A warrior can’t be a worrier.

Run towards the challenge instead of running away from it.

(J. Maeda)

Interrogativi categorici e imperativi strategici: brevi riflessioni sull’avvocatura e il diritto post neural networks.

Di Andrea Stanchi, Avvocato in Milano

Sono passati oltre due mesi da quando il nostro tempo forense si è sospeso.

Un tempo in cui paradossalmente gli eventi della realtà materiale hanno reso, invece, palese l’accelerazione della realtà del mondo computazionale.

Quel principio esponenziale – di cui abbiamo tante volte parlato sia altrove nel ragionare delle modifiche al lavoro e alle organizzazioni d’impresa sia da questo stesso blog per ragionare sul processo – ha reso evidente il suo impatto discriminante: la diversità di opzioni tra chi era attrezzato per vivere nel mondo computazionale ed aveva convertito almeno parzialmente la propria realtà, e quelle di chi invece era ed è rimasto analogico.

Manifestazione palese che porta con sè ulteriori considerazioni.

Il tempo sospeso è stato il momento dell’epifania di una realtà che, con nuove regole, aveva già completamente modificato il mondo e non tornerà più indietro.

Per la gran parte si è trattato di un salto (di consapevolezza innanzitutto), per molti era semplicemente il portato naturale di un percorso.

Certamente è stato un salto per la gran parte dell’avvocatura e magistratura italiana.

Un salto che ha reso lampante how to speak machine quale discriminante anche per i giuristi.

Ciò è evidente innanzitutto nel dibattito pubblico sulla costituzionalità delle scelte di (metodo e) politica normativa adottate in questo tempo.

Il raffronto fra le poche voci di giuristi (costituzionali) che si sono levate per spingere alla riflessione, da un lato, e l’indifferenza della maggioranza del popolo, dall’altro (anche di giuristi e dell’informazione), al precipitare di una realtà verso la sorveglianza generalizzata (dando drammatica concretezza alla rappresentazione di D.Lyon, S. Zuboff e G. Ziccardi, come dalle pagine di un libro di V. Vinge), ha reso oggettivo un cambio completo nella capacità di leggere la realtà e vederne le implicazioni tra coloro che almeno in parte sono in grado di comprendere la lingua dell’età dell’informazione e coloro che ne sono invece esclusi.

Una differenza culturale di fondo, una differenza di linguaggio, che configura territori stranieri (innanzitutto di logiche) in cui la non conoscenza della lingua, la indecifrabilità dei “segnali indicatori” e degli strumenti per individuare i percorsi, ha effetti disorientanti che si riflettono nella moltiplicazione (disorientante appunto) di regole che non consentonocomprensione, previsione e governo di ciò che sta accadendo.

Ciò è evidente per l’Accademia (decontestualizzata nei contenuti da una tale realtà, anche complice la natura conservatrice del diritto).

Ma è stato reso evidente anche per avvocatura e magistratura dal dibattito sul processo telematico e sulle udienze telematiche.

Si sono sviluppate discussioni (logicamente) surreali sul concetto di protocollo.

Ogni ordine, ufficio giudiziario, branca locale di associazioni, per non parlare dei soggetti istituzionali si è lanciato nella elaborazione di un protocollo per l’udienza telematica, in civile, in famiglia, in penale, in lavoro etc..

Di talché la proposizione di un protocollo (per definizione una regola unitaria, specie nel mondo digitale, si pensi banalmente al protocollo TCP/IP che, semplificando, consente i collegamenti che hanno dato origine all’Internet) è diventato un must per l’affermazione della propria esistenza istituzionale.

Parafrasando un vecchio adagio giuridico: tot capita tot protocolli.

Con buona pace della funzione del protocollo, cioè di rendere uniforme la regola.

Usando un paradosso per chiarire e rimandendo nell’esempio dell’Internet: se fosse stato seguito lo schema di questa scelta di approcci per sviluppare un protocollo per la connessione tra computer, non avremmo mai avuto Internet, al massimo -ma qualche dubbio resta- collegamenti in reti locali (e diverse per materia).

