Il PCT non è un pesce d’aprile

di Daniela Muradore
Avvocato in Milano e formatore PCT

 

Sono recentemente comparsi su alcuni siti e blog articoli di avvocati che chiedono che il processo civile telematico sia reso facoltativo, a causa della difficoltà di utilizzo.

Sento di dover spezzare una lancia a favore di questo bistrattato Processo Civile Telematico Obbligatorio.

Lo faccio perché lo uso da molto tempo, e mi sia consentito dire, con successo e mi ha dato molto di più di quanto ha preteso da me in termini di necessaria conoscenza, inevitabile approfondimento, continuo esercizio e, non lo nego, anche sana dose di arrabbiatura.

Trovo che tutti questi elementi, peraltro, siano del tutto comuni alla professione che esercito da qualche anno. La necessità di aggiornarsi continuamente, sia sul piano normativo, che giurisprudenziale, la difficoltà nel misurarsi con le prassi locali degli uffici, i ritardi nella gestione degli incombenti di cancelleria o delle udienze, nei reperimenti dei fascicoli.

Sono l’unica sfortunata che ha passato i primi anni della professione alla ricerca di un fascicolo perduto o aspettando il secondo turno della chiamata in aula sfratti?

Per questo mi stupisco dell’elencazione di difficoltà all’apparenza insormontabili, considerato che, ben prima dell’avvento del PCT, per chi faceva materia giudiziale, la vita non era facile, davvero.

Io faccio processo telematico perché credo sia l’unico modo, oggi, di fare processo civile. E non torno indietro.

Certo, sulla base della mia esperienza, comune credo a quella di tutti, ogni processo di innovazione è migliorabile.

Ma il processo civile ha regole precise e principi di diritto ineliminabili e quindi, il sistema deve necessariamente tenere conto di tali regole.

Io dormo sonni tranquilli sapendo che esiste il principio sacrosanto dello sdoppiamento di alcuni termini processuali, costruito faticosamente dalla giurisprudenza nell’ambito delle notificazioni civili, oggi sancito in una norma e ripreso dalla regola tecnica sul processo telematico che mi garantisce, quale depositante, il rispetto del mio termine ricevuta una attestazione di sistema. E non mi importa di dover gestire quattro ricevute PEC per il deposito di ogni mio atto, perché mi sembra ancora il minore dei mali rispetto a poter organizzare diversamente il mio lavoro, non dover andare in Tribunale e non fare il fascicolo cartaceo (con buona pace della foresta amazzonica e della copia di cortesia).

Questo perchè le norme processuali vanno rispettate e il sistema, con le evoluzioni che sono proprie dell’innovazione, deve riproporle.

Mi ritengo fortunata di partecipare a questo momento di cambiamento storico del processo civile. E credo dovremmo essere tutti orientati al suo miglioramento, partendo dalla realtà che ci circonda e compiendo, ciascuno, tutto quanto è possibile per migliorare il processo: costruire prassi virtuose, segnalare disfunzioni, approfondire argomenti.

Insomma, partecipare della realizzazione della giustizia, anche di quella telematica.

Non è forse anche questo un ruolo essenziale dell’avvocatura?