Dieci anni di PCT: le opinioni dei protagonisti

 

L’11 dicembre 2006 è partita da Milano la più importante rivoluzione nel mondo della giustizia civile del dopoguerra: quel giorno è stato depositato il primo decreto ingiuntivo telematico su ricorso dell’allora Presidente dell’Ordine Avvocati, l’avv. Paolo Giuggioli. Il decreto è stato il primo passo che ha portato, dopo dieci anni, alla completa informatizzazione dei procedimenti civili e ha posto le basi per l’avvio di un analogo percorso nelle altre giurisdizioni: tributaria, amministrativa, penale e contabile.

Dopo cinque anni veniva finalmente attuato il d.p.r. n. 123/2001, recante le prime regole sul processo civile telematico. Erano ampiamente diffuse ai quei tempi le perplessità sulle reali possibilità di implementazione di quel sistema ed il Tribunale di Milano, in sinergia con l’Ordine Avvocati, aveva sorpreso tutti gli addetti ai lavori, dimostrando che il processo civile poteva veramente essere dematerializzato.

Da allora non ci si è più fermati. Nel 2009 sono state avviate, sempre presso il Tribunale di Milano, le comunicazioni via posta elettronica certificata. Nel 2010 è stata rilasciata la prima autorizzazione al deposito delle memorie in corso di causa. Nel 2011 sono entrate in vigore le attuali regole tecniche, che hanno inciso sull’architettura del sistema, prevedendo il passaggio alla posta elettronica certificata standard.

Nel 2012, con la pubblicazione del d.l. n. 179/2012 è iniziato il percorso che ha portato, due anni più tardi, all’introduzione dell’obbligatorietà: dal 2014 la quasi totalità degli atti processuali deve essere depositata telematicamente e anche nelle ipotesi residuali il deposito telematico è comunque una facoltà. La tradizionale regola, in base alla quale l’atto è cartaceo e solo in determinati casi tassativamente individuati si può inviare via internet, è stata completamente rovesciata e, attualmente, vale il principio opposto: nel dubbio, meglio depositare via PEC.

Il PCT rappresenta il più importante progetto di informatizzazione della pubblica amministrazione non solo a livello italiano: un sistema di tale estensione e portata non è ancora presente in nessun altro stato europeo e forse nemmeno a livello mondiale. Il successo è stato raggiunto grazie al lavoro, alla passione e all’impegno quotidiano di avvocati, magistrati, personale amministrativo, consulenti che hanno creduto in questo sistema fin dai tempi in cui si faticava a trovare computer adeguati sui quali far girare il nuovo sistema.

Per festeggiare questa ricorrenza, che l’Ordine degli avvocati di Milano celebra con un convegno, abbiamo voluto sentire l’opinione di chi, con diversi ruoli, ha partecipato fin dall’inizio e reso possibile questa entusiasmante esperienza: un cancelliere, un avvocato e un magistrato.

 

Patrizia Bove, responsabile cancelleria centrale civile e decreti ingiuntivi – Tribunale di Milano

D. Può tracciare un bilancio dei primi dieci anni di PCT?

R. Il bilancio di questi primi dieci anni di PCT è sicuramente positivo. Il lavoro per le cancellerie è diminuito: il passaggio cartaceo di atti, istanze, avvisi, ecc. è più oneroso della loro gestione telematica in quanto coinvolge più figure professionali e ritarda i tempi di risposta. Il pubblico è diminuito e meno accessi in cancelleria consentono di avere più tempo per lavorare.

D’altra parte meno lavoro di un certo tipo non significa meno lavoro in assoluto. La disponibilità 24 ore su 24 degli strumenti informatici sia per gli avvocati che per i magistrati rende la quantità di lavoro costante anche durante le festività o nei periodi di vacanza, molto superiore a quella che le cancellerie con il loro orario e personale possono sostenere. Negli uffici giudiziari è forte l’esigenza di personale formato per il PCT e più duttile, in grado di adattarsi alle varie esigenze: questo personale ci manca. Spesso front e back office sono gestiti dalla stessa persona, che evidentemente non riesce a fare miracoli.

D. Come vede il PCT fra dieci anni?

R. Vedo un PCT sicuramente diverso. Occorre rispondere e far fronte alle varie esigenze che via via si presentano ed apportare tutti i cambiamenti conseguenti. Il cancelliere non deve diventare virtuale, ma devono essergli messi a disposizione maggiori supporti e procedure di accettazione automatica in tutti i casi in cui è possibile. Il cancelliere del futuro è riqualificato, competente e liberato di attività che il sistema può gestire in automatico.