Ma la cosa più paradossale è come il dibattito sull’innovazione nel campo dell’udienza telematica si è orientato.

La soluzione innovativa vincente per l’udienza telematica è …. quella che assicura il protocollo dell’udienza telematica scritta che evita rigorosamente l’udienza orale a distanza (perché è … troppo difficile)!

Ancora una volta dimostrandosi la verità delle intuizioni di McLuhan, che l’uomo cammina nel futuro all’indietro. E si dimentica che la corsa con le macchine si vince sull’intelligenza emotiva e l’empatia … mentre nell’analisi di documenti, composizione di argomenti e ricostruzione di pattern decisori le macchine sono insuperabili già adesso (McAfee; Susskind; Kaplan etc.).

Ma il futuro non aspetta che l’avvocatura (e la magistratura) comprendano le implicazioni sulla propria realtà della regola dei ritorni acceleranti[1].

Il futuro va. A prescindere da quanto se ne accorgano i giuristi.

Eppure, nel paradigma del valore (Hidalgo), gli avvocati (che si lamentano di avere bisogno del “equo compenso”), ma anche i magistrati, hanno ricevuto segnali chiari della perdita di rilievo della loro funzione (che gli uni faticano a percepire venga intesa come un servizio e gli altri fraintendono con criteri di efficienza economicistica) in ragione del valore che viene riconosciuto alla loro professione (cioè alla modifica di entropia che il loro apporto consente al sistema informazionale).

Scelte fatte guardando all’indietro (quelle dei protocolli per l’udienza telematica scritta) che sono, per la specifica assenza di consustanzialità al tempo e al linguaggio del tempo, pericolosamente strabiche da un punto di vista strategico per la sopravvivenza e il futuro stesso delle professioni forensi e della funzione di tutela dei diritti degli altri (oltrecchè di quelli delle categorie interessate) che l’Ordinamento demanda loro.

Alle categorie di giuristi ed in particolare agli avvocati, l’Ordinamento (e la Costituzione) demandano la responsabilità di stare all’erta per la tutela dei diritti dei cittadini (tutelare i diritti consolidati, ma anche individuare le nuove esigenze di tutela e dare ad esse la concretezza che gli ordinamenti interni ed internazionali consentono di argomentare).

Ma se gli stessi giuristi non parlano e comprendono la lingua che scrive la Storia del tempo come fanno a svolgere la loro funzione di tutela?

Non ho parole prudenti o audaci con cui rispondere.

Non posso allora che suggerire di riflettere sulle parole di altri che, nella curiosità del capire e nell’audacia di osservare con occhi attenti l’evoluzione, hanno la saggezza della consapevolezza delle profonde verità:

“Today I feel the imperative in our need to rethink the implications of computation in the design of new product and services, because we’re at a turning point that will irreversibly impact the future of human kind. We are currently on course to reach the Singularity in a complete inequitable way for the many human being who don’t speak machine. At our current rate of progress, and with a minority of computing haves who will lord their vision over the computing have nots, we will permanently chisel into the cloud the biases of a narrow band of fluent creators” (John Maeda, How to Speak Machine, Penguins, 2019).

Parole che dovrebbero essere un mantra per giuristiconsapevoli della propria funzione e ansiosi di recuperarne il valore per la collettività.

Il compito più arduo, ma indispensabile, è che i giuristi -tutti insieme- divengano consapevoli del mutamento culturale e sappiano costruire una nuova, coesa, comunità della legge che condividendo i valori di fondo e il linguaggio del tempo (senza divisioni di caste e di ruoli), sappia condurre il Giurista fuori da questo nostro medioevo legal-tecnologico. 

Un Giurista nuovo, che come Ulisse, sia in grado di seguire il nostos verso la propria casa perché possiede le skills per giostrarsi tra le peripezie di mari sconosciuti, la bussola per ritrovare sempre i punti cardinali e la rotta, senza soccombere alle paure di ardue sfide o ai facili egoismi, senza subire la fascinazione di terre invitanti o esser distratto da sirene.

A veder dalle premesse, più un’utopia che un arduo compito.


[1] https://www.kurzweilai.net/the-law-of-accelerating-returns.