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso, in Roma, via ***                                     

                          nei confronti di                           

– Regione ***, non costituitasi in giudizio;                                        
– Provincia di ***, non costituitasi in giudizio;                                        
– Comune di ***, non costituitosi in giudizio,                                        

                           per la riforma                            

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA – SEZIONE II n.  00478/2014,  resa tra le parti, concernente diniego autorizzazione paesaggistica per la realizzazione e  l’installazione  di  una  stazione  radio  base  per telefonia cellulare mobile.                                          
Visto il ricorso, con i relativi allegati;                           
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società appellata;    
Visto che non si sono costituiti  in  giudizio  la  Regione  ***, la Provincia di  ***  ed  il  Comune  di  ***;                                                          
Viste le memorie prodotte dall’appellata a sostegno delle sue difese;
Visti gli atti tutti della causa;                                    
Data per letta, alla  pubblica  udienza  del  19  novembre  2015,  la
relazione del Consigliere S. C.;                          
Uditi, alla stessa udienza, l’avv. A. B. dello  Stato  per
l’appellante e l’avv. E. G. per l’appellata;              
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:    

Fatto                         

1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, T.I. S.p.a. impugnava, con tre articolati motivi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, il provvedimento del Comune di *** n***, nonché i presupposti pareri del Ministero di *** con il verbale della Conferenza di servizi n. ***, recanti il diniego al rilascio del provvedimento unico autorizzatorio per l’esecuzione delle opere di cui alla dichiarazione unica autocertificativa, Codice Univoco n. ***, Prot. Gen. nn/AAAA, da essa presentata.

Con la sentenza indicata in epigrafe il T.A.R. adìto, in accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, dichiarava illegittimi gli atti impugnati, ad eccezione del pure opposto regolamento del Comune *** per i servizi di comunicazione, di cui alla deliberazione del Consiglio Comunale nn/AAAA.

Avverso detta sentenza ha proposto appello il Ministero ***, deducendo l’erroneità degli argomenti, sulla base dei quali il Giudice di primo grado ha ritenuto assentibile l’intervento in questione.

Non si sono costituiti in giudizio, benché ritualmente intimati, la Regione ***, la Provincia di *** ed il Comune di ***.

Resiste T.I. s.p.a., che ha contraddetto in memoria l’ordine argomentativo dell’appellante.

La causa, già chiamata alla udienza pubblica del 16 luglio 2015 (alla quale venivano segnalate alle parti, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., come da verbale, la questione in rito, rilevata d’ufficio, della irricevibilità del ricorso per inammissibilità della notifica effettuata a mezzo PEC, nonché il mancato deposito degli avvisi di ricevimento delle raccomandate di notifica dell’atto di appello alla Provincia di Cagliari, al Comune di *** ed alla Regione ***), veniva ivi rinviata per la trattazione, al fine di consentire ogni eventuale difesa in merito a tali rilievi, all’udienza pubblica del 19 novembre 2015, in vista della quale l’appellata ha depositato memoria con la quale si riporta ai precedenti scritti difensivi e l’appellante si è limitato al deposito degli anzidetti avvisi di ricevimento.

A detta udienza la causa è stata alfine chiamata e trattenuta in decisione.

2. – L’appello è irricevibile.

Esso risulta invero notificato alla Regione ***, alla Provincia di *** ed al Comune di *** in data 4 febbraio 2015, vale a dire il giorno successivo alla scadenza del termine di impugnazione di cui all’art. 92, comma 3, c.p.a., cadente nel caso all’esame, tenuto conto della sospensione dei termini processuali prevista dal comma 2 dell’art. 54 c.p.a., il giorno 3 febbraio 2015.