 

Paolo Lessio, avvocato in Milano e componente della Commissione informatica dell’Ordine degli avvocati di Milano – Membro del Consiglio Direttivo del Circolo dei Giuristi Telematici con funzione di Tesoriere

D. Può tracciare un bilancio dei primi dieci anni di PCT?

R. Il bilancio è assolutamente e inequivocabilmente positivo. Sostenere il contrario significa semplicemente ignorare i risultati di un progetto formidabile che ha consistentemente ridotto i tempi di accesso ai fascicoli (sia per il deposito che per la consultazione) rendendo disponibile il sistema “Giustizia” h24 da ogni luogo del pianeta dotato di rete internet. Peraltro è bene tenere presente che questa riduzione di tempo e di risorse necessarie ad accedere al fascicolo ha avuto come conseguenza un recupero di professionalità da parte degli avvocati che, liberi da code e adempimenti burocratici, posso dedicare più tempo all’approfondimento giuridico. È pur vero che il legislatore ha spesso dimostrato di comprendere poco le potenzialità dell’informatica ed ha emanato norme poco chiare e talvolta contraddittorie ma la spinta verso la semplificazione è innegabile e il meccanismo è destinato ad abbattere ulteriormente i formalismi inutili, di nuovo a vantaggio della vera professionalità giuridica. L’unico problema del PCT è che dopo dieci anni di applicazione è diventato obsoleto e si percepisce sempre di più la necessità di una innovazione profonda del sistema.

D. Come vede il PCT fra dieci anni?

R. Non sono davvero in grado di fare una previsione così a lungo termine. Quando questo progetto è iniziato la tecnologia camminava molto più lenta di adesso e le linee di sviluppo, necessariamente legate al progresso tecnologico, erano più limitate.

Dopo 10 anni di strada il progresso tecnologico ha portato allo sviluppo del cloud, della blockchain e delle reti neurali e in questo fermento tecnologico è difficile dire quale direzione prenderà il PCT. L’unico auspicio è che il legislatore si renda finalmente conto che la vera innovazione tecnologica è quella di cui l’utente non si accorge. In un contesto in cui la tecnologia può tutto o quasi è sufficiente che le norme siano chiare e l’obiettivo di coniugare semplicità di utilizzo e garanzie costituzionali sarà solo la diretta conseguenza di un sistema normativo evoluto.

 

Enrico Consolandi, giudice del Tribunale di Milano e Magistrato referente distrettuale per l’informatica – area civile

D. Può tracciare un bilancio dei primi dieci anni di PCT?

R. All’inizioil PCT è stato quasi un gesto Dadaista: una rottura del linguaggio, qui legale, lì artistico, che ha messo in moto una rivoluzione. In particolare è stata la rivoluzione della collaborazione, si sono unite le forze che non ne potevano più del processo tradizionale.

Poi qualcuno ha identificato la carta con il male, ma questa è stata una deriva irrazionale, che ha generato controspinte verso la conservazione della carta.

È invece necessario un approccio laico e razionale alla tecnologia.

Resistenze se ne potevano immaginare, altrimenti non sarebbe stata vera innovazione, ma una delle tante inutili riforme processuali degli ultimi tempi.

Il primo Dadaista, o estimatore di questo dadaismo processuale, è stato il presidente Giuggioli che ha investito nel Punto d’accesso. Così facendo ha in realtà investito in collaborazione, in rottura degli schemi e soprattutto dello schema che vuole il giudice e l’avvocato antagonisti, mentre il buon risultato processuale è frutto della collaborazione di tutte le parti.

Questo per me è stato il principale frutto del PCT: collaborazione per uscire da schemi che bloccano la giustizia.

Ovviamente, inoltre, c’è stato anche il progresso generale e su questo bisogna dire che in ambito giudiziario su generazione di dati e soprattutto utilizzo della firma digitale la giustizia, per una volta, ha fatto da traino al paese.

D. Come vede il PCT fra dieci anni?

R. Immagino il processo telematizzato come una fonte di dati integrata nel sistema dei big data.

La giurisprudenza, per essere davvero in nome del Popolo Italiano, diventa fonte di dati, si fa conoscere con schematizzazioni, orientamenti, produttività.

Al contempo il PCT deve diventare uno scambio di dati delle decisioni sia verso il sistema economico che verso le anagrafi dei Comuni, deve evolvere verso l’identificazione digitale per favorire l’accesso alla giustizia:

raccordare richieste e risposte di giustizia, coordinarle per semplificarle e renderle più chiare e trasparenti.

Ma a tutto ciò si oppone un sistema troppo tradizionale di pagamenti sulle copie. Non si può utilizzare la informatica e pretendere pagamenti per le copie, che peraltro tali non sono nemmeno più: soprattutto non si può pretenderli con marche da bollo, che non si sa più dove incollare.

E poi più che i documenti in sé diverranno sempre più rilevanti i dati sui documenti e i metadati, che bisogna standardizzare per arrivare a forme veloci e precise di comunicazione.

Anche la privacy come intesa oggi è un concetto invecchiato, diventa ostacolo alla conoscenza di fatti pubblici rilevanti, va rivista.

E c’è anche una Europa che sta probabilmente facendo passi indietro, perché tanto il regolamento sulla identità digitale (eIDAS) che quello sulla privacy non mi paiono del tutto soddisfacenti: l’uno per carenza di prescrittività sui modi di interoperabilità, l’altro per non comprendere che la società dei dati sta decisamente oltrepassando qualsiasi regolamento e che ormai nessuno è più in grado di nascondere la propria identità digitale. Entrambi poi non brillano per sinteticità e chiarezza.

Sarebbe dunque da tenere sempre presente l’esigenza di semplificazione e chiarezza per una migliore efficienza sia a livello normativo italiano che europeo.

Il viaggio del PCT è un po’ come il viaggio verso Itaca di Costantino Kavafis…

 

Itaca
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
nè nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
 
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
 
Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
 
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.