Né ad impedire tale declaratoria può valere la tempestiva notifica dell’appello stesso effettuata in data 3 febbraio 2015 alla società appellata mediante posta elettronica certificata ai sensi della legge n. 53/1994, ritenendo il Collegio siffatta modalità di notifica non utilizzabile nel processo amministrativo, essendo, com’è noto, esclusa, in base al disposto di cui all’art. 16-quater, comma 3-bis, del D.L. n. 179/12 come convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, l’applicabilità alla giustizia amministrativa delle disposizioni idonee a consentire l’operatività nel processo civile del meccanismo di notificazione in argomento (ovvero i commi 2 e 3 del medesimo art. 16-quater), solo all’ésito della cui adozione, si badi, detto meccanismo ha acquistato effettiva efficacia nel processo civile e penale (così come, per i giudizii dinanzi alla Corte dei conti, si è reso necessario stabilire le regole tecniche ed operative in materia di utilizzo della posta elettronica certificata anche per l’effettuazione di notificazioni relative a procedimenti giurisdizionali con recente decreto del Presidente 21 ottobre 2015 in G.U. n. 256 del 3 novembre 2015); e ciò tenuto conto della mancanza di un apposito Regolamento, che, analogamente al D.M. 3 aprile 2013, n. 48 concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, detti (essendo del tutto impensabile che prescrizioni tecniche siano all’uopo necessarie per il processo civile e penale e non per quello amministrativo) le relative regole tecniche anche per il processo amministrativo e che non può che individuarsi nel D.P.C.M. previsto dall’art. 13 dell’All. 2 al c.p.a. ( v. anche l’art. 38, comma 1, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 ), allo stato non ancora intervenuto ed al quale il legislatore ha implicitamente ma chiaramente riguardo laddove, nell’escludere l’applicazione al processo amministrativo del comma 3 dell’art. 16-quater cit., da un lato afferma l’applicabilità al processo amministrativo dello strumento della notifica telematica ( del resto prevista dagli articoli 1 e 3-bis della legge n. 53 del 1994 ), dall’altro non disconosce certo la necessità di regole tecniche anche per il processo amministrativo, che, sulla scorta dell’assenza di potere regolamentare del Ministro della Giustizia con riferimento al processo amministrativo ( donde la previsione del comma 3-bis cit. di inapplicabilità alla giustizia amministrativa del comma 2, che tale potere conferisce ), non possono essere che quelle di cui all’emanando, citato, D.P.C.M. ( di cui il ricordato art. 38 del successivo D.L. n. 90/2014 ribadisce appunto l’esigenza, fissandone per la prima volta i termini per l’emanazione ), solo all’ésito del quale l’intero processo amministrativo digitale avrà una completa regolamentazione e la notifica del ricorso a mezzo PEC potrà avere effettiva operatività ed abbandonare l’inequivocabile ed ineludibile carattere di specialità oggi affermato dall’art. 52, comma 2, c.p.a., che prevede per il suo utilizzo, facendo all’uopo espresso riferimento all’art. 151 c.p.c., una specifica autorizzazione presidenziale, del tutto mancante nel caso all’esame.

Tale carattere non può certo invero oggi negarsi in virtù di una affermata tendenza del processo amministrativo a trasformarsi in processo telematico, atteso che siffatta “tendenza” rappresenta allo stato un mero orientamento, che deve comunque tradursi in regole tecnico-operative concrete, demandate appunto al sopra indicato strumento regolamentare, in assenza delle quali il Giudice amministrativo non può certo sostituirsi al legislatore statuendo l’ordinaria applicabilità di una forma di notifica allo stato ancora non tipizzata.

Né a sanare l’invalidità di tale notifica può valere la successiva costituzione in giudizio del soggetto destinatario della stessa, atteso che vertesi in ipotesi di inesistenza della notifica ( in quanto trattasi di modalità di notificazione priva di qualsivoglia espressa previsione normativa circa l’idoneità della forma prescelta a configurare un tipico atto di notificazione come delineato dalla legge; tipicità, questa, che non consente nemmeno di poter ravvisare nella fattispecie un’ipotesi di errore scusabile ), in alcun modo sanabile; quand’anche, tuttavia, si volesse ritenere che una notifica eseguita mediante ricorso ad una forma non utilizzabile in quanto non espressamente prevista come tale nel paradigma legislativo degli atti di notifica valga a concretizzare non una ipotesi di inesistenza ma piuttosto di nullità della stessa, comunque in tal caso, sulla scorta dell’art. 44, comma 3, c.p.a., la costituzione dell’intimato è sì idonea a sanare la nullità medesima, ma, a differenza che nel processo civile, con efficacia ex nunc, ossia con salvezza delle eventuali decadenze già maturate in danno del notificante prima della costituzione in giudizio del destinatario della notifica, ivi compresa la scadenza del termine di impugnazione, cadente nel caso di specie, come s’è detto, al 3 febbraio 2015, laddove la costituzione dell’appellata è intervenuta con atto in data 20 febbraio 2015.

4. – L’appello, in definitiva, va dichiarato irricevibile.

La pronuncia in rito sulla base di questione rilevata solo d’ufficio giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

Diritto                        

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo dichiara irricevibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 19 novembre 2015, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
Depositata in segreteria il 20 gennaio 2016.   

Cons. Stato, sez. III, sent. 20 gennaio 2016, n. 189 Leggi tutto